La maggior parte di termini legati alle tecnologie che utilizzano piante per il recupero di matrici ambientali contaminate contengono il prefisso «fito», dal greco ϕυτόν, pianta.
Le tecnologie qui descritte sono state studiate e sviluppate dalla comunità scientifica internazionale a partire dagli anni 80 e dunque sempre discusse in lingua inglese, si sono poi diffuse e ampiamente applicate per lo più in paesi anglofoni (Stati Uniti e Australia). Soltanto nell’ultimo decennio in Italia si sta diffondendo l’interesse per questo tipo di sistemi, il che spiega il fiorire di molti neologismi «fito», spesso sinonimi con significati sovrapponibili, che sono alla base dell’attuale confusione lessicale presente nella lingua italiana.
Per fare un po’ di chiarezza sull’argomento si citano di seguito i termini più utilizzati.
Fitorimedio, fitorisanamento, biorimedio fitoassistito, fitorimediazione: sono termini analoghi che fanno riferimento alla bonifica di suolo tramite le piante, con l’obiettivo di rimuovere l’inquinante.
Fitocontenimento, fitostabilizzazione: indicano la messa in sicurezza di un sito per mezzo di organismi vegetali con l’obiettivo di limitare la diffusione del contaminante nel suolo e nel sottosuolo.
Fitodepurazione: tecnica di trattamento delle acque basata sull’uso delle piante.
Per non sbagliare, in tutti questi casi si può parlare di «fitotecnologie», termine generale che riunisce nel suo significato tutte le tecniche di ripristino ambientale che utilizzano piante erbacee o alberi per il trattamento o il contenimento di inquinanti nel suolo, nell’aria, nelle acque superficiali, nelle acque di falda, e in scarichi agricoli, civili o industriali.
Laura Passatore, Fabrizio Pietrini, Serena Carloni e Massimo Zacchini, Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri (Iret), Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr)