La Grecia, l’Europa e il nodo Stato-Mercato

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Friedrich Nietzsche
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Un appunto su cui riflettere del 1883 su socialcomunismo e proprietà privata di F. Nietzsche. Ci riconduce alla partecipazione democratica, alla trasformazione dell’uomo da oggetto a soggetto attivo del suo destino e della società, come in qualche modo avrebbe desiderato Marx con le sue teorie che però non hanno superato le prove del Novecento come previsto da Friedrich Nietzsche

Debbo confessare che per me personalmente, già marxista della prima ora, il frammento postumo che segue è stato un pugno nello stomaco, il più pesante e critico appunto che il filosofo tedesco abbia scritto. Con un tono sprezzante oltre i confini dell’offesa personale, Nietzsche fa una analisi del movimento nato dalle teorie di Marx atroce, ma tragicamente e tristemente confermata dall’esperimento sovietico e non solo, che lui aveva invocato in queste righe e previsto nelle sue conclusioni.
Molte questioni restano aperte nelle società moderne democratiche, sul rapporto tra Stato e mercato, tra proprietà privata e proprietà pubblica, tra interesse individuale e interesse generale e molti «esperimenti» indicano punti di equilibri più avanzati che vanno affinati continuamente in quanto come scrive un continuatore del filosofo tedesco la democrazia non può essere un concetto vuoto.
Ciò ci riconduce alla partecipazione democratica, alla trasformazione dell’uomo da oggetto (delle circostanze, del mercato come vediamo in questi giorni) a soggetto attivo del suo destino e della società, come in qualche modo avrebbe desiderato Marx con le sue teorie che però non hanno superato le prove del Novecento come previsto da Nietzsche nelle righe che seguono.
C’è di che riflettere nel mentre l’Europa e non solo è attraversata dalle tempeste dei mercati e mostra una debole reattività (con alcune eccezioni), figlia di quell’indebolimento globale a cui si riferisce il filosofo tedesco, con toni che suonano effettivamente offensivi quasi volgari, ma che dipingono in qualche modo la realtà emergente del nostro tempo.
Su questi temi che avevamo lungamente trattato negli incontri della Comunità della Cultura di Antonio Landolfi al Cafè Notegen continueremo a riflettere e discutere dopo il primo incontro tenuto a Nepi il 3 settembre sull’Arte del Potere e del Governo dello Stato con altri incontri sul rapporto tra Stato e mercato e sul senso dello Stato la sua efficienza e il rapporto tra diritti e doveri nella filiera pubblica privata che in particolare in Italia merita una rivisitazione verso equilibri più avanzati nell’interesse dello Stato e dei singoli, come dimostrano le gravi turbolenze in corso nei vari teatri europei con minacce che puntano sui suoi confini e non solo e dalla rilevanza di uno sviluppo economico ordinato e compatibile ed efficace senza il quale rischia oltre alla perdita di territori, anche alla sconfitta anche più pesante sui mercati con derive tipo Grecia, oltre che nello stesso villaggio globale terrestre che rischia di precipitare nel caos climatico ambientale, nel menefreghismo dei nuovi aspiranti emergenti che non badano alla salute del lavoratore o al livello di qualche inquinante nell’aria o nelle acque, ma a vincere e perché no a stravincere, mentre nel ricco e viziato «primo Mondo» si litiga su capricci vari (vedasi la triste telenovela dell’Ilva di Taranto e mille altre storie equivalenti di ogni giorno con cui si strozzano le proprietà e le imprese ).
Buona domenica di mare o di monti dalla bella Italia che resiste.

Nietzsche sul socialismo marxista

Il socialismo (come tirannia portata alle estreme conseguenze dei più piccoli e dei più sciocchi, dei superficiali, degli invidiosi e di coloro che sono per tre quarti attori) di fatto è la logica conseguenza delle idee moderne e della loro anarchia latente, ma nell’area tiepida del benessere democratico si infiacchiscono le capacità di trarre le conclusioni. Si segue ma non si deduce più.
Per questo il socialismo nel suo insieme è una cosa senza speranza, andata a male e niente è più divertente a vedersi che i socialisti (e di che sentimenti miserandi e acciaccati testimonia perfino il loro stile!) e innocua felicità di agnelli delle speranze e dei desideri. Ma con tutto ciò, in molti posti in Europa oggi è possibile qualche colpo di mano da parte loro. Il prossimo secolo soffrirà di «brontolii» qua e là e la Comune di Parigi, che anche in Germania ha i suoi protettori e fautori forse è stata solo un’indigestione rispetto a quello che verrà.
E tuttavia ci saranno sempre troppi proprietari perché il socialismo possa essere più di una malattia e questi proprietari sono qualcosa come «un uomo una fede»: «bisogna possedere qualcosa per essere qualcosa». Ma questo è il più antico e più sano di tutti gli istinti: io aggiungerei che bisogna voler avere di più di quel che si ha, per diventare di più. Così suona infatti la dottrina che la vita stessa predica a tutto quel che vive: la morale dello sviluppo. Avere e volere di più, in una parola crescita, è la vita stessa.
Nella dottrina socialista mal si cela una «volontà di negazione della vita», debbono essere uomini e razze malriusciti quelli che escogitano una tale dottrina. In effetti io vorrei che si dimostrasse con alcuni grandi esperimenti, che in una società socialista la vita nega se stessa, recide le sue stesse radici. La terra è abbastanza grande, e l’uomo ancora abbastanza inesausto, perché una tale dimostrazione ad absurdum possa apparirmi desiderabile, anche se dovesse venire acquisita e pagata con enorme dispendio di vite umane. In ogni caso il socialismo, come inquieta talpa nel sottosuolo di una società che rotola verso la stupidità, potrebbe essere qualcosa di utile e salutare: per opera sua viene ritardata «la pace in terra» e il totale addomesticamento dell’animale gregario democratico, e il socialismo costringe gli europei a conservare un certo spirito, ossia, astuzia e prudenza, a non rinnegare del tutto le virtù virili e guerresche, e a conservare un resto di spirito, di lucidità, di sobrietà e di freddezza di spirito, per ora è il socialismo a difendere l’Europa dal marasmus feminismus che lo minaccia. (F. Nietzsche 1883)

 

Vincenzo Valenzi