Anche l’Umbria interviene sulle terre e rocce da scavo

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L’atto di fatto va a ripristinare quanto già definito nel precedente Regolamento regionale per i piccoli e i grandi cantieri, decaduto però a seguito dell’approvazione del Decreto ministeriale. Sanato un paradosso poiché oggi, gli adempimenti, onerosi, previsti per le grandi opere valgono anche per le piccole opere, provocando di fatto la paralisi delle attività delle piccole imprese

Dopo Friuli, Veneto e Liguria anche l’Umbria disciplina la gestione di terre e rocce da scavo nei piccoli cantieri. Silvano Rometti, assessore all’Ambiente e al Territorio della regione Umbria, dichiara: «L’atto, che mantiene il rispetto della massima tutela ambientale, risponde ad una duplice finalità: viene incontro all’esigenza delle piccole e medie imprese del comparto di potersi avvalere di procedure più snelle e colma un vero e proprio vuoto della normativa statale. Ciò assume un particolare significato nell’attuale contesto umbro dove, in linea con quanto accade a livello nazionale, la crisi del settore si traduce nel blocco degli investimenti, nella chiusura delle imprese e nella perdita di centinaia di posti di lavoro».
L’atto di fatto va a ripristinare quanto già definito nel precedente Regolamento regionale per i piccoli e i grandi cantieri, decaduto però a seguito dell’approvazione del Decreto ministeriale (D.M. 161/2012).

Questo, in sintesi, il contenuto della proposta della Giunta al «Tavolo delle costruzioni» che riunisce rappresentanti delle imprese del settore, degli Ordini e Collegi professionali, delle organizzazioni sindacali di categoria. Nel corso della riunione, sono state, infatti, affrontate le criticità emerse dopo l’approvazione della nuova disciplina ministeriale (D.M. 161/2012); trattasi di un decreto di difficile applicabilità alle piccole movimentazioni di terreno, che sono quelle che attengono maggiormente i lavori di competenza delle piccole imprese.
Il nuovo decreto del ministero dell’Ambiente prevede, infatti, l’esecuzione di numerose analisi chimiche per la ricerca di possibili inquinanti sulle terre e rocce da scavo che vengano riutilizzate per realizzare un’opera in un luogo diverso da quello dell’escavazione, indagini che comportano un aggravio in termini di tempo e di costo. Correlato a questo, inoltre, c’è una ulteriore criticità dal punto di vista normativo, ossia, la mancata approvazione, a causa della fine della scorsa legislatura, di una specifica normativa tecnica per i cantieri nei quali si movimentano materiali in quantità inferiore a 6.000 metri cubi.

Rometti, rileva: «Ad oggi, si verifica, pertanto, un paradosso di non poco conto. Gli adempimenti, onerosi, previsti per le grandi opere valgono anche per le piccole opere, provocando di fatto la paralisi delle attività delle piccole imprese. Pertanto, in attesa della disciplina semplificativa statale e dell’esito del ricorso presentato al Tar del Lazio da alcune associazioni di categoria, gli Uffici regionali hanno predisposto un regolamento che prevede tre diversi livelli di gestione, per i lavori di pronto intervento, quelli di sistemazione di aree di pertinenza e altri cantieri di piccola dimensione, con quantitativo di materiale escavato non superiore a 6.000 metri cubi». E continuando: «Analogamente alla precedente disciplina regionale (Dgr 1064/2009), l’idoneità dei terreni e, dunque, il riutilizzo in altro sito, sarà attestata dal tecnico dell’impresa anche senza effettuare analisi chimiche a meno che i terreni non provengano da aree a “presunta contaminazione” o comunque, durante lo scavo, si ravvisino elementi o condizioni che facciano sospettare la presenza di inquinanti».

In definitiva, si osserva la volontà, da parte dell’amministrazione umbra, di andare incontro a quelle che sono le esigenze delle piccole e medie imprese che effettuano interventi edili e di manutenzione di piccole e medie dimensioni e questo senza, ovviamente, dimenticare il rispetto per l’ambiente. Perché non tutti i cantieri sono delle dimensioni di quello, speriamo mai da aprire, del Ponte sullo Stretto o di quello, purtroppo già in essere, della Tav e di contro le finalità del legislatore non risultano compatibili con la convenienza economica del materiale scavato che per le piccole e medie imprese resta da smaltire integralmente o parzialmente come rifiuto.
La possibilità del tecnico di «autocertificare» l’idoneità del terreno, previsto anche dalla modifica che non ha potuto completare il suo iter parlamentare, consente di superare questa situazione di «impasse» delle piccole imprese. È ora auspicabile che sia il nuovo Governo ad introdurre una procedura semplificata per i piccoli cantieri e a risolvere in modo definitivo la questione con un regolamento a tiratura nazionale che coniughi il rispetto per l’ambiente, in primis, con la volontà di un riutilizzo effettivo del materiale scavato, sottratto alla disciplina rifiuti, e con l’attuazione di procedure più snelle ed economiche per tutti.