Indigeni chiedono ai leader mondiali di poter cacciare per vivere

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Foto Fiona Watson/Survival
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Spesso i popoli indigeni sono criminalizzati come «bracconieri» perché cacciano gli animali di cui si cibano. Paradossalmente, quando cacciano per nutrire le loro famiglie i popoli indigeni rischiano di essere arrestati, picchiati, torturati e uccisi, mentre i cacciatori di trofei paganti sono incoraggiati a farlo.

Chi vuole può scrivere ai delegati della prossima conferenza per chiedergli di riconoscere il diritto dei popoli indigeni a cacciare per sopravvivere 

«Vi chiediamo di riconoscere il diritto dei popoli indigeni a cacciare per sopravvivere». È questo l’appello lanciato da varie organizzazioni indigene e da migliaia di persone in tutto il mondo ai delegati che mercoledì 25 marzo parteciperanno all’importante conferenza sul commercio illegale di fauna selvatica che si terrà a Kasane, in Botswana.

Il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival International, varie organizzazioni indigene da Brasile, Camerun, Kenya e molti altri paesi, e più di 80 esperti di popoli cacciatori-raccoglitori si sono uniti nel chiedere ai partecipanti alla conferenza inter-governativa di riconoscere che i popoli indigeni non devono essere trattati come criminali quando cacciano per nutrire le loro famiglie.
Migliaia di sostenitori di Survival International hanno inviato un messaggio simile ai rappresentanti di vari paesi del mondo tra cui Italia, Unione europea, Stati Uniti, Gran Bretagna, e Wwf.

La conferenza di Kasane segue l’evento che si era tenuto a Londra nel febbraio 2014 per chiedere un’applicazione più restrittiva delle leggi sulla fauna selvatica, e a cui avevano partecipato anche diversi capi di Stato e i principi Carlo e William. In quell’occasione i partecipanti mancarono di riconoscere che queste leggi spesso criminalizzano i popoli indigeni come «bracconieri» perché cacciano gli animali di cui si cibano.
Paradossalmente, quando cacciano per nutrire le loro famiglie i popoli indigeni rischiano di essere arrestati, picchiati, torturati e uccisi, mentre i cacciatori di trofei paganti sono incoraggiati a farlo.

I «Pigmei» Baka in Camerun e i «Pigmei» Bayaka nella Repubblica del Congo sono stati picchiati e torturati dalle squadre anti-bracconaggio, e hanno paura a inoltrarsi nella foresta per cacciare.
I Boscimani del Botswana, invece, vengono abitualmente arrestati e picchiati se sorpresi a cacciare all’interno della Central Kalahari Game Reserve (Ckgr) nonostante un’importante sentenza della Corte Suprema del paese abbia confermato il loro diritto a farlo.
Nel corso di un simposio sulla fauna selvatica organizzato in febbraio dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) e da altri, l’avvocato per i diritti umani Gordon Bennet ha diffuso una severa analisi legale sull’impatto negativo che l’applicazione della legge sulla fauna selvatica ha sui popoli indigeni.

«Chiedere una più severa applicazione della legge contro il “bracconaggio” senza però riconoscere, contemporaneamente e chiaramente, che gli indigeni che cacciano per sussistenza non sono “bracconieri” è un atto assolutamente irresponsabile da parte dei conservazionisti e dei politici – ha dichiarato oggi il Direttore generale di Survival, Stephen Corry -. Non è una semplice questione di semantica: i cacciatori indigeni vengono sistematicamente arrestati, picchiati, e torturati per “bracconaggio” perché i conservazionisti non difendono i diritti indigeni. Se i delegati alla Conferenza di Kasane nutrono un briciolo di interesse per la vita delle comunità indigene che le loro politiche colpiscono più duramente, allora dovrebbero riconoscere che i popoli indigeni non devono essere trattati come criminali quando cacciano per nutrire le loro famiglie».

Per saperne di più

– Il documento «Impatto negativo dell’applicazione della legge sulla fauna selvatica in Botswana, Camerun e India» scritto da Gordon Bennett (Avvocato), Jo Woodman (senior campaigner di Survival International), Jumanda Gakelebone (Boscimane Gana, First People of the Kalahari, Botswana), Sankar Pani (Avvocato ambientale, India), Jerome Lewis (Co-direttore dell’Extreme Citizen Science Research Group, University College London).

La lettera inviata da Survival ai delegati che parteciperanno alla conferenza intergovernativa di Kasane sul commercio illegale di fauna selvatica (in inglese, pdf, 726 KB).

– La dichiarazione «I popoli indigeni non devono essere trattati come criminali quando cacciano per nutrire le loro famiglie» alla data odierna firmata dalle seguenti organizzazioni: DPPA (l’Association de défense et de promotion des peuples autochtones, Repubblica del Congo), AHHBN (Associação Huni Kui da Terra Indígena Henê Bariá Namakiá, Brasile), Batwa Development Program (Uganda), COPORWA (Communauté des Potiers du Rwanda), FENAMAD (Federación Nativa de Madre de Dios, Perù), FEPAHC (Federação do Povo Huni Kui do Acre, Brasile), FPK (First People of the Kalahari, Botswana), Hutukara (Yanomami Association, Brasile), Okani (Camerun), OPIARA (Organização dos Povos Indígenas do Acre, Noroeste de Rondônia e Sul do Amazonas, Brasile), OPDP (Ogiek Peoples Development Program, Kenya), PIDP (Programme d’Intégration et de Développement du Peuple Pygmée, DRC), Survival International, Tsoro-o-tso San Development Trust (Zimbabwe), e oltre 80 esperti mondiali sulle società di cacciatori-raccoglitori. Scarica qui la lista.

– «Pigmei» è un termine collettivo usato per indicare diversi popoli cacciatori-raccoglitori del bacino del Congo e di altre regioni dell’Africa centrale. Il termine è considerato dispregiativo e quindi evitato da alcuni indigeni, ma allo stesso tempo viene utilizzato da altri come il nome più facile e conveniente per riferirsi a se stessi. Clicca qui per ulteriori informazioni in merito.

Scarica il nuovo, durissimo rapporto di Survival «Parks need peoples»