Con il Tuff via libera alla distruzione dei boschi

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Tipico bosco di fragno
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Il 7 ottobre scorso il ministro per le Politiche Agricole e Forestali, Teresa Bellanova, in piena seconda ondata della pandemia, adotta il decreto con l’intesa delle Regioni sancita il 10 settembre scorso. Pare, quindi, che la necessità primaria sia quella di consentire trasformazioni dei boschi senza impegno di compensazioni da parte di chi le attua e non certo quella di responsabilizzare i «trasformatori»

In Italia è possibile trasformare boschi, cioè eliminare la vegetazione arborea ed arbustiva, per una serie di esigenze che non siano selvicolturali. Lo stabilisce il Tuff (Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali, Decreto Legislativo n. 34/2018) che statuisce pure il principio per cui ogni trasformazione deve essere compensata a cura e spese di chi è stato autorizzato alla trasformazione. Il Tuff demanda alle Regioni l’approvazione dei «criteri di definizione delle opere e dei servizi di compensazione per gli interventi di trasformazione del bosco, nonché gli interventi di ripristino obbligatori da applicare in caso di eventuali violazioni all’obbligo di compensazione». Ma di questi criteri ad oggi non vi è neanche l’ombra; le Regioni tacciono ed anzi preparano testi di legge per adeguarsi al Tuff che, come nel caso della Puglia, fanno scorrere brividi dietro la schiena.

Sempre il Tuff prevede che vengano stabilite, con decreto ministeriale, linee guida volte a definire, da parte delle Regioni, le attività di trasformazione del bosco esentate da compensazioni ambientali. Ed ecco che, in questo caso, il miracolo si compie. Il 7 ottobre scorso il ministro per le Politiche Agricole e Forestali, Teresa Bellanova, in piena seconda ondata (o prosecuzione della prima, fate voi) della pandemia, adotta il decreto con l’intesa delle Regioni sancita il 10 settembre scorso. Pare, quindi, che la necessità primaria sia quella di consentire trasformazioni dei boschi senza impegno di compensazioni da parte di chi le attua e non certo quella di responsabilizzare i «trasformatori».

Lo strumento delle «linee guida», poi, è sempre abbastanza difficile da interpretare. Cioè è difficile comprendere che cosa possa accadere nel caso in cui non si osservino, se si può essere sanzionati o meno. Comunque, evidentemente, al Mipaaf intendono seguire una linea (guida) di sottrazione di superfici boscate più che responsabilizzare chi si propone di trasformarle.

L’incipit del documento ministeriale riguarda gli interventi da effettuare in zone boscate situate in Siti Natura 2000 oppure in altre aree protette (punto 2.2, lettera a). In questi contesti eventuali azioni di ripristino di habitat di interesse comunitario o riconosciuti dalla Rete Natura 2000 possono essere esentati da compensazioni, se previsti negli strumenti di pianificazione delle stesse aree. Ma tra tutte le fattispecie di trasformazione dei boschi individuate per cui poter applicare l’esonero dalle compensazioni, ce n’è una, la lettera d) che sembra far tornare indietro nel tempo, ad oltre un secolo fa. Infatti se a trasformare il bosco, beninteso previa autorizzazione, è un imprenditore agricolo che destina quell’area a coltura agricola o a pascolo, la trasformazione non dà luogo a compensazione ambientale. Ma l’attività non deve cessare prima di dieci anni dal suo inizio. Diversamente, il terreno trasformato torna giuridicamente ad essere bosco e l’imprenditore è tenuto ad una serie di compensazioni previste nel Tuff. Ci si domanda, però, se su quella stessa area trasformata ma che torna sulla carta ad essere bosco, un altro imprenditore agricolo possa riattivare a distanza di poco tempo un’istanza di trasformazione.

La possibilità di sottrarre bosco per l’agricoltura ed il pascolo, cioè disboscare, fa tornare in mente le relazioni di Francesco Saverio Nitti nella commissione d’inchiesta parlamentare del primo decennio del secolo scorso sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali ed in Sicilia. Ne «La statistica dei boschi ed il loro stato attuale» veniva descritta la consistenza del patrimonio boschivo in Basilicata e Calabria e venivano riportate le dichiarazioni del sottoispettore forestale di Melfi, Domenico Cherubino. «Oltre i due terzi dei terreni dissodati — diceva Cherubino — non lo dovevano, né lo potevano essere, se le Amministrazioni in genere non fossero state compiacenti. Le conseguenze sono state talmente disastrose che, pur inducendo il Governo a sostenere dei grandi sacrifizi pecuniari, difficilmente potrà conseguirsi una completa riparazione. Certamente tali sacrifizi si impongono nell’interesse pubblico, però è necessario di destinare in provincia funzionari capaci, molto pratici nei lavori di rimboscamento, affezionati ai luoghi, e nemici delle lungaggini burocratiche […]».

In Puglia, ad esempio, l’applicazione di questa linea guida ministeriale e non solo di questa, attraverso norme regionali si scontrerebbe quasi sempre con le norme di attuazione del Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr) che ha disposto la tutela paesaggistica penetrando anche nei livelli di protezione ecologica di molti sistemi naturali. E meno male, verrebbe da dire. Ma lascia interdetti che la tutela degli ecosistemi forestali debba essere demandata a norme paesaggistiche (ed a relativi funzionari delle Soprintendenze del tutto a digiuno della materia) mentre quelle di settore sono ormai tutte orientate a fare dei boschi terra di conquista distruttiva.

 

Fabio Modesti