Servono nuovi indicatori

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Probabilmente dobbiamo scoprire dei nuovi indicatori capaci di descrivere non solo o non tanto il prodotto nazionale lordo, quanto il benessere di un paese, una grandezza che comprenda, oltre ai minerali estratti, alle merci prodotte, all’energia consumata, anche la disponibilità di spazi verdi, di silenzio, di animali allo stato naturale, di abitazioni adatte all’uomo, di cieli e acque meno inquinate.

Indicatori del benessere e dello sviluppo (qualunque cosa significhino queste parole) diversi dal Pil sono stati proposti molte volte negli anni passati; fra questi si possono ricordare l’«Indice di sviluppo umano», proposto dal programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo; il «Genuine progress indicator»; l’indicatore «Felicità nazionale lorda»; l’«Indice del benessere economico sostenibile» che propone di includere nel bilancio monetario il costo del degrado ambientale, il deprezzamento del capitale naturale, a dire il vero tutte grandezze di non facile misurazione in unità monetarie; il «Benessere nazionale lordo», il «Costo interno lordo», come diceva Boulding, eccetera. Un diffuso indicatore è rappresentato dalla «Impronta ecologica», un numero che corrisponde al numero di ettari di pianeta su cui «pesa» ciascuna persona o ciascun paese, partendo dal presupposto che ogni chilowattora di energia, ogni chilo di ferro o di patate, ogni metro di tessuto usati alterino l’ambiente in maniera corrispondente alla capacità di depurazione o di rifornimento di risorse di una frazione o di un multiplo di ettaro «standard» della Terra. Per qualche maggiore informazione su questo indicatore si può consultare la sempre utile enciclopedia Wikipedia che rimanda anche alla principale letteratura.

Qualche utile informazione si potrebbe trarre anche dai (purtroppo ancora pochi) tentativi fatti di redigere una contabilità economica in unità fisiche; si tratta di sovrapporre alla matrice intersettoriale dell’economia di un paese una simile matrice della quantità fisica di materia «contenuta» nel valore monetario di ciascuno scambio. Occorre perciò redigere tavole intersettoriali, input-output, simili a quelle della contabilità monetaria, nelle quali peraltro sono aggiunti i flussi di materiali estratti dai corpi naturali (aria, acqua, suolo, sottosuolo) e i flussi di materiali che ritornano nei corpi riceventi naturali.

La redazione di una contabilità nazionale in unità fisiche richiede la soluzione di grossi problemi pratici. Per far quadrare i conti bisogna avere informazioni statistiche sulle entrate e uscite di materiali, in unità di chili o tonnellate, per ciascun settore di attività: agricoltura, industrie, servizi, trasporti, consumi finali delle famiglie, comprese le materie tratte (gratis) dall’aria o dal suolo o sottosuolo, comprese le materie immesse come rifiuti o scorie nell’aria, nelle acque, nel suolo.

Per definizione, per il principio di conservazione della massa, in ciascun settore economico entra esattamente la stessa quantità di materia che esce dallo stesso settore economico verso gli altri settori, verso i consumi finali e verso i corpi naturali, tenendo naturalmente conto delle importazioni ed esportazioni e della massa di materiali a vita lunga (edifici, macchinari, arredi domestici) che restano «immobilizzati» come stock «dentro» l’economia, dentro la «tecnosfera», per un periodo di tempo più lungo dell’anno a cui si riferisce generalmente l’analisi. In questo


modo non scappa nessun chilo di acqua portata via dai fiumi o dal sottosuolo, di rifiuto o di gas inquinante.

L’esame delle tavole input-output in unità fisiche spiega bene fenomeni noti spesso solo qualitativamente: le attività «economiche» comportano un impoverimento delle riserve di beni «naturali» (materiali di cava e miniera, fertilità del suolo, risorse idriche) e un peggioramento della qualità dei corpi riceventi ambientali: aria, acqua, suolo. Informazioni fondamentali per la politica ambientale, per identificare i settori da cui provengono le scorie inquinanti e per far pagare i danni ambientali, per incentivare usi e materiali alternativi a quelli esistenti, divieti di scaricare rifiuti nei corpi riceventi naturali, per orientare produzione e consumo di materiali e merci, eccetera.

Per uscire dalle trappole del Pil c’è da percorrere un lungo cammino, ma non era diversa la situazione degli studi sull’economia monetaria negli anni Trenta, un cammino che può portare a realizzare quanto preconizzato da Alfred Marshall quando scrisse, nel 1898, oltre un secolo fa, cento anni fa, che «nello stato più avanzato dell’economia la Mecca dell’economista è l’economia biologica», la città in cui cadranno le barriere fra contabili della natura e contabili dei soldi e in cui sarà possibile uno sviluppo sociale capace di soddisfare i bisogni umani nel rispetto di valori (la salute, la bellezza della natura, la vita) che sono altrettanto, se non più, importanti delle merci e del denaro.