Greenpeace: stop agli allevamenti intensivi

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In azione davanti al ministero delle Politiche agricole: siamo in emergenza climatica, basta fondi pubblici al sistema degli allevamenti intensivi. L’agricoltura industriale e l’allevamento sono responsabili di circa l’80 per cento della deforestazione a livello mondiale, e gli allevamenti intensivi in Italia non sono estranei a questo meccanismo

gp carne 1Dalle 8 di questa mattina attivisti di Greenpeace sono in azione a Roma, di fronte al ministero delle Politiche Agricole, dove hanno posizionato un gigantesco maiale che emette fumo dal naso per simboleggiare il contributo degli allevamenti intensivi alla formazione di gas serra, e rilascia un getto di acqua scura: i liquami, che inquinano suolo, acqua e aria.

Mentre è in corso a Helsinki il Consiglio informale dei ministri Ue dell’Agricoltura sulla Pac (Politica Agricola Comune), Greenpeace chiede alla ministra Teresa Bellanova di agire subito e avviare il cambio di rotta necessario per affrontare la crisi climatica in corso e tutelare la nostra agricoltura.

«Gli allevamenti intensivi sono vere e proprie fabbriche, principali responsabili delle emissioni di ammoniaca e seconda causa di inquinamento da polveri fini in Italia — dichiara Federica Ferrario, responsabile Campagna agricoltura di Greenpeace Italia —. Il nuovo governo ha dichiarato di avere tra le proprie priorità la lotta ai cambiamenti climatici. Questa è un’occasione per dimostrarlo. La crescente produzione di carne è responsabile, ad oggi, del 14 per cento delle emissioni di gas serra in Europa; un contributo pari a quello del settore dei trasporti, finora non affrontato adeguatamente dalle politiche nazionali e internazionali».

L’agricoltura industriale e l’allevamento sono responsabili di circa l’80 per cento della deforestazione a livello mondiale, e gli allevamenti intensivi in Italia non sono estranei a questo meccanismo: nutrire il gran numero di animali stipati nei capannoni richiede grandi quantità di mangimi e di terre per colture, come la soia, che ogni anno importiamo massicciamente nel nostro Paese.

«Il settore agricolo è tra i più penalizzati dai cambiamenti climatici e solo adottando politiche in grado di frenare realmente il riscaldamento globale si potrà dare un vero sostegno al “Made in Italy”, che deve diventare garanzia di qualità anche in termini di impatti ambientali, e non essere sacrificato sull’altare della quantità», prosegue Ferrario.

Ogni anno, attraverso la Pac, miliardi di euro di fondi pubblici vengono spesi per finanziare il sistema degli allevamenti intensivi (allevamento e produzione di colture destinate alla mangimistica); al contempo, in Italia, tra il 2004 e il 2016 hanno chiuso oltre 320mila aziende agricole (un calo del 38 per cento), mentre quelle rimaste diventano sempre più grandi e intensive.

«È ora di utilizzare il denaro pubblico per sostenere le aziende che producono in modo ecologico, smettendo di foraggiare un sistema inquinante, con costi ambientali e sociali non più sostenibili come quello degli allevamenti intensivi», conclude Ferrario. «Non è più possibile voltare lo sguardo o attendere oltre, perfino gli incendi in Amazzonia sono legati ad un sistema di sovrapproduzione di carne che sta letteralmente divorando il Pianeta. Noi siamo qui per ricordare l’urgenza di questa scelta al nuovo governo, e saremo in piazza in tutta Italia con i Fridays for Future affinché i riflettori sulla crisi climatica non si spengano».

Il movimento globale dei Fridays for Future ha dedicato una giornata nell’ambito della settimana di mobilitazioni per il clima, proprio agli impatti climatici dell’eccessiva produzione di carne.

Una mobilitazione sostenuta anche da Greenpeace, che ritiene necessario, per limitare l’innalzamento della temperatura globale e per rispettare l’Accordo di Parigi, dimezzare produzione e consumo di carne entro il 2050, sostenendo, anche economicamente, la transizione verso modelli ecologici di produzione del cibo.

(Fonte Greenpeace)