Parlare una interculturalità inclusiva

729
Tempo di lettura: 5 minuti

«In una prospettiva pedagogica, abbiamo voluto lasciar da parte il dialogo dei massimi sistemi teologico-dottrinali per guardare invece all’influenza che le varie tradizioni religiose hanno sulla quotidianità delle persone. Il nostro obiettivo è che le persone, i giovani soprattutto, possano porsi di fronte alle tradizioni religiose e ai comportamenti che ne derivano (sia i propri sia quelli di chi appartiene ad altre culture) per favorire la capacità di esplicitare le differenze in modo non timoroso, non pericoloso, non tentennante, perché non c’è nulla di vergognoso da nascondere»

Si sta tenendo a Bari, da sempre porta di accesso e di scambio con le diverse culture del Mediterraneo, il Convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Intercultura Onlus, intitolato «Il Silenzio del Sacro».
Un convegno che vuole dedicare del tempo a discutere non sulla dottrina religiosa bensì sulla dimensione culturale delle religioni partendo da una domanda di base: «Perché il sacro è un territorio sottratto al dialogo interculturale?».
È frequeste infatti che nelle relazioni con persone di culture diverse, si preferisce evitare di approfondire la dimensione delle differenze religiose perché si teme di inoltrarsi in un territorio «minato» in cui sarebbe impossibile evitare di ferire sensibilità, toccare quello che per molti va ritenuto intoccabile. Una «evasività» che crea una sorta di angolo cieco in cui si radicano incomprensioni reciproche, distorsioni, caricature, ostilità aventi come risultato ultimo quello di precludersi dal costruire un effettivo dialogo trans-culturale.
Lo scopo del Convegno è dunque quello di far emergere un appello a trasformare il «silenzio del sacro» nelle «voci del sacro», voci di autentico rispetto e di dialogo, non compatibile con il silenzio.
Roberto Ruffino, Segretario Generale della Fondazione Intercultura, spiega: «In una prospettiva pedagogica, abbiamo voluto lasciar da parte il dialogo dei massimi sistemi teologico-dottrinali per guardare invece all’influenza che le varie tradizioni religiose hanno sulla quotidianità delle persone. Il nostro obiettivo è che le persone, i giovani soprattutto, possano porsi di fronte alle tradizioni religiose e ai comportamenti che ne derivano (sia i propri sia quelli di chi appartiene ad altre culture) per favorire la capacità di esplicitare le differenze in modo non timoroso, non pericoloso, non tentennante, perché non c’è nulla di vergognoso da nascondere. Lo scopo finale è quello di uscire dall’angolo privato e spesso inconsapevole di cui godono questi fattori culturali per arrivare a uno spazio di dialogo e di maggiore apertura e di consapevolezza».
Non tutti conoscono la Fondazione Intercultura Onlus, una Fondazione costituita nel 2007 dall’Associazione Intercultura per mettere a frutto il patrimonio unico di esperienze educative internazionali accumulato nel corso di oltre 60 anni di storia. Una Fondazione che ha come obiettivo quello di favorire la cultura del dialogo e dello scambio interculturale tra i giovani promuovendo ricerche, programmi e progetti che aiutino le nuove generazioni ad aprirsi al mondo e a vivere da cittadini consapevoli e preparati in una società multiculturale.
E non sono solo i convegni internazionali ad essere promossi dalla Fondazione bensì anche un vasto programma di borse di studio per studenti delle scuole superiori, che consente ogni anno a migliaia di ragazzi di vivere un’esperienza di vita e di studio in oltre 65 Paesi diversi oltre che la direzione dell’«Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca», in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Ma torniamo al convegno internazionale «Il Silenzio del Sacro»…
In occasione del Convegno, Ipsos ha realizzato un sondaggio su un campione di 800 persone, rappresentativo dell’universo italiano, per comprendere che tipo di rapporto hanno gli italiani con persone di altre religioni e come sia cambiata la loro stessa relazione con la religione nazionale.
Il risultato che ne è emerso è che ancora molta strada va fatta, poiché il confronto è visto possibile solo se il primo passo verso la conoscenza viene fatto da chi arriva da un altro Paese: metà del campione infatti ritiene possibile l’integrazione con persone di altre culture religiose che vivono in Italia, solo se queste si mostrano rispettose della cultura e delle tradizioni cristiane.
Ancora più evidente dalle risposte, è una fotografia dell’Italia spaccata in due: da una parte i più giovani, sotto i 30 anni che vivono sulla propria pelle una convivenza con altre culture sin da piccoli, dai banchi di scuola e che quindi si dicono sia più aperti al dialogo, sia scettici rispetto alla capacità delle istituzioni di essere da catalizzatori di un processo volto al cosmopolitismo. Dall’altra, le persone più mature che, per loro ammissione, hanno avuto molte meno occasioni di incontrare chi ha una provenienza culturale e religiosa diversa dalla propria e che hanno, per forza di cose, una visione meno completa e approfondita dei processi di integrazione.
Un’Italia spaccata in due anche geograficamente in questo processo di integrazione e che vede, influenzati probabilmente dalla presenza più massiccia di immigrati rispetto ad altre parti del Paese, e quindi forse più aperti al confronto, coloro che abitano nelle regioni meridionali e nelle isole maggiormente inclini ad accettare la necessità di lasciare le persone libere di comportarsi secondo la propria cultura religiosa, adottando, anche nei contesti pubblici, comportamenti e rituali tipici che non ledano la libertà altrui rispettando le tradizioni e le usanze di tutti.

«Villaggio Globale» ha avuto l’onore di esserci al convegno e di parlare con i ragazzi, sia italiani sia stranieri, che hanno vissuto un esperieza all’esterno. Ragazzi che ci hanno raccontato la loro storia, i loro progetti, come hanno vissuto la loro unicità, e questo anche sotto il profilo religioso, in una terra non propria avente caratteristiche differenti e questo sotto il profilo istituzionale, della formazione, del complesso sociale. Abbiamo scoperto che negli Stati Uniti si preferisce non discutere di religione in luoghi pubblici ma l’argomento lo si affronta separatamente in comunità più circoscritte quali la famiglia, gli amici e questo perchè potrebbe essere all’origine di fraintendimenti e criticità; abbiamo poi ascoltato esperienze provenienti dall’America latina dove invece il fattore religioso è strettamente pregnante nel tessuto sociale e questo sin dalla nascita con una frequentazione assidua delle comunità religiose propense ad accettare un dialogo interculturale includente. Abbiamo ascoltato l’esperienza di un barese ad Hong Kong che ha parlato del rispetto della cultura cristiana in termini quasi esclusivamente «consumistici» poco legati ad una fede fatta di gesti quotidiani.
Abbiamo chiesto ai ragazzi…
La tradizione religiosa quale essere nel vivere quotidiano, un essere che non sia timoroso o qualcosa di vergognoso da nascondere ma che rappresenti il singolo soggetto nella completezza del proprio io… In un mondo sempre più interconnesso e multiculturale qual è il futuro del dialogo interreligioso inteso non in termini di rituali religiosi ma di dimensione umana del confronto tra credenti di diverse confessioni? Quale la sfida di un mondo che possa definirsi veramente interculturale?
Una domanda che ha visto aperto un tavolo interculturale bellissimo dove ognuno ha voluto esprimere la proria opinione, con la propria lingua, la propria formazione, la personale cultura e vissuto.
E allora ci si è mossi dal dire che «il tuo modo di vivere non è l’unico modo ma ci sono anche altri modi tutti da rispettare», «dobbiamo imparare tutte le culture e vivere nel rispetto dello stare insieme», «si dice tanto ma non si fa niente di pratico in un momento storico dove ci sono conflitti sanguinosi che celano la loro origine trincerandosi dietro una religione accondiscendente creata da falsi stereotopi dettati dall’ignoranza, conoscere ciò che è diverso da noi e la globalizzazione dovrebbe velocizzare questi meccanismi di convivenza», «conoscere le religioni e avvicinarsi in maniera quasi laica ad esse», «nell’istruzione definire non l’ora di religione ma l’ora di religioni che permetta un confronto più aperto soprattutto ora che abbiamo più culture a confronto e questo praticamente farlo non facendo nominare, ad esempio, i professori dai vescovi ma nominarli nelle stesse identiche modalità delle altre materie di studio», «il dialogo deve nascere dall’individuo che vuole creare una dialogo con il diverso e che si deve sentire in obbligo di volerlo creare».
Un convegno pieno di voglia di essere se stessi all’interno di un mondo che parla lingue diverse che hanno la volontà di comunicare e aprire dialoghi che permettano di conoscersi nel profondo, e questo a priscindere dalla fede religiosa praticata.
Perché se anche sono diverso da te ho voglia assieme a te di costruire un mondo che riesca a comunicare creando ponti interculturali di scambio e questo nel miglioramento continuo di entrambi.