I meccanismi della contrapposizione

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Sui temi che toccano aspetti esistenziali della condizione umana, c’è sempre il rischio di partire con i migliori propositi, ma di finire, poi, con l’affondare nelle delusioni di risultati mancati e nelle conseguenti demotivazioni. Diventa, così, inesorabile l’emergere della propensione umana, nel tentativo di superare questi disagi del vivere, a ridurre tutto a una paralizzante lettura formale, analitica e approssimativa di quelle «drammatiche contrapposizioni» proposte come ambiguo asse portante della cultura del «vedere» e del «fare» le cose in modo «chiaro e semplice» (bene e male, ma anche amico e nemico, vinti e vincitori, ricchezza e povertà, sviluppo e stagnazione, consenso e dissenso, uguali e diversi… tutta «roba» tagliata a colpi d’ascia e di mannaia, suddivisa grossolanamente e senza qualità anche nella forma, oltreché nella sostanza). Una propensione che, trovando facili scorciatoie da percorrere nelle interpretazioni meccanicistiche di causa/effetto, impedisce di entrare nel merito degli argomenti. Una propensione che convince, anche, sull’immutabilità di eventi che pur interrogano insistentemente le nostre coscienze (perché, in quest’ambito, le mistificazioni delle cose «chiare e semplici» non reggono e le nostre responsabilità s’impongono in tutta la loro tormentosa dimensione).

La contrapposizione (e più in generale tutto ciò che dalle semplificazioni deterministiche ne deriva) sembra presentarsi, con i suoi dati di fatto acriticamente accettati, come un punto cardine, particolarmente nevralgico, nella nostra «civiltà» dei consumi: muove idee, scelte politiche, produzione di ricchezza e perdita di risorse… tutto in nome di «valori», contradditori, indiscriminati e plasmabili a richiesta.

Entrando più nel merito di questa prospettiva, la natura e il ruolo, imposti alla contrapposizione (solidarietà/egoismo in questo caso), potremmo, forse, riconoscerli e definirli come «attributi» artificialmente ricostruiti con l’obiettivo di modificare e condizionare le nostre coordinate di riferimento per l’interpretazione dei fenomeni sociali e culturali. A questa «contrapposizione» verrebbe affidata, così, una particolare funzione paradigmatica, capace di determinare le linee di sviluppo della formazione dei nostri pensieri e di indurci a giudizi e scelte preordinate.

In concreto la natura e il ruolo di questa contrapposizione potrebbero essere reinventati, all’occorrenza, per mettere in linea i processi relazionali umani secondo fini e obiettivi precostituiti: per esempio, per convogliare i modi di pensare su strade facilmente riconoscibili e predefinite (quelle del bipolarismo delle posizioni e delle scelte), per discriminare in tempo reale gli individui attraverso i loro comportamenti (rilevazione più immediata delle sole due direzione possibili di consenso e, insieme, controllo di quei «diversi» imprudentemente fuori dal coro delle contrapposizioni biunivoche), per ricondurre ad un dualismo malleabile ogni interpretazioni e ogni valutazioni di fatti (altrimenti compromettenti e nocivi per la conservazione del potere), per biforcare, in facili e precostituiti opposti antagonismi, i momenti «ingovernabili» di eventuali dissensi (nella cultura, nei rapporti sociali, nei riferimenti a valori etici e morali, nelle espressioni di giudizi politici e storici, nelle scelte economiche…).

Potremmo, allora, chiederci se queste contrapposizioni, proposte come chiave di lettura universale di tutto ciò che avviene, non siano, proprio, un «modello mentale» dicotomico «artificiale» costruito, come strumento per attuare l’adeguamento acritico delle volontà umane a realtà eterodirette, per imporre un controllo sociale, per favorire l’alienazione dalla realtà, per deviare la mente umana dalle sue capacità di riflessione autonoma e alternativa, per impedire quelle scomode espressioni di assunzione di responsabilità e di precauzione che sono di ostacolo alle «ideologie» del «darsi da fare».