Editoriale

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«Quando sentite i sindaci che promettono la città sostenibile o il turismo sostenibile e fanno aumentare le automobili in circolazione o i motoscafi o le seggiovie, che distruggono i boschi e sporcano l’aria e il mare, beni che le generazioni future dovrebbero trovare tali e quali come li abbiamo trovati noi, siate certi che vi prendono in giro». Così scriveva Giorgio Nebbia in un articolo pubblicato su «Villaggio Globale» nel marzo del 1999.

Ma il rigore non si applica agli umani e così, di mollezza in mollezza siamo arrivati a questo punto.

Il nodo è che va cambiato il modello di sviluppo. Se ne parlava già all’indomani dell’Earth Summit di Rio de Janeiro (1992), se ne parlava ancora più vivacemente nelle varie applicazioni dell’Agenda 21… ma il 21 secolo è arrivato e già, a quasi vent’anni, non si vedono cambiamenti sostanziali, anzi. Siamo arrivati all’innalzamento del livello del mare che è in accelerazione. Ora cresce al ritmo di 3,2 millimetri l’anno. E a gennaio, la media mensile del biossido di carbonio è aumentata ancora arrivando a 410 ppm.

Il riciclaggio è una realtà e molti paesi sono molto avanti, eppure crescono le isole di plastica e le microplastiche stanno diventando un grosso problema. e L’ultimo allarme Fao è drammatico: siamo vicini al collasso dell’intero sistema di produzione alimentare.

Che cosa non va in questa nostra società?

C’è un problema di fondo che non si vuole affrontare e risolvere: il nostro posto nell’ambiente. L’uomo si considera ancora esterno al pianeta, si crede più forte ed in grado di dominarlo, pensa di poter affrontare tutti i meccanismi che sono ancora a lui per gran parte ignoti, e trovare tutte le soluzioni. L’ingegnerizzazione della natura non può essere la soluzione perché il pianeta ci espellerà come un corpo estraneo senza che noi ce ne accorgiamo. Come, d’altra parte, già sta facendo.

Al contrario noi dovremmo copiare la natura nei suoi meccanismi senza sostituire i suoi processi, adattarci e non creare nuovi processi o materiali che sono ignoti e non sostenibili.

Un qualsiasi animale vive sul pianeta e non lascia traccia al di fuori delle sue orme. Le nostre orme invece sono ingombranti e sfidano i secoli.

Fino a quando questi processi erano in equilibrio con l’ambiente, anche noi non davamo eccessivo fastidio, ma poi la tecnologia e la sovrappopolazione hanno avuto il sopravvento ed il sistema pianeta è entrato in crisi.

La nostra cura e la nostra attenzione dovevano crescere di pari passo, ma non è stato così. Si sono cominciati ad immettere sul pianeta tecnologie e prodotti estranei senza curarci che tali prodotti passassero inosservati. Il commercio, il business, la richiesta si sono mossi con una velocità che ci sta portando lontano e solo dopo essere stati noi stessi le cavie di questo sistema ci accorgiamo dai danni gli errori che abbiamo fatto.

Ecco, un nuovo modello di sviluppo non vuol dire, come pensano gli stupidi, il ritorno alla candela, bensì l’invenzione di prodotti che quando non servono più non siano ingombranti e millenari…

Ma per ottenere questo, che passa anche da un nuovo modello di sviluppo del sistema bancario e politico, bisogna smettere la propaganda elettorale perenne, l’antagonismo economico fra Stati, il prevalere di scelte energetiche che sono un freno al nuovo e servono solo alla politica e agli equilibri internazionali.

Nel nuovo modello di sviluppo, la sostenibilità vuol dire l’assenza dell’odio, delle guerre, l’avvento della pace e della solidarietà. La sostituzione della ricchezza nelle mani di pochi con il benessere generalizzato perché vivere 70-80 anni o più, in una situazione di perenne competizione non è benessere, non è vita.

Le crisi economiche ravvicinate fanno il gioco dei ricchi, la ricchezza infatti, come foglie radunate da un vento costante, si raggruppa solo in alcuni punti. Quando si rifletterà che le crisi sono il conto della natura tenuto nascosto da un ragioniere che spende e spande? E dove sono le promesse della tecnologia salvifica che avrebbe risolto tutti i danni?

Quando il limone sarà totalmente spremuto rimarrà un paniere rinsecchito e inutile che qualcuno continuerà a chiamare natura.

 

Ignazio Lippolis