La solidarietà ci salva

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Questo potrebbe farci vedere più lontano. Se il gruppo ristretto è molto egoista, e non socializza con altri gruppi, lo scambio di geni viene sempre più ristretto e si arriva presto a incroci genetici tra consanguinei, cioè tra individui geneticamente simili. Questo fenomeno è controproducente, e tutte le culture e religioni stigmatizzano gli incroci tra consanguinei come qualcosa di impuro. Impuro. La purezza della «razza» chiusa in se stessa diventa impura. La genetica ci insegna che gli incroci tra individui geneticamente differenti (e quindi appartenenti a gruppi diversi) portano a buoni risultati, a risultati migliori di quelli che si ottengono da riproduzione tra consanguinei. Riassumendo: essere troppo egoisti, chiudendo un gruppo, nuoce al gruppo; essere solidaristici, aprendo il proprio gruppo anche ad appartenenti agli altri gruppi, giova al gruppo. La storiella che dice come gli Esquimesi offrano le loro donne agli stranieri ha grande senso. Popoli che vivono in grande isolamento corrono seri rischi di impoverimento genetico, e quindi l’immissione di geni nuovi, da stranieri che fecondino le donne indigene, sono una benedizione. Come questo si sia affermato culturalmente in un popolo che, ovviamente, ignora i principi della genetica è un mistero. Altri popoli sono gelosissimi della loro compattezza, e scoraggiano moltissimo l’immissione di geni estranei: «moglie e buoi dei paesi tuoi», dice un proverbio. Ma abbiamo visto che i proverbi spesso non ci azzeccano. Ma poi è davvero così. Nella nostra cultura mediterranea, per esempio, i maschi sono incoraggiati a corteggiare e «interagire sessualmente» con quante più femmine possibile (e le straniere sono «prede» molto ambite) mentre le femmine sono ancora molto scoraggiate ad assumere atteggiamenti sessuali che potremmo definire «liberali». È ovvio che il comportamento dei maschi può essere espletato solo se ci sono femmine disposte a comportarsi in modo analogo. Ma sembra quasi che, invece, si voglia che i maschi siano latin lover e le femmine siano «tutte casa e chiesa». Ogni madre che si rispetti è fiera delle conquiste del figlio maschio e si dispera se la figlia femmina si comporta come un maschio e si vanta dei tanti partner.

La biologia ha molto a che vedere, ovviamente, con questi comportamenti apparentemente antitetici. Ma analizzare questa situazione ci porterebbe molto lontano.

Tornando a solidarietà ed egoismo, l’apparente dicotomia si risolve con la comprensione che noi non siamo solo il nostro corpo, ma che i nostri geni sono condivisi con gli appartenenti alla nostra specie e che tendiamo a perpetuarli in qualunque modo. Fare figli, quindi, è un gesto egoistico perché sostanzializza la nostra voglia di eternità e perpetua i nostri geni. Nel momento in cui abbiamo figli, però, diventiamo meno egoisti come individui, proiettando le nostre aspettative in queste nuove propaggini. I nonni, poi, sono ancora meno egoisti e il loro tasso di altruismo aumenta.

Certamente, però, questo altruismo è tanto più forte quanto più sentiamo vicina la nostra prosecuzione genetica. Le generazioni future ci interessano, soprattutto se le possiamo vedere (i figli e i nipoti) mentre non ci interessa moltissimo di quel che avverrà dei nipoti dei nostri nipoti. Qualche santo ci penserà, oppure: dopo di me il diluvio; morto io, morti tutti, e cose del genere.

C’è sempre un ping pong tra egoismo e altruismo-solidarismo. I due stati mentali non esistono in purezza e ci sono molte sfumature che rendono difficile capire veramente se un comportamento è davvero egoistico o solidaristico.

Gli assicuratori lo sanno bene, e il suicidio non è previsto tra le cause di morte che portano a grossi premi agli eredi. Gli assicuratori sanno che la solidarietà con le generazioni future potrebbe spingere qualcuno all’estremo sacrificio, al sacrificio della propria vita, per dare un beneficio a chi rimane. Un comportamento eroico, in un certo qual modo.