Le montagne si stanno scaldando

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Il fenomeno spesso più intenso e più rapido di quello delle regioni circostanti, con possibili cambiamenti del ciclo idrologico e nella disponibilità di risorse idriche, perdita di biodiversità, possibile estinzione di alcune specie di flora e fauna. Sul Plateau tibetano il maggior aumento è stato di 0,7 °C per decade al di sopra dei 4.000 m negli ultimi venti anni. Ma studiare i cambiamenti in corso alle alte quote non è facile: i dati sono scarsi, la densità di stazioni meteorologiche al di sopra dei 4.500 m è circa un decimo di quella nelle regioni sottostanti e al di sopra dei 5.000 m mancano serie storiche lunghe di dati

Con aspetti che per certi versi ricordano l’ambiente artico, le regioni montane d’alta quota sono soggette a un riscaldamento spesso più intenso e più rapido di quello delle regioni circostanti, con possibili cambiamenti del ciclo idrologico e nella disponibilità di risorse idriche, perdita di biodiversità, possibile estinzione di alcune specie di flora e fauna.
È quanto ha messo in luce, in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista «Nature Climate Change», un team internazionale di scienziati che coinvolge l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr) di Torino. «Studiare i cambiamenti in corso alle alte quote non è facile – afferma Elisa Palazzi dell’Isac-Cnr e co-autrice dell’articolo -. Le montagne sono ambienti variegati, caratterizzati da una rapida alternanza di paesaggi e microclimi che rendono difficile acquisire una visione di insieme. I dati provenienti da queste regioni remote e di difficile accesso sono scarsi, talvolta inesistenti. Monitorarle in modo efficace è ancora molto dispendioso e costituisce una sfida scientifica e tecnologica importante».
La densità di stazioni meteorologiche al di sopra dei 4.500 m sopra il livello del mare è circa un decimo di quella nelle regioni sottostanti. Al di sopra dei 5.000 m non sono disponibili serie storiche lunghe di dati osservati, cruciali per rilevare le tendenze climatiche: la più lunga oggi disponibile, sulla vetta del Kilimanjaro, è relativa a circa 10 anni, periodo troppo breve per stimare i trend. «Nonostante queste difficoltà e incertezze, le misure disponibili indicano che in molte regioni di alta quota si assiste davvero a un aumento delle temperature più rapido che nelle aree circostanti – prosegue la ricercatrice Isac-Cnr -. L’esempio più significativo è costituito dal Plateau tibetano, l’altopiano più alto al mondo, comprendente gran parte della catena himalayana. Tra il 1961 e il 2012 si è assistito a un aumento continuo di temperatura di 0,3-0,4 °C/decade, maggiore man mano che si sale di quota. Se valutato nel periodo più recente 1991-2012, il trend si attesta attorno a 0,7 °C/decade al di sopra dei 4.000 m e 0,3-0,4 sotto i 2.500 m».
«Informazioni dettagliate sulle regioni montane permetterebbero di determinare con anticipo l’evoluzione prevedibile nei prossimi decenni e di preparare misure adeguate di prevenzione, adattamento e mitigazione. È quindi essenziale migliorare le capacità osservative sia con strumenti e reti di monitoraggio in quota sia da satellite, e affiancare alle misure simulazioni di modelli climatici ad alta risoluzione – conclude Palazzi -. Un obiettivo irraggiungibile senza finanziamenti adeguati e accordi e collaborazioni a livello internazionale».
Il team che ha collaborato alla stesura dell’articolo comprende ricercatori provenienti da Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Canada, Ecuador, Pakistan, Cina, Italia, Austria e Kazakistan, che hanno analizzato e interpretato dati di temperatura misurati negli ultimi 60-70 anni in diverse regioni di montagna del mondo. Il lavoro nasce nell’ambito di un’iniziativa internazionale chiamata «Mountain Research Initiative» (Mri) finanziata dall’Agenzia nazionale svizzera.