Quando il gioco avvelena

667
Tempo di lettura: 4 minuti

Resta da chiedersi che senso abbia il fatto che uno Stato incentivi il gioco d’azzardo ed anzi fondi una parte della propria politica delle entrate economiche sui proventi di quel tipo di attività mentre contemporaneamente sia costretto ad interrogarsi sulle modalità di intervento per l’assistenza, la dissuasione ed il recupero di coloro i quali sono stati così deboli da cadere nella rete

Questa rubrica è dedicata alla salute ed a tutto il mondo che gira attorno ad essa. Poche parole, pensieri al volo, qualche provocazione, insomma «pillole» non sempre convenzionali. L’autore è Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo, ecologista nonché collaboratore di «Villaggio Globale». Chi è interessato può interagire ponendo domande.

 

Forse 700.000 affetti, di cui 300.000 «patologici», ed in costante aumento. Per non parlare di coloro i quali non rientrerebbero formalmente nella «malattia» per la consuetudine apparentemente meno frequente e costante ma destinata, secondo gli esperti, a peggiorare e cronicizzare. Parliamo di quella che i tecnici chiamano ludopatia e che è la dipendenza più o meno patologica dai giochi d’azzardo, da qualche mese inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza vale a dire in quelle che lo Stato riconosce come vere e proprie malattie e per le quali prevede strategie e politiche di intervento oltre che, naturalmente, specifiche risorse e finanziamenti.

Bingo, Gratta e vinci, Scommesse di ogni genere oltre ai vari Lotto ed Enalotto cui si sono aggiunti più recentemente tutti i giochi online, dai poker alle roulette, dalle slot machine alle mille lotterie, alle quali gli italiani stanno decidendo di versare con straordinaria devozione uno spontaneo obolo neanche tanto piccolo se è vero che il giro economico che sta dietro questo mondo in buona parte seminascosto ed occulto è enorme ed in costante aumento. E se è vero che da pratica estemporanea e quasi di folklore si è di fatto trasformata prima in una abitudine e più tardi in una vera e propria dipendenza psicologica (con tanto di sindrome di astinenza e di necessità di percorso di recupero e riabilitazione).

Il boom della fruizione online dei siti dedicati all’azzardo di ogni genere è in parte desumibile dalla considerazione che se si digita su Google «Giochi d’azzardo on line» vengono evidenziati all’incirca 825.000 siti, se si digita «Casinò on line» rispondono all’appello 206.000.000 siti mentre se si fa una ricerca per «Scommesse on line» la risposta è pari a 1.620.000 siti. Un’enormità. E del resto a fine 2012 gli italiani hanno speso nel gioco d’azzardo 100 milioni di euro di cui il 25% solo per i giochi online: di questa somma appena 375.000 euro entrano nelle casse dello Stato mentre la stragrande maggioranza va a foraggiare ben altri lucrosi guadagni a prezzo di una ulteriore caduta della dignità di molti e della necessità, da parte dello Stato, di far fronte alle conseguenze.

Come nel caso del tabacco e delle sigarette, infatti, lo Stato appare in una doppia veste, di propositore e gestore di attività altrimenti illegali (ricordiamoci che i giochi d’azzardo sono illegali se gestiti in un contesto diverso da quello statale) e, d’altro canto, di ipocrita moralizzatore nonché dispensatore di buoni «consigli» («gioca responsabilmente») quando non di responsabile e «conduttore» delle politiche della salute di coloro ai quali fornisce gli strumenti per intossicarsi.
E quelli che si intossicano di giochi d’azzardo stanno diventando un vero e proprio problema: per sé stessi, intanto, visto che incontrare da giornalai o tabaccai ad ogni ora del giorno massaie o disoccupati desiderosi di dare una «svolta» alla propria vita con la pesca magica del biglietto fortunato è sempre più frequente (con danni sempre più rilevanti per le già disastrate economie famigliari). E per la società, visto che il boom dei giochi d’azzardo determina la necessità di investire risorse finalizzate al recupero ed alla terapia di questi nuovi «dipendenti» che senza scommettere, grattare o puntare, cominciano in breve tempo a presentare tutta quella variegata sintomatologia che sinora eravamo soliti attribuire ad altre forme di consumo compulsivo: di droghe, di cibo, di farmaci, di alcool e così via.

Le nuove norme statali in tema di Lea, inseriscono la prevenzione, la cura e la riabilitazione della ludopatia nell’ambito dell’attività riabilitativa sanitaria e socio sanitaria alle «persone affette da dipendenze patologiche o comportamenti di abuso di sostanze» fin qui previste solo per la dipendenza da droga e alcool.
Le prestazioni a beneficio dei malati da gioco d’azzardo verranno rese nei Sert (Servizi per le Tossicodipendenze), Centri Diurni e così via, vale a dire nelle stesse strutture che accudiscono i tossicodipendenti e gli alcoolisti, in considerazione del convincimento che i danni provocati da quest’ultima forma di dipendenza non sono certamente meno gravi delle altre.
Un problema nel problema, però, è dato dall’aumento esponenziale della popolazione di minorenni che si dedica sempre più al gioco d’azzardo. La facilità con cui entrano nelle sale giochi o comprano biglietti per lotterie o si mettono dinanzi alle slot machine (per non parlare dell’oscuro popolo dei giovanissimi che scommettono o giocano online, magari con dati di accesso falsi) sta creando una generazione di nuove ed imprevedibili dipendenze (e povertà).

Resta da chiedersi che senso abbia il fatto che uno Stato incentivi il gioco d’azzardo ed anzi fondi una parte della propria politica delle entrate economiche sui proventi di quel tipo di attività mentre contemporaneamente sia costretto ad interrogarsi sulle modalità di intervento per l’assistenza, la dissuasione ed il recupero di coloro i quali sono stati così deboli da cadere nella rete. Un Paese che in un momento di disperazione economica e sociale spinge i cittadini a scommettere, a puntare, a giocare («responsabilmente», come se ci si potesse avvelenare con responsabilità) con l’illusione della svolta è un Paese civile? E nel momento in cui crea i presupposti per nuove dipendenze e nuove malattie (e perciò nuove spese per affrontarle) è un Paese lungimirante?

 

Carlo Casamassima, Medico, Gastroenterologo