Ma nella nostra galassia siamo soli…

3578
spazio
Tempo di lettura: 6 minuti

Esiste una possibilità concreta che la specie umana possa essere l’unica senziente in tutta la galassia. Queste considerazioni emergono da una serie di calcoli statistici che dipingono un quadro ben differente rispetto all’ottimismo generale che caratterizza le innumerevoli scoperte di esopianeti fatte negli ultimi venti anni, in particolare grazie al telescopio Kepler

Molti studiosi ipotizzano che a causa di una serie di eventi fortuiti, concatenati tra loro, il nostro pianeta possa essere l’unico abitato da forme di vita, intelligente e non, nell’intera galassia.

Queste considerazioni emergono da una serie di calcoli statistici che dipingono un quadro ben differente rispetto all’ottimismo generale che caratterizza le innumerevoli scoperte di esopianeti fatte negli ultimi venti anni, in particolare grazie al telescopio Kepler.

Attualmente, infatti, sono migliaia i pianeti, scoperti attraverso le diverse metodiche di osservazione indiretta, che orbitano attorno a diverse stelle della Via Lattea. Molti hanno caratteristiche chimico-fisiche che li rendono inospitali per la vita, almeno quella che conosciamo noi; qualcuno ha invece qualità interessanti (pianeta roccioso, con massa poco più grande del nostro e distanza ottimale dalla sua stella di appartenenza e che risulta essere una nana gialla simile al nostro Sole).

L’ottimismo che regna sovrano e stimola queste ricerche potrebbe subire una battuta d’arresto dettata da una serie di considerazioni statistiche che renderebbero improbabile la scoperta di vita al di fuori del globo terrestre.

Il primo anello della lunga catena fortuita di eventi che avrebbe portato alla nascita della vita sul nostro pianeta e che si ritiene possa difficilmente avverarsi altrove, è legato dalla metallicità delle stelle.

Le prime stelle che si sono formate a partire dalle nubi di idrogeno ed elio formatesi dopo il big bang erano costituite solo da questi due elementi. Mano a mano che la fucina nucleare progrediva, alcuni di questi astri hanno generato al loro interno elementi più pesanti che sono stati rilasciati nel mezzo interstellare alla morte degli stessi: sono questi gli elementi che hanno costituito le nuove nubi gassose da cui sono originate le stelle delle generazioni successive che hanno iniziato a sviluppare pianeti, fatti appunto da elementi più pesanti di idrogeno ed elio, orbitanti loro intorno.

Il nostro Sole ha un’età di 4,5 miliardi di anni, mentre si stima che l’universo ne abbia 13,5.

La stella di casa nostra è costituita per il 71% da idrogeno, 27% elio e il rimanente 2% è costituito da elementi pesanti, che originano da astri che l’hanno preceduta.

È incredibile come solo il 2% della metallicità abbia potuto formare i pianeti rocciosi del sistema solare che conosciamo. È altresì interessante considerare che solo il 2% di elementi più pesanti dell’elio (come silicio, carbonio, ossigeno ecc.) si sia formato in miliardi di anni: dal momento che stelle più vecchie del Sole hanno metallicità più basse, quindi, mancano di pianeti rocciosi simili alla Terra. Viceversa, i pianeti giganti gassosi come Giove o Saturno, sono di più facile formazione e si possono trovare intorno a stelle più vecchie del Sole, ma non possono ospitare vita.

Un ulteriore fattore che può essere preso in considerazione per quanto riguarda l’insieme delle condizioni fortuite che ha portato alla formazione di un pianeta abitabile, è rappresentato dalla distanza della Terra dal centro galattico che risulta essere favorevole alla formazione della vita e alla sua protezione, garantendone lo sviluppo cui è stata sottoposta.

I lampi gamma

Il centro galattico infatti è sede di eventi mostruosi che liberano enormi quantità di energia che sterilizzano tutto ciò che si trova nelle vicinanze: basta pensare agli eventi di supernovae che scaturiscono dalla morte delle stelle con massa enorme e caratterizzate da una metallicità elevata o agli strani eventi energetici noti come lampi di raggi gamma, intesi come emissioni massicce di onde elettromagnetiche dalla potenza enorme che possono provenire da diverse direzioni nel cielo. Sono talmente frequenti che se ne osserva almeno uno al giorno e provengono da galassie lontane. Il lampo gamma più antico mai osservato proveniva da una galassia distante tredici miliardi di anni-luce dalla Terra.

Anche la via Lattea, come tutte le galassie, è stata interessata e sarà teatro di lampi gamma che, verosimilmente, nasceranno dal centro galattico. Studi statistici dicono che i lampi gamma si originano ogni cento milioni di anni circa sterilizzando tutto quello che si trova a ridosso del centro galattico.

Anche per le singole galassie esiste quindi una zona abitabile che si ritiene estendersi da 23.000 a 30.000 anni-luce dal centro galattico: un quartiere tranquillo, senza balordi che devastano il parchetto sotto casa, insomma.

Esistono poi una serie di caratteristiche speciali che rendono lo stesso sistema solare una piccola eccezione all’interno dei differenti sistemi stellari extragalattici scoperti fino ad ora: la presenza di orbite planetarie quasi circolari crea ordine all’interno del caos generato dal moto dei mondi intorno alla stella. L’orbita quasi circolare permette al pianeta abitabile di non subire variazioni elevate dell’irraggiamento da parte della stella, garantendo il mantenimento delle condizioni fisiche a cui la vita si adatta.

Ci sono poi caratteristiche intrinseche alla Terra che hanno permesso lo sviluppo ed il mantenimento della vita.

La tettonica a placche, ad esempio, permette di trasportare elementi pesanti dal nucleo della Terra verso la superficie, garantendo il mantenimento di cicli di elementi preziosi alla vita, come il carbonio. Nel sistema solare pare che la Terra sia l’unico pianeta caratterizzato dalla tettonica a placche.

Lo stesso fenomeno permette all’uomo di trovare a profondità accessibili gli elementi chimici che costituiscono la sua tecnologia.

Il nucleo metallico terrestre, inoltre, ruotando su se stesso, genera un campo magnetico che protegge il pianeta dalle radiazioni nocive provenienti dalla nostra stella e dalle altre galassie.

Marte, molto simile alla Terra, è ritenuto un pianeta un tempo bagnato da ampi oceani, ricco di acqua e, probabilmente, dotato di atmosfera.

La mancanza di un nucleo rotante o l’arresto della sua rotazione hanno determinato la scomparsa del campo magnetico: l’atmosfera del pianeta rosso è stata letteralmente strappata da Marte, aggredita dalle radiazioni ionizzanti.

L’importanza della Luna

La presenza di una grande Luna ha rappresentato poi una doppia protezione per il nostro pianeta: un satellite grande rappresenta infatti un bersaglio grande per l’impatto di eventuali asteroidi che altrimenti colpirebbero la Terra. Il sistema Terra-Luna, caratterizzato da un satellite con dimensioni così ragguardevoli comparate con quelle del pianeta cui orbita intorno, rappresenta un’eccezione nel sistema solare.

La Luna ha, inoltre, rappresentato uno stabilizzatore naturale del moto della Terra che è soggetto nel suo moto intorno al Sole, ad una naturale oscillazione sul suo asse che, grazie al nostro satellite, non cade mai troppo lontano dalla verticale.

Una volta formatosi il sistema Terra-Luna, la vita si organizzò sul nostro pianeta con una velocità prodigiosa.

I primi organismi viventi risalgono a 3,5 miliardi di anni fa, più recenti di un miliardo di anni rispetto al pianeta che li ospita. Il fenomeno ha una tempistica incoraggiante: la vita compare in fretta appena si ravvisano le condizioni ideali per la sua nascita.

I primi esseri viventi, organismi unicellulari detti procarioti, hanno rappresentato però l’unica forma di vita del pianeta per i tre miliardi di anni successivi: è come se il prologo di un ottimo libro si protraesse per l’86% del libro stesso.

Questi procarioti ancestrali erano in tutto e per tutto simili agli attuali batteri: strutture delimitate da una membrana che regola gli scambi con l’ambiente esterno e che delimita uno spazio circoscritto all’interno del quale avvengono le reazioni chimiche che permettono il sostentamento della cellula e la sua riproduzione.

Si tratta quindi di organismi mirabili ma molto meno organizzati rispetto alle cellule che comparvero circa 1,5 miliardi di anni fa, gli eucarioti.

Questi ultimi, pur mantenendo la loro organizzazione unicellulare, si dotarono al loro interno di un nucleo morfologicamente evidente, riflesso di una miglior compartimentazione e organizzazione dell’ambiente delimitato dalla membrana.

Al loro interno ci sono anche delle strutture, i mitocondri, che rappresentano per le cellule un enorme balzo in avanti nella produzione, organizzazione e gestione dell’energia necessaria alla vita.

L’evento di formazione degli eucarioti parrebbe essere dettato, anche in questo caso, dalla fortuna. Una cellula grande preda una cellula più piccola ma, anziché assimilarla, instaura con essa un rapporto duraturo che verrà trasmesso ai propri discendenti.

Nonostante la formazione degli eucarioti rappresenti un ulteriore tassello di sviluppo della vita sul nostro pianeta, per la comparsa di organismi pluricellulari si dovette attendere un ulteriore miliardo di anni.

L’evento che ha generato la varietà di organismi pluricellulari che attraverso diversi esperimenti evolutivi, molti dei quali rivelatesi dei vicoli ciechi della sperimentazione, è conosciuto come l’esplosione del Cambriano, dal nome dell’era geologica cui risalgono i ritrovamenti dei primi organismi pluricellulari organizzati in prede e predatori.

Prima dell’esplosione cambriana esistevano organismi unicellulari semplici, al massimo organizzati in colonie senza specializzazione di compiti da parte dei singoli individui.

Circa 550-530 milioni di anni fa comparve la maggior parte dei più importanti raggruppamenti filetici i cui discendenti hanno originano la varietà di specie presenti sulla Terra.

L’insieme degli eventi di cui abbiamo parlato costituisce una catena di coincidenze che molti autori ritengono enormemente fortuita e statisticamente molto improbabile. Questo, insieme alla tenera età della nostra tecnologia (circa 150 anni) fa ritenere che la presenza della vita nell’universo sia altamente probabile, visto l’enorme numero di galassie e di stelle che le costituiscono, mentre sia poco probabile nella via Lattea.

Anche se non siamo, quindi, la sola civiltà tecnologicamente avanzata, è molto probabile che siamo una delle prime, se non l’unica.

In ogni caso l’umanità ha un enorme obbligo morale nei confronti di questo pianeta, delle specie che lo popolano e delle generazioni future: che ci siano altre civiltà che guardano le stelle di notte o che si sia soli nella nostra galassia, stiamo compiendo adesso decisioni che detteranno, nel bene o nel male, il futuro di tutti noi e del pianeta che ci ospita.

Per saperne di più

Stefano Bossi