La Terra si degrada e le soluzioni restano lettera morta

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Tempo di lettura: 3 minuti La Giornata per la lotta alla desertificazione ֎«Fino al 40% del territorio mondiale è già degradato, colpendo quasi la metà dell’umanità. Eppure le soluzioni sono sul tavolo. Il ripristino del […]

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Bari città con il miglior clima d’Italia, Milano ultima tra le grandi: pesano i fenomeni estremi

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(Adnkronos) – Il mare, il sole e il cielo terso: Bari è la città italiana con il clima migliore secondo il rapporto “Qualità della vita 2024” de Il Sole 24 Ore. La vivace “città di San Nicola” scalza Imperia e si classifica prima tra 107 città capoluogo nell’indice del clima stilato sulla base dei dati forniti da 3bmeteo 2010-2023.  La graduatoria analizza dieci parametri che misurano le più frequenti condizioni di bel tempo scelti ed elaborati dalla redazione della testata e validati dal team di esperti meteorologici di 3bmeteo. In generale emerge una grande rivincita del Mezzogiorno e della Puglia in particolare (Alessandro Brunello ci ha visto lungo!): dietro Bari e la ligure Imperia, si posiziona la provincia pugliese di Barletta-Andria-Trani e nella top ten rientra anche la città pugliese di Brindisi, in ottava posizione. Si conferma la tendenza delle regioni meridionali e costiere a offrire condizioni climatiche più miti.  Non è un caso se nella parte bassa della classifica troviamo Belluno, che con un punteggio di 398,1 si colloca all’ultimo posto, caratterizzata da giorni freddi e nebbia persistente. Anche Lecco e Verbano-Cusio-Ossola, con il cielo spesso uggioso, evidenziano la differenza climatica tra il Nord e il Sud della penisola. Per la prima volta, una regione del Mezzogiorno conquista il primo posto nell’indice sintetico tematico della Qualità della vita, scalzando Imperia, che ora si trova al secondo posto. La città ligure aveva detenuto la leadership nelle precedenti edizioni: la prima, pubblicata nel 2019 con dati dal 2008 al 2018, e la seconda nel 2022 con dati dal 2011 al 2021.
Il capoluogo pugliese, insieme a sei altre città del Sud, domina la top ten del benessere climatico. Ecco le prime dieci posizioni: 1. Bari 2. Imperia 3. Barletta-Andria-Trani 4. Catania 5. Pescara 6. Livorno (unica città del Centro Italia nella top ten) 7. Chieti 8. Brindisi 9. Agrigento 10. Cagliari La classifica della “Qualità della vita – Indice clima” premia principalmente le aree costiere e alcune città di alta quota, come Aosta ed Enna, che beneficiano di una migliore circolazione dell’aria rispetto alle aree interne. Queste località vantano più ore di sole, un indice di calore medio-basso mitigato dalle brezze estive, e pochi eventi climatici estremi. Il parametro delle precipitazioni favorisce le località con meno giornate piovose all’anno, penalizzando però quelle più soggette a siccità. Si vive meglio dove piove meno, a patto che la ridotta piovosità non porti a carenze idriche significative.
Attenzione però: clima migliore non significa migliori condizioni ambientali. Sul lato opposto della classifica troviamo Belluno che si piazza all’ultimo posto a causa di diversi fattori climatici: • Ore di sole: Belluno registra appena 6,7 ore di sole al giorno, contro una media nazionale di 7,8; • Giornate fredde: in media, 23,6 giornate all’anno con temperature massime percepite inferiori a 3°C; • Umidità relativa: Belluno è penultima per l’elevata umidità relativa, con 255 giorni l’anno che risultano troppo secchi d’estate (meno del 30%) o troppo umidi d’inverno (oltre il 70%); • Giornate piovose: la città conta 118 giorni piovosi all’anno con almeno 2 millimetri di precipitazioni cumulate, superata solo da Lecco, che ne conta 122. A seguire in quella che gli appassionati di calcio chiamerebbero la “parte destra” della classifica, troviamo: – Lecco: Prima per numero di giornate piovose, con una media di 122 giorni all’anno. – Rovigo: Il territorio con il maggior numero di giornate di nebbia, oltre 57 all’anno; – Verbania: Ultima per frequenza di precipitazioni estreme, con 90 giorni di pioggia intensa nel decennio; – Varese: Penultima per “bombe d’acqua”, con 76 episodi nel decennio; – Como: Terzultima per “bombe d’acqua”, con 74 episodi nel decennio; – Alessandria: 106ª nella classifica generale; – Pavia: 105ª nella classifica generale; – Cremona: 104ª nella classifica generale; – Piacenza: 102ª nella classifica generale; – Lodi: 101ª nella classifica generale; – Asti: 100ª nella classifica generale; – Ferrara: 99ª nella classifica generale.
Tra le grandi città italiane, Cagliari si distingue in positivo, conquistando il 10° posto nella top ten del benessere climatico, mente Milano si piazza all’ultimo posto, l’86° nella classifica generale. Roma si piazza al 25° posto, seguita da Napoli al 26°, Venezia al 32°, e Genova al 43°. Milano, invece, è ultima tra le grandi città, occupando l’86° posto. Ma al di là di queste classifiche, c’è un tema più grande e più grave che merita la nostra attenzione: l’impatto del cambiamento climatico. L’Italia, con la sua ricca biodiversità e la sua economia fortemente legata al turismo e all’agricoltura, si trova in una posizione vulnerabile. Gli effetti del cambiamento climatico sono già visibili e tangibili: dall’innalzamento del livello del mare che minaccia le nostre coste, alle ondate di calore più intense e prolungate che mettono a rischio la salute pubblica. Il rapporto dell’Ipcc sottolinea che l’Europa, e l’Italia in particolare, sta affrontando rischi significativi a causa del cambiamento climatico. Caldo estremo, siccità, vulnerabilità delle coste e del comparto turistico sono solo alcuni degli aspetti che richiedono una risposta immediata e decisa. La riduzione delle emissioni di gas serra, l’adattamento delle città e delle infrastrutture, e la promozione di una maggiore consapevolezza ambientale sono passi essenziali per mitigare questi rischi. L’impatto del cambiamento climatico è avvertito anche dalle aziende lungo la penisola. Nell’Osservatorio Retail Sostenibile di SumUp tre commercianti su dieci hanno testimoniato di aver subito già danni al proprio business a causa del climate change, mentre il 42,6% ha detto di aver perso clienti per il caldo eccessivo che nei mesi più caldi diventa intollerabile e disincentiva le persone ad uscire e consumare. La maggioranza dei commercianti italiani è consapevole di come il climate change stia influenzando o finirà per condizionare il proprio business: per il 29,4%, l’aumento delle temperature ha già danneggiato l’attività commerciale; mentre il 24,1% è convinto che il surriscaldamento avrà ripercussioni in futuro. Non solo gli imprenditori. Anche a causa dei sempre più frequenti fenomeni climatici estremi, anche i cittadini/consumatori europei percepiscono l’urgenza della questione ambientale. Gli italiani sono tra i primi ad avvertire questa esigenza nei Paesi Ue. La ricerca condotta da Pro Carton individua il cambiamento climatico tra le preoccupazioni percepite più urgenti dai consumatori europei, insieme all’inflazione e ai conflitti. Per gli italiani sono ugualmente prioritari il costo della vita (84%) e la guerra (83%) seguiti dall’inflazione (75%). Solo dopo, preoccupano la pandemia (45%), il razzismo (22%) e la deforestazione (21%). Le guerre in Medio Oriente e in Ucraina costituiscono, invece, il tema più sensibile per i tedeschi. Il 74% degli europei pensa che non si stia facendo abbastanza per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. L’opinione è condivisa anche dalla Bce che è pronta a sanzionare quattro istituti bancari europei a causa del loro insufficiente impegno nel contrasto al climate change. I cittadini di Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna concordano sul fatto che si possa fare di più, anche se i cittadini dell’Europa meridionale, gli spagnoli e gli italiani, sono i più sensibili al tema e pensano che servano azioni più incisive. Sul punto lasciano alcune perplessità le recenti modifiche alla Pac, ritenute necessarie per non gravare troppo sugli agricoltori, che segnano un allentamento dell’Ue verso le misure green. In Italia, il riciclo rimane l’azione considerata come più efficace, lo pensa il 74% degli italiani, seguita al secondo posto dall’uso di materiali più naturali e rinnovabili (il 65%) e al terzo dalla piantumazione di nuovi alberi (il 62%). Intanto i cittadini di Bari e più in generale del Sud Italia si godono il clima migliore della penisola, sperando che il bel sole di oggi non diventi un deserto domani. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Fare e disfare la realtà: e ancora iceberg

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Un enorme iceberg si è staccato dalla piattaforma continentale dell’Antartide, nel mare di Weddell, nella zona dove si arenò nel 1916 la spedizione Endurance dell’esploratore britannico Ernest Shackleton.

Al Gore: «Stiamo vincendo la guerra del clima»

Tempo di lettura: 4 minuti ֎«La domanda da farsi è se vinceremo in tempo per evitare alcuni dei punti di svolta negativi per l’equilibrio climatico della Terra che potrebbero creare sfide ancora più grandi per […]

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Surriscaldamento climatico, il Venezuela è il primo Paese ad aver perso tutti i suoi ghiacciai

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(Adnkronos) – Il Venezuela è il primo Paese al mondo ad aver perso tutti i suoi ghiacciai. Anche l’ultimo che era rimasto nel territorio, il ghiacciaio Humboldt, è caduto vittima del cambiamento climatico: per gli scienziati adesso è classificato come “campo di ghiaccio” (“ice field”) o “nevaio”, a seguito di un significativo restringimento.

Studio: 150mila morti all’anno nel mondo per ondate di calore

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(Adnkronos) – Tra il 1990 e il 2019 più di 150mila decessi, ogni anno, in tutto il mondo sono stati associati alle ondate di calore. Lo rivela uno studio pubblicato su Plos Medicine da Yuming Guo della Monash University, Australia, e dal suo team.

Clima, oltre 200 milioni di anziani a rischio

Tempo di lettura: 2 minuti ֎Entro il 2050, si prevede che oltre 200 milioni di anziani in più in tutto il mondo dovranno affrontare una pericolosa esposizione al calore rispetto ad oggi. I risultati della […]

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Caldo killer, Lancet: “Europa responsabile del cambiamento climatico”

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(Adnkronos) – Le temperature in Europa si stanno riscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media globale, minacciando la salute delle popolazioni di tutto il continente e portando a inutili perdite di vite umane. A diramare l’allarme è il Lancet Countdown in Europe, istituito nel 2021, valuta le conseguenze sanitarie e occupazionali dei cambiamenti climatici per stimolare azioni politiche e sociali in direzione opposta.

Clima, quasi 1 milione di persone in Africa colpite dalle piogge

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Tempo di lettura: 4 minuti ֎In Kenya, Burundi, Tanzania e Somalia danni senza precedenti. Le inondazioni hanno causato un'altra epidemia di colera, con 48 casi segnalati. In Somalia, oltre 160.000 persone sono state colpite dalle […]

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Erosione costiera, le regioni italiane a rischio

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(Adnkronos) – La particolare morfologia della penisola italiana presenta oltre 8 mila chilometri di coste e litorali. Una caratteristica che espone il nostro Paese ai rischi legati al fenomeno dell’erosione costiera dovuta al progressivo innalzamento del livello del mare. Innalzamento che risulta strettamente connesso al cambiamento climatico in atto e ad alcune delle sue manifestazioni più evidenti, quali il repentino scioglimento delle calotte glaciali dei Poli, la fusione dei ghiacciai di montagna e l’espansione delle acque oceaniche dovuto all’aumento delle temperature. Se il fenomeno dell’erosione costiera riguarda tutto il Pianeta, lo scenario in Italia appare particolarmente delicato, in quanto l’innalzamento del livello dei nostri mari è di circa 2-3 millimetri all’anno. Detta così potrebbe sembrare poca cosa, invece la situazione mette a forte rischio parte di coste e litorali italiani. I principali effetti collaterali legati alla crescita del livello del mare sono l’erosione costiera, l’intrusione di acque saline nella falda acquifera interna e il rischio di inondazioni nei territori lungo i litorali.  Un recente studio del Centro euro mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), ha evidenziato le aree costiere italiane dove l’impatto dell’erosione rischia di essere maggiore. Le regioni che risulterebbero a rischio elevato sono la Puglia, dove l’innalzamento del mare attualmente è di 3,5 millimetri all’anno, contro un media delle coste adriatiche di 2,6 mm. Tra le altre regioni particolarmente a rischio erosione costiera c’è il Veneto, con specifico riferimento a Venezia e alla laguna, dove l’introduzione del Mose non è sufficiente, non solo per la pianificazione e i costi elevati della sua movimentazione, ma anche perché un’eccessiva chiusura della barriera causerebbe un problema di qualità delle acque interne. Puglia e Veneto, dunque, a rischio di finire sott’acqua, ma anche Campania e Calabria risultano soggette a una decisa erosione costiera specie a causa dello scarso apporto di sedimenti dai fiumi, oltre all’eccessiva cementificazione delle coste. Anche la costa Nord della Toscana, compresa tra le province di Massa, Lucca e Livorno, è sotto osservazione per la subsidenza ovvero il progressivo sprofondamento dei fondali marini sotto il peso dei sedimenti e per l’erosione costiera. Le conseguenze dell’innalzamento del livello del mare si stima possano costare all’UE qualcosa come 872 miliardi di euro entro la fine del secolo. Dunque, risulta evidente la necessità di una pianificazione mirata per cercare di arginare una situazione che rischia di causare gravi danni al territorio, alle attività e alle infrastrutture lungo una buona parte delle coste italiane e, più in generale, del Continente. Tra le possibili soluzioni per contrastare il fenomeno, sul lungo periodo si deve ridurre la concentrazione degli inquinanti, in particolare di 4 elementi specifici segnalati da diversi studi scientifici. Il tasso di innalzamento del livello del mare, infatti, potrebbe essere ridotto del 50% con l’abbattimento di emissioni di metano, ozono troposferico, idrofluorocarburi e fuliggine. Si tratta degli inquinanti cosiddetti di breve durata in quanto resistono in atmosfera solo per un tempo relativamente breve e variabile da pochi giorni ad un decennio. Si pensi che la CO2 resiste in atmosfera anche per oltre un secolo. Oltre alle soluzioni globali di abbattimento degli inquinanti, vi sono interventi applicabili nel breve periodo, ad esempio, per limitare i danni delle mareggiate quali l’installazione di dune sabbiose lungo le coste o la ricostruzione di praterie di posidonia in mare, un vegetale che agisce come un polmone marino essendo in grado di assorbire grandi quantità di anidride carbonica e rilasciare ossigeno, per contrastare la progressiva acidificazione dell’acqua del mare. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Cambiamento climatico, presto saremo costretti a bere caffè sintetico

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(Adnkronos) – A rischio la metà delle colture entro il 2050: largo al caffè prodotto in laboratorio  Per molti “la vita inizia dopo il caffè”. A breve, potrà iniziare dopo una bella tazza di caffè sintetico, caffè prodotto in laboratorio.

Scarsa decarbonizzazione per le quotate, con questo trend si va verso il +3°C

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(Adnkronos) – Solo l’11% delle società quotate a livello mondiale è allineato con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, nonostante i maggiori impegni presi per contrastare il cambiamento climatico. È quanto emerge dalla nona edizione dell’Msci Net Zero Tracker, uno strumento che monitora regolarmente i progressi delle società quotate nel contenimento del rischio climatico attraverso l’Implied Temperature Rise dell’Msci Esg Research. Nonostante si registri un certo avanzamento, i risultati ottenuti finora non sono ancora sufficienti. Secondo le stime dell’Msci Esg Research, le società quotate produrranno quest’anno circa 11,8 miliardi di tonnellate (gigatoni) di emissioni di gas serra Scope 1, praticamente senza nessun miglioramento rispetto al 2023. Il dato corrisponde a circa un quinto delle emissioni globali totali di gas serra. Recenti dichiarazioni del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) delle Nazioni Unite hanno evidenziato che le emissioni globali di gas serra dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 e diminuire del 43% entro il 2030 per evitare gli impatti più gravi del riscaldamento globale. Tuttavia, al momento attuale, le traiettorie di decarbonizzazione delle società quotate a livello globale indicano che siamo diretti verso un aumento della temperatura del pianeta di 3°C rispetto ai livelli preindustriali e già l’anno scorso, per la prima volta, si sono toccati i +2°C sul periodo 1850-1900. Per quanto riguarda il reporting sulle emissioni di gas serra (Ghg, ovvero Green house gases), Msci ha osservato notevoli miglioramenti. Quasi il 60% delle società quotate ha dichiarato le proprie emissioni Scope 1 e/o Scope 2 al 31 gennaio 2024, registrando un aumento del 16% rispetto ai dati di due anni fa. Allo stesso tempo, il 42% delle aziende ha reso note almeno alcune delle proprie emissioni Scope 3. Le emissioni Ghg includono vari gas, come il biossido di carbonio (CO2), il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), che contribuiscono al riscaldamento globale e al cambiamento climatico quando sono rilasciati nell’atmosfera. Vengono individuati tre tipi di emissioni: le Scope 1 rappresentano quelle dirette, prodotte da fonti controllate direttamente dall’azienda, mentre le Scope 2 riguardano quelle indirette, associate all’acquisto di energia elettrica, vapore o calore. Le emissioni Scope 3, invece, includono tutte le altre emissioni indirette, come quelle provenienti dalla catena di approvvigionamento, dal trasporto dei prodotti e dall’uso dei prodotti stessi. A livello mondiale, le società quotate stanno procedendo verso una potenziale aumento della temperatura del pianeta fino a +3°C entro la fine del secolo, come indicato dal loro indice collettivo Msci Implied Temperature Rise. Questo indice, che riflette l’impatto climatico di un’attività finanziaria basato sulle sue emissioni di gas serra attuali e sulla prevista traiettoria di decarbonizzazione, evidenzia una situazione critica. Attualmente, solo il 38% delle aziende è in rotta per mantenere il riscaldamento a 2°C o meno, mentre un esiguo 11% è allineato con l’obiettivo più ambizioso di un aumento della temperatura di 1,5°C.
Msci evidenzia che, basandosi sulle emissioni di Scope 1, le società quotate potrebbero aver superato il budget globale per le emissioni di carbonio necessario per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C entro il 31 luglio 2026, già al 29 febbraio 2024. Per mantenere il riscaldamento entro questa soglia, le aziende dovrebbero collettivamente limitare le future emissioni Scope 1 a 28,9 gigatonnellate (Gt) di emissioni di CO2 equivalenti entro il 2050. Senza alcuna riduzione delle attuali emissioni, che si aggirano intorno a 11,8 Gt all’anno, le società esaurirebbero il budget di emissioni rimanenti in 2 anni e 5 mesi. Per mantenere il riscaldamento entro i 2°C, le società quotate dovrebbero limitare collettivamente le future emissioni Scope 1 a 200 Gt di CO2 equivalenti entro il 2050. In questo contesto assume particolare rilevanza il mercato dei crediti di carbonio che funziona attraverso un sistema di scambio di crediti e ha lo scopo di regolare e ridurre le emissioni di gas serra. Le autorità emittenti, come i governi o gli enti regolatori, stabiliscono un limite massimo alle emissioni di gas serra consentite per un determinato periodo di tempo, chiamato “budget di emissione”. Questo limite è spesso suddiviso in crediti di carbonio, o permessi di emissione, che corrispondono a una determinata quantità di emissioni consentite. Le aziende e le entità soggette a queste limitazioni possono acquistare o vendere crediti di carbonio sul mercato aperto, consentendo loro di raggiungere i loro obiettivi di emissioni in modo più flessibile ed efficiente. Quelle che superano i limiti consentiti devono acquistare crediti di carbonio per compensare le loro emissioni e rimanere conformi alle normative. D’altro canto, le aziende che riescono a ridurre le proprie emissioni al di sotto del limite consentito possono vendere i crediti di carbonio non utilizzati ad altre entità. Questo meccanismo crea un incentivo finanziario per ridurre le emissioni, poiché le aziende possono generare entrate attraverso la vendita di crediti di carbonio. Inoltre, il mercato dei crediti di carbonio incoraggia l’innovazione e lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio, poiché le aziende sono motivate a trovare modi più efficienti ed ecologici per operare al fine di ridurre le loro emissioni e vendere più crediti di carbonio. In sintesi, il mercato dei crediti di carbonio è un meccanismo che offre flessibilità alle aziende nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni e fornisce un incentivo finanziario per ridurre le emissioni e favorisce la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Per quanto riguarda il primo trimestre 2024, il report Msci rileva che le emissioni di carbonio sono rimaste più o meno allo stesso livello dello stesso periodo dell’anno precedente, ovvero 81 Mt. C’è stato, però, un rallentamento su base trimestrale dell’offerta di crediti (-26%), determinato principalmente da un calo delle emissioni REDD+ (che riguardano la riduzione delle emissioni da deforestazione), che sono scese del 74% (-30 Mt). Quando si parla di “Mt” nel contesto del mercato dei crediti di carbonio, si fa riferimento ai “megatonnellate” di emissioni di gas serra, misurate in milioni di tonnellate. Questa unità di misura viene utilizzata anche per le riduzioni delle emissioni nel contesto del mercato dei crediti di carbonio e ottenere quindi il risultato netto.  Un Mt rappresenta un milione di tonnellate di emissioni di anidride carbonica equivalente o di altri gas serra, come il metano (CH4) o l’ossido di azoto (N2O). Le transazioni nel mercato dei crediti di carbonio coinvolgono spesso il commercio di queste unità di emissione, ma gli obiettivi globalmente enunciati dalle istituzioni e dalle aziende appaiono sempre più lontani. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Sostenibilità in Europa, un trittico di misure per un futuro più verde

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(Adnkronos) – L’Unione Europea si sta preparando a fare un grande balzo verso un futuro più sostenibile con una serie di nuove misure volte a ridurre l’impatto ambientale, promuovere la qualità dell’aria e garantire una maggiore responsabilità aziendale.

G7, Pichetto: “Ruolo determinante per accelerare la decarbonizzazione”

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(Adnkronos) – “E’ un’agenda fittissima perché copre tutti i campi, quello che stiamo vivendo è un momento di forte cambiamento climatico, di rischio di perdita biodiversità, di inquinamento e dobbiamo svolgere azioni prima di tutto di mitigazione che significa di decarbonizzare e ridurre a livello mondiale le emissione di CO2, e il ruolo del G7 che rappresenta i 7 Paesi industrializzati, può essere determinate per le scelte a livello di Cop per accelerare percorsi di decarbonizzazione nel tentativo di evitare che le temperature della Terra superino un grado e mezzo”. Lo ha affermato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a proposito del G7 Ambiente, Clima ed Energia che si svolge in questi giorni a Venaria (Torino), del ospite della trasmissione radiofonica ‘Non stop News’ su Rtl 102,5.  —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Nucleare, Gallo: “Tecnologia da esplorare ma necessita di tempo”

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(Adnkronos) – “Bisogna esplorare tutte le tecnologie, non si deve a priori metterne da parte qualcuna. E’ chiaro che determinate tecnologie, ed è il caso del nucleare che noi non abbiamo, avranno certamente bisogno di più tempo per arrivare in Italia”. Ad affermarlo il ceo di Italgas, Paolo Gallo, a margine del ‘Transitioning to net zero: energy technology roadmaps’ in corso a Torino. Per Gallo, “le tecnologie vanno esplorate tutte perché è l’unico modo in cui si raggiungeranno gli obiettivi. Se uno vede solo una strada non raggiungerà gli obiettivi”.  —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Nucleare, Pichetto: “Ipotesi al 2030 in Italia con piccoli reattori”

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(Adnkronos) – “L’obiettivo al 2050 è la decarbonizzazione totale, la scala è lunga bisogna fare uno scalino per volta. Il primo è quello del carbone, poi il petrolio e poi produrre energia pulita con le rinnovabili, che sono il biotermico, l’idroelettrico, il fotovoltaico e l’eolico e, per dare continuità, il percorso è anche il nuovo nucleare”. Ad affermarlo il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ospite della trasmissione radiofonica ‘Non stop News’ su Rtl 102,5. Quanto alla produzione di energia nucleare in Italia per Pichetto non bisogna ripartire da zero. “Da zero proprio no, – ha risposto – perché la cosa rilevante è che il Paese di Enrico Fermi ha mantenuto livelli alti di conoscenze, nelle nostre università, nei nostri centri di ricerca. Abbiamo continuato con imprese private importanti a lavorare sia sul fronte della fissione, quindi sul nucleare di nuova generazione con piccoli reattori, sia che su quello della fusione”.  “Non arriveranno più le grandi centrali, le tecnologia sta andando avanti così velocemente che saranno piccoli moduli e per fare una grande quantità sarà una somma di moduli” ha spiegato “riguardo all’ipotesi che facciamo al 2030 e dopo, non voglio certo fare l’indovino” ha precisato Pichetto Fratin. “E’ un’agenda fittissima perché copre tutti i campi, quello che stiamo vivendo è un momento di forte cambiamento climatico, di rischio di perdita biodiversità, di inquinamento e dobbiamo svolgere azioni prima di tutto di mitigazione che significa di decarbonizzare e ridurre a livello mondiale le emissione di CO2, e il ruolo del G7 che rappresenta i 7 Paesi industrializzati, può essere determinate per le scelte a livello di Cop per accelerare percorsi di decarbonizzazione nel tentativo di evitare che le temperature della Terra superino un grado e mezzo”, ha affermato ancora il ministro a proposito del G7 Ambiente, Clima ed Energia che si svolge in questi giorni a Venaria (Torino).   —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Lionello (Unisalento): “Continente europeo più surriscaldato? Mi sorprenderebbe il contrario”

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(Adnkronos) – In Europa le temperature medie sono aumentate più che in ogni altro continente ma, pur restando allarmanti, i risultati del rapporto Copernicus sono anche la conseguenza di “tendenze intrinseche al cambiamento climatico”.  Lo spiega all’Adnkronos Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e presidente del network MedCLIVAR (Mediterranean CLImate Variability).  “La considerazione più importante ed essenziale da fare – esordisce Lionello – è che i gas serra si distribuiscono in modo approssimativamente uniforme su scala globale. In pratica, le emissioni dell’Italia non interessano solo il territorio italiano, lo stesso dicasi per quelle europee e così via. Un andamento completamente diverso rispetto, per esempio, alle emissioni di aerosol che tendono ad avere una persistenza breve in atmosfera e quindi un effetto più regionale e più limitato alle zone di emissione”.  Per questo occorre interessarsi non solo alle decisioni di casa propria: “Questo andamento dimostra una volta per tutte come il problema del cambiamento climatico sia una questione globale”. C’è poi un altro aspetto da considerare: “Durante una transizione, le alte latitudini tendono a scaldarsi di più delle zone tropicali. Allo stesso tempo, a livello superficiale, le masse continentali si scaldano di più delle masse oceaniche. Anche quando ci sono stati eventi caldi interglaciali in passato e le glaciazioni, il cambiamento climatico è stato molto più ampio in queste zone. Si tratta di tendenze intrinseche al sistema climatico, quindi mi sorprenderei nel vedere il contrario in questa fase di riscaldamento che ha sicuramente una importante componente antropogenica”, spiega il professore che ha contribuito alla redazione del sesto rapporto Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change), pubblicato lo scorso anno.
L’Unione europea si sta muovendo nella direzione e alla velocità giusta o le resistenze di alcune parti politiche rischiano di compromettere il cammino green dell’Ue?
“Quello che si può osservare è una progressiva attenzione a livello normativo e tecnologico da parte dell’Unione Europea nei confronti del cambiamento climatico che ha portato effettivamente a una riduzione delle emissioni. Le emissioni negli ultimi venti, trenta anni nel complesso stanno diminuendo anche negli Stati Uniti”.
Si tratta di un miglioramento sufficiente in prospettiva?
“No. Infatti, nonostante l’impegno di Ue e Usa, le emissioni su scala globale stanno aumentando”. Ancora una volta, quindi, il passaggio cruciale sta nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a una sfida comune: “La consapevolezza che il clima sia una questione globale è fondamentale. Il contrasto al cambiamento climatico – prosegue il professor Lionello – non può che passare attraverso strategie condivise a livello internazionale almeno dai principali emettitori che in questo momento sono l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Cina e l’India. Al tempo stesso però è importante essere consapevoli delle differenze tra i problemi ambientali e l’inquinamento”, sottolinea. Dunque, se è vero che per contrastare il cambiamento climatico serve una sinergia internazionale, bisogna osservare che i singoli interventi dei Paesi sono fondamentali per i cittadini che vivono quei territori: “Da un punto di vista decisionale, è difficile che chi dà priorità al contrasto del cambiamento climatico non dia anche priorità alla lotta all’inquinamento e alla tutela degli ecosistemi. È vero che queste misure devono essere condivise a livello internazionale per contrastare l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. È anche vero, però, che le strategie e le decisioni anti inquinamento prese dalle istituzioni hanno effetti molto positivi sull’ambiente e sui servizi ecosistemici che riguardano i cittadini europei”.
Siccità, rischio desertificazione ed eventi atmosferici estremi: ci sono alcune zone dell’Italia a rischio nel prossimo futuro?
“Eviterei catastrofismi privi di fondamento scientifico. Sicuramente i dati testimoniano aumenti delle temperature medie importanti per gli ecosistemi e per l’ambiente in cui viviamo, ma non al punto da rendere inabitabili alcune zone d’Italia almeno nel medio termine. C’è una alterazione del ciclo idrologico, ma non tale da compromettere la sostenibilità delle risorse idriche, soprattutto se gestite in modo opportuno”.
Non ci sono e non ci saranno mai più le mezze stagioni?
“Tendiamo ad attribuire qualsiasi evento meteorologico al cambiamento climatico senza un’opportuna interfaccia scientifica. Spesso ci basiamo sui nostri ricordi, ma i nostri ricordi sono dei fallaci indicatori dei cambiamenti perché tendono a trascurare la variabilità e ricostruire dei paradigmi del nostro passato. Il fatto che questa interruzione della ciclicità delle stagioni venga concepita descritta ormai come ‘evidente’ non ha alcun riscontro nelle evidenze scientifiche”.  Delle prove scientifiche dell’alterazione non mancano, ma vanno trattate nella loro specificità: “Il riscaldamento è evidente; il cambiamento delle precipitazioni in alcuni territori è evidente; gli aumenti delle statistiche delle ondate di calore sono evidenti”, spiega il prof. Lionello, che aggiunge: “Anche l’alterazione del ciclo della stagionalità è evidente: l’inverno arriva un po’ dopo e finisce un po’ prima, l’estate comincia un po’ prima e finisce un po’ dopo. Ma non possiamo farne una deduzione scientifica perché abbiamo ancora pochissimi cicli stagionali su cui basare le nostre osservazioni”.  Il professore ci tiene però a sottolineare: “Molti effetti del cambiamento climatico sono evidenti e hanno natura antropogenica. Nel caso delle stagioni, la statistica è ancora insufficiente per dire che c’è un cambiamento definitivo del ciclo”. A margine del rapporto sullo stato europeo del clima 2023 del Copernicus Climate Change Service e dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’appello del professore a valutare con rigore i fenomeni climatici è ancora più utile se si parla del Mediterraneo. La causa è scientifica: “Il Mediterraneo è una zona di transizione tra il clima subtropicale a sud, in gran parte del Nord Africa, e un clima oceanico umido o continentale-temperato a Nord”.
In cosa si traduce questa particolare condizione?
“Nel fatto che ogni piccolo spostamento di questa linea di transizione genera una variabilità. In particolare la variabilità della precipitazione è sempre stata una caratteristica della regione mediterranea, quindi della parte dell’Italia centro meridionale. Ci sono sempre stati lunghi periodi di scarse precipitazioni e lunghi periodi di intense precipitazioni. Sicuramente stiamo alterando il clima rendendolo più caldo e meno piovoso su gran parte dell’Italia, le evidenze del riscaldamento ci sono tutte e da molti anni.
Le evidenze delle alterazioni dei regimi di precipitazione – conclude il professor Lionello – sono più sottili anche se cominciano a emergere e vanno nella direzione di una diminuzione delle precipitazioni su gran parte dell’Italia e di un aumento degli eventi estremi sul Nord Italia vanno in questa direzione”. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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