Da vent’anni in difesa dell’ambiente

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Dal primo numero di «Villaggio Globale» abbiamo parlato di biodiversità, fotoni, energia verde, siccità, cambiamenti climatici, Ogm… quando questi temi si sono affacciati sulla società con l’intenzione di modificarne gli stili di vita e non erano ancora di dominio pubblico. Così come oggi, in pieno trumpopulismo continuiamo a parlare della centralità dell’ambiente in un momento storico di forti tensioni politiche, economiche e di un degrado ambientale crescente

Quest’anno «Villaggio Globale» compie 20 anni. Le idee, quando iniziano il loro cammino, si muovono lentamente e solo alla distanza rivelano il loro valore o la vacuità. Ma questo vuol dire dover lavorare spesso contro corrente, in silenzio e duramente. Ed è quello che abbiamo fatto noi.
Il termine Villaggio Globale è usato per la prima volta nel 1964 da Marshall McLuhan, studioso delle comunicazioni di massa, nel libro «Gli strumenti del comunicare». Gli anni 60 sono stati anni di un forte impulso mondiale che hanno profondamente innovato culture, filosofie, scienza, società, modelli di riferimento.
La forza della comunicazione e degli scambi fra popoli era palpabile, il mondo improvvisamente è diventato un sistema nervoso unico la cui complessificazione non conosce rallentamenti. Da qui nasce il concetto di globalizzazione. E presto si inizierà a parlare di globalizzazione positiva e globalizzazione negativa.
I vantaggi dei benefici dell’accelerazione degli scambi sono stati evidenti da subito, ma non è cresciuto, contemporaneamente il livello politico della gestione di questa evoluzione. Così il solco fra le cose buone e quelle cattive si è accentuato. I centri di potere dei due aspetti si sono divaricati sempre di più.
Nel 1989 il crollo dei paesi comunisti ha dato ulteriore forza a questo processo continuando a sbilanciare l’equilibrio verso una visione prettamente commerciale e tecnologica. C’erano già state le crisi petrolifere, il Club di Roma, inascoltato, aveva già dato i primi allarmi, il mondo scientifico già parlava da anni di riscaldamento globale e nel 1988 era già nato l’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change). Sembrava che si fosse imboccata una strada costruttiva e ci si aspettava il risanamento ambientale e l’avvio di nuove tecnologie. Ma, man mano che i vari Rapporti diventavano sempre più precisi e dettagliati sul nostro futuro climatico, lo storico Protocollo di Kyoto del 1997 ha incontrato sempre più difficoltà tanto che è entrato in vigore solo il 16 febbraio del 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. La sua applicazione è slittata in aggiustamenti continui ed ancora non conosce una piena applicazione.
Ormai, con gli anni 90, gli effetti negativi della globalizzazione sono conclamati: degrado ambientale, rischio dell’aumento delle disparità sociali, perdita delle identità locali, riduzione della sovranità nazionale e dell’autonomia delle economie locali, diminuzione della privacy.
Inizia un lungo processo di radicalizzazione delle idee che ancora continua; la sinistra, o meglio la nuova sinistra, non riesce a rinunciare alle sirene del liberalismo e, soprattutto, non riesce ad elaborare un nuovo modello di sviluppo.
Ed è in questo momento che decidiamo di fondare «Villaggio Globale». La necessità è quella di favorire il dibattito sulla creazione di nuovi modelli di sviluppo dove l’ambiente occupi un posto centrale.
Un cammino in salita, con l’aiuto di pochi amici, in un momento iniziale che ci aveva visti lanciati perché la domanda di conoscenza era forte.
Poi tutto è andato via via rallentando. Quei pericoli che noi stessi avevamo paventato con lo strapotere del mercato, del marketing, di un mondo di plastica e con l’abdicazione del cervello sono andati via via concretizzandosi. Questa è la sorte di chi fa da battistrada: pochi dei contemporanei capiscono o vogliono correre il rischio di seguirti.
Abbiamo parlato di biodiversità, fotoni, energia verde, siccità, cambiamenti climatici, Ogm… quando questi temi si sono affacciati sulla società con l’intenzione di modificarne gli stili di vita. Così come oggi, in pieno trumpopulismo continuiamo a parlare della centralità dell’ambiente in un momento storico di forti tensioni politiche, economiche e di un degrado ambientale crescente.
Nell’Editoriale del primo numero scrissi: «”Come si possono comprare o vendere il cielo e il calore della terra? Noi non siamo padroni della freschezza dell’aria e dello zampillare dell’acqua”, così si espresse il capo indiano della tribù dei Duwanisch, Sealth, in una lettera che inviò nel 1854 al presidente americano Franklin Pierce dopo che aveva ricevuto la richiesta di acquistare parte dei territori indiani.
«È lo scontro di due culture, due modi diversi di essere nell’ambiente. Un conflitto antico, in realtà, probabilmente ancora lontano dalla soluzione considerando le difficoltà che si incontrano nel modificare il rapporto dell’uomo con la natura, l’interazione dei mezzi di produzione con la biosfera, il controllo finale delle merci, il calcolo del costo reale, in energia, dell’azione umana».
Oggi non c’è Franklin Pierce ma Trump, la situazione mondiale è peggiorata e nonostante i cambiamenti climatici in atto ancora le risposte che la nostra civiltà dà sono di voltarsi dall’altra parte.
Ci auguriamo profondamente che questi siano gli ultimi colpi di coda del vecchio che non vuole morire.
Per questo abbiamo programmato per il 2017 quattro numeri sulle conquiste umane: Volare, Camminare, Navigare, Scalare. Una sorta di lettura della volontà dell’uomo attraverso l’ottica delle sue conquiste.
Ci auguriamo che i nostri lettori continuino a seguirci ed anzi si moltiplichino perché le idee hanno forza e possibilità di successo se sono condivise e diventano volontà collettiva.