Una convivenza possibile

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Che l’orso possa convivere con l’uomo è cosa certa e dimostrata, ma non tutti i bipedi sapienti accettano quel po’ di sacrificio necessario per non disturbare, né scacciare, gli altri esseri viventi. La prima regola aurea è lasciar loro un po’ di territorio, e cibo a sufficienza: questo sembrerà magari a qualcuno una perdita enorme e ingiustificata, ma restare eccessivamente egoisti e meschini non ci rende migliori, anzi ci fa assai peggiori, di qualsiasi altro animale sulla terra.
Un esempio istruttivo di convivenza difficile, ma non impossibile, ci viene dal Grande Nord, dove due canadesi, il naturalista Charlie Russell e l’artista Maureen Enns, recatisi in Siberia per conoscere meglio i grossi Orsi bruni della penisola Kamchatka (da loro considerati identici al «Grizzly» nordamericano) sono divenuti, dalla primavera 1997, genitori adottivi di tre orsacchiotte rimaste orfane, e piuttosto irrequiete. Sviluppando con grande tenacia e pazienza il loro programma di convivenza, i due canadesi hanno potuto dimostrare che, trattando gli orsi con amore e rispetto, ma senza mai avvicinarsi troppo, né umanizzarli come cuccioli-giocattolo, si crea un ambiente sicuro tanto per i plantigradi quanto per gli uomini. Per molti di costoro, il «Grizzly» rappresenta ancor oggi il simbolo della forza e della ferocia, e sono assai spesso la paura e la misconoscenza a creare conflitti insanabili. Educando invece la gente che vive a più stretto contatto con gli orsi a lasciarli vivere in pace (evitando disturbo, caccia e bracconaggio nelle Aree Protette ed intorno ad esse) si creano condizioni di vita migliori per la natura e per l’uomo stesso (il quale dovrà però assolutamente desistere dal massacrare gli orsi per farne commercio di pelli, grassi e organi, come purtroppo avviene ancora in certe parti dell’Asia).

Un esperimento diverso, ma non meno interessante e d’avanguardia, era in corso qualche anno fa nel Parco Nazionale l’Abruzzo, dove due Orsi bruni marsicani (la femmina Yoga e il maschio Sandrino, precedentemente salvati da sicura morte, e non più in grado di sopravvivere in libertà) erano stati ospitati nell’Area Faunistica di Villavallelonga, facendoli accoppiare nella speranza d’avere presto in dono, in primavera, una preziosa coppia di cuccioli. Successivamente, sarebbe iniziata la fase cruciale dell’esperimento: l’allevamento della prole, con tutte le complesse cure parentali materne, e soprattutto il «ricondizionamento» alla vita selvatica dei giovani plantigradi. Una vasta Area Faunistica dell’orso destinata alla riproduzione era stata quindi avviata nel Settore Laziale del Parco. Un tentativo coraggioso e innovativo, cui il mondo intero guardava con ansia e curiosità: se fosse stato coronato da successo, l’estinzione tanto temuta poteva essere scagionata, e molti giovani orsi nati in cattività avrebbero riconquistato di nuovo le montagne dell’Appennino. Ma, con la crisi del Parco, tutto sembra ormai dimenticato, o rinviato ad un giorno molto lontano.