Il suicidio collettivo dell’umanità

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Un albero di Sumaúma, vero gigante della natura
Un albero di Sumaúma, vero gigante della natura
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Il sacco del Brasile

Tutte le denunce cadono nel vuoto, dato che il cinismo ufficiale adottato esime questi «governatori» da qualsiasi spiegazione pubblica. Quanto più la stampa, la televisione, i media digitali denunciano, tanto più il paese appare anestetizzato, il che permette che si accetti progressivamente l’orrore impiantato dal 2019 e portato a piena esecuzione quest’anno

Un articolo di Evando Nascimento pubblicato sulla sua rubrica «O Pensamento Vegetal», che era stato scritto per la Revista lusófona «Pessoa» (1).

Quest’anno, per tre mesi, da luglio a settembre, ho sospeso la ricerca per il libro che sto scrivendo circa «Il pensiero vegetale». Questa interruzione è la conseguenza in parte di problemi personali ma, soprattutto, del delirio che sta travolgendo il Brasile in questo periodo, e che si è palesato negli incendi criminali in Amazzonia e nel Pantanal.

Non è d’altronde la prima volta che, durante una ricerca, si è prodotto un incendio nel mio «oggetto di studio» (e che è molto più di un mero «oggetto», appunto). È successo nel 2009, quando buona parte della collezione dell’artista plastico Hélio Oiticica, legata al Projeto HO, con sede nel quartiere di Jardim Botânico, a Rio de Janeiro, è andata in fiamme. All’epoca stavo lavorando a un progetto finanziato dal Consiglio nazionale di sviluppo scientifico e tecnologico (Cnpq), che aveva come uno dei suoi temi l’opera di Oiticica, ed è stato per me difficile avanzare nella mia ricerca. E a peggiorare il tutto, la circostanza di aver saputo del disastro per bocca del mio vecchio e caro amico Ricardo Oiticica, cugino di secondo grado dell’artista, durante un evento a cui partecipavamo all’Università di Santa Cruz (Uesc), a Ilhéus, nella regione del cacao, dove sono nato. Il colpo è stato tremendo.

Nel prosieguo darò continuazione alla ripresa di Scritta vegetale, che procede con molto dolore.

Genocidio, etnocidio, fitocidio, zoocidio: il suicidio collettivo dell’umanità

Nel momento in cui riprendo la scrittura di questo saggio, il 22 settembre 2020, dopo una lunga pausa, lo «spresidente» del Brasile ha appena finito un suo cupo discorso in apertura all’Assemblea dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel quale, tra molte assurdità, ha affermato che il nostro è «uno dei paesi che più proteggono la natura».

Per settimane, il Brasile e il mondo hanno visto l’Amazzonia e il Pantanal bruciare, in quello che chiamo olocausto vegetale. Davanti allo spettacolo atroce di calcinazione delle piante e degli animali silvestri, questo governo non ha fatto niente. O meglio: non ha utilizzato gli stanziamenti previsti per la protezione ambientale, non ha agito per rinforzare le brigate antincendio e soprattutto ha incentivato i proprietari di fazenda ad appiccare il fuoco dolosamente, fiamme che si sono estese rapidamente in aree di preservazione ambientale nel territorio del Pantanal. In uno dei suoi viaggi negli Stati Uniti, che così tanto l’hanno ispirato nei suoi deliri distruttivi, il Bolsonazista (non riesco a chiamarlo in altro modo) ha manifestato il suo desiderio di sfruttare economicamente l’Amazzonia, parole che si traducono in: deforestamento, sottrazione di terra e incentivo alle attività nocive di pascolo e di estrazione.

Un reale e articolato progetto di distruzione ambientale

Questo discorso, che fa il paio con le politiche dell’anti-ministro Ricardo Salles, con l’appoggio ogni volta più entusiasta del vicepresidente Hamilton Mourão, si configura come un reale e articolato progetto di distruzione ambientale, che non ha niente di aleatorio, ma anzi appare sistematico e rigoroso. Nessun effetto hanno ottenuto le lamentele internazionali dei paesi con i quali il Brasile ha o ricerca accordi commerciali, come i paesi dell’Unione europea, e neppure le critiche degli imprenditori più sensibili alle problematiche ambientali, o quelle dei numerosi attivisti e di altri gruppi che si sono opposti alla lista di questi crimini che includono il genocidio e l’etnocidio degli indigeni: l’assassinio dei popoli che vivono nella foresta e la conseguente estinzione della loro cultura.

Tutte le denunce cadono nel vuoto, dato che il cinismo ufficiale adottato esime questi «governatori» da qualsiasi spiegazione pubblica. Quanto più la stampa, la televisione, i media digitali denunciano, tanto più il paese appare anestetizzato, il che permette che si accetti progressivamente l’orrore impiantato dal 2019 e portato a piena esecuzione quest’anno. La pandemia del coronavirus altro non ha fatto che aggravare la passività della maggioranza della popolazione brasiliana; ma è vero anche che una grande parte non è per niente passiva, ma si è alleata attivamente alla politica ufficiale, non solo attraverso i discorsi sulle reti sociali, ma anche attraverso atti inqualificabili che seguono alla parole.

Impunità garantita

Esiste un vero e proprio esercito informale di «bravi cittadini», che provocano le leggi, facendo dichiarazioni misogine, omofobiche, razziste e che disprezzano ogni norma di tutela ambientale, quando non vengono direttamente alle mani, avendo dalla loro la certezza dell’impunità. Impunità garantita da un sistema giuridico ogni giorno più allineato al bolsonarismo, con l’appoggio delle milizie di Rio de Janeiro e di quella parte del contingente poliziesco che si riconosce nell’ideologia di estrema destra. Si aggiunga una parte consistente e rappresentativa dell’imprenditoria che aiutò a eleggere il presidente estremista e che continua a appoggiarlo incondizionatamente. In altre parole, come nella Germania nazista, il governo di estrema destra non agisce mai solo, ma con la complicità di svariati segmenti della società che giurano fedeltà agli eletti, e confermando concretamente la grande affinità con l’ideologia vigente.

In un libro, decisamente visionario fin dal titolo, edito nel 2009, e nuovamente pubblicato nel 2013, «Al tempo delle catastrofi: resistere alla barbarie che si avvicina», Isabelle Stengers spiega molto bene il legame tra quello che l’autrice chiama Imprenditore, Stato e Scienza, tutti con la maiuscola, in una argomentazione che corrisponde perfettamente alla fattispecie brasiliana, ma anche di altre nazioni:

 

«Forse è possibile associare il momento in cui si può realmente parlare di capitalismo con quello in cui l’Imprenditore può contare con uno Stato che riconosce legittimità alla sua esigenza, come si palesa dalla definizione “senza rischio” del rischio associato all’innovazione. Quando un industriale dice, quasi piagnucolando, “Il mercato giudicherà”, sta in realtà celebrando la conquista di questo potere. Non dovrà rispondere alle conseguenze (probabilmente poco desiderabili) di ciò che viene immesso sul mercato, purché ciò non violi un divieto esplicito formulato dallo Stato, una proibizione scientificamente esplicita e che non risponde all’imperativo della proporzionalità. Quanto alla scienza, che in tutte le aree ha ricevuto una autorità riconosciuta sulla definizione dei “rischi” che devono essere considerati, questa non ha molto a che vedere con le scienze. Non ci deve sorprendere se gli specialisti che giocano a questo gioco sanno che saranno credibili solo se le loro opinioni saranno le più “ponderate”, ossia se daranno il loro consenso alla legittimità dell’innovatore e al suo investimento». (Tradução Eloisa Araújo Ribeiro, ed. CosacNaify, 2015, p. 59-60).

 

Ciò che la filosofia chiama scienza corrisponde alla ricerca e all’applicazione di risultati al servizio dell’ideologia statale e imprenditoriale, e molto diverge dalle pratiche scientifiche che preservano l’autonomia investigativa, senza vizi ideologici. Si ha in tal senso, in Brasile, una biopolitica statale, scientifica e d’impresa nella sua versione più definitiva: il cinismo e la menzogna si uniscono per nascondere con una foglia di fico ciò che tutta la comunità internazionale vede – la rapida, accelerata distruzione del patrimonio naturale e del patrimonio culturale (in diversi aspetti, sono quasi inseparabili) della nazione. Il discorso all’Onu era ricolmo di menzogne, ma non serve a niente denunciare l’accaduto dato che il cinismo ufficiale neutralizza ogni cosa. È un po’ come se i mandanti dicessero a ogni occasione: sappiamo che sapete che stiamo mentendo, ma ciò non ha la minima importanza perché siamo al potere e faremo tutto ciò che ci piace senza che voi possiate impedircelo. Tutte le dichiarazioni rese all’Onu sono false, cito un’altra affermazione che sintetizza lo sproloquio mitomane: «La nostra foresta è umida e non consente la propagazione del fuoco al suo interno. Gli incendi sono localizzati praticamente negli stessi posti, nel margine est della foresta dove il caboclo e l’indio bruciano la terra incolta per sopravvivere in zone già disboscate».

Dinanzi alla prepotenza dello Stato, che si arroga il diritto di occuparsi della società, con la sponda di quella parte cooptata dalla Scienza e appoggiato dagli Imprenditori neoliberali, Stengers propone una nuova arte del prendersi cura, la quale dovrebbe essere praticata da gruppi non governativi, proprio quelli che vengono considerati pericolosi dalla autorità poiché in grado di «turbare l’ordine pubblico» (p. 71). Dal mio punto di vista, questi gruppi potrebbero costituire associazioni antirazziste, anti-omofobiche e anti-misogine ma anche comitati o istituzioni impegnati sul fronte ambientale, capaci di opporsi alla politica dell’olocausto vegetale portata avanti dall’antiministro Salles, con l’appoggio del Bolsonazista e del suo viceministro.

Un vero e proprio fitocidio

Il grande problema è ponderare gli effetti sociali di un’azione che contrasti le pratiche genocide, etnocide e antiambientali di questo anti-governo brasiliano. In questo momento il grado di soddisfazione verso questo governo ha raggiunto un inspiegabile 40%, malgrado l’irresponsabilità ufficiale relazionata alla conduzione della politiche ambientali, come, altresì, alla gestione della crisi sanitaria dovuta al coronavirus. Sebbene ben lungi dai mille dollari enfaticamente vantati dal presidente durante il suo intervento all’Onu, il sussidio emergenziale concesso ai disoccupati durante la pandemia spiega bene l’indice di gradimento in crescita. Gli ultimi sondaggi rivelano una estrema destra e una destra più moderata ben consolidate nel contesto nazionale (nonostante le svariate critiche internazionali) e una sinistra confusa nelle sue strategie, siano queste riferite alla penetrazione sociale dei suoi progetti, siano esse meramente elettorali, come ancora usa presso alcuni dei politici più tradizionali.

Per quanto riguarda il nostro tema, le piante, è bene ricordare la condizione tragica nel quale il regno vegetale si trova ormai da mesi, un vero e proprio fitocidio, ossia lo sterminio programmato del regno vegetale, che perde così qualsiasi diritto alla «sovranità». L’anno scorso, questo Presidente ha blaterato una delle sue frasi-lapidarie, dietro alle quali si intravede il raziocinio iper-efficiente della distruzione: «l’interesse in Amazzonia non sono gli indios, e nemmeno quei cazzo di alberi, sono i minerali». La vergognosa e lapidaria affermazione è stata fatta il 1° ottobre 2019 davanti al Palazzo del Planalto, davanti a una platea di garimpeiros provenienti dalla Serra Pelada. Gli «indios» e «i cazzo di alberi» sono entrambi gli emblemi di due dei maggiori nemici dei «bravi cittadini»: gli indigeni e le piante, due illustri abitanti dell’Amazzonia e del Pantanal, come anche della vegetazione atlantica e di altri biomi rilevanti. La politica contro l’ambiente passa da questo odio dichiarato, e del quale la campagna per le elezioni presidenziali del 2018 è stata la brutale manifestazione, durante la quale il presidente e il suo futuro vice, Mourão, hanno rilasciato dichiarazione sprezzanti nei confronti della comunità degli afrodiscendenti e altri gruppi etnici presi di mira da una compagna estremista di delegittimazione sociale.

Proprio così, di delegittimazione, perché è di questo che si tratta quando si parla di piante e dei legami che intrattengono con gli altri viventi, i quali rientrano nelle cosiddette «minoranze» sociali (alcune di queste, a dire il vero, maggioranze, come le donne, i negri e i meticci nella società brasiliana), gli animali, ma anche i minerali estratti con tecniche predatorie senza che sia nemmeno chiaro quale sia il guadagno per il paese.

Che lezione trarre da questa violenza che è prima di tutto fitofobica, come d’altronde l’espressione «i cazzo di alberi» rivela? Per averne reale contezza è lecito interrogarsi, assieme a scienziati, filosofi, artisti e giuristi di area progressista, quale sarebbe l’efficacia di un autentico pensiero vegetale, soprattutto adesso per opporsi a una estrema destra legittimata da un regime democratico in Brasile e negli Stati Uniti. Ciò significa indagare le aporie prodotte dal capitale nella sua fase iper-tecnologica, così da lottare a favore di una politica non economicistica della vita, capace di contrapporsi come biopotere. Questo va radicalmente distinto dalla biopolitica, la quale è sempre distruttiva per le sue connivenze con le imprese, mentre il biopotere si realizza come un potere che difende la vita, a partire da una sensibilizzazione ambientale. Un biopotere pensato nella sua complessità e che metta in relazione esseri viventi umani e non umani, includendo anche il mondo inorganico dei minerali e simili; un biopotere, quindi, capace di agire contro l’egemonia della biopolitica che mette assieme Scienza e Imprenditoria da un lato e Stato neofascista o di destra dall’altro.

Il teatro degli orrori

Osservo che i limiti tra destra e estrema destra sono sempre meno rigidi, nella misura in cui la destra, per ragioni economiche, accetta il degrado dei suoi valori socioculturali reso possibile da poteri neofascisti. Infatti ogni alleanza è lecita purché il Capitale ne esca potenziato e possa opporsi a quei gruppi che non detengono i mezzi di produzione. E ciò occorre nonostante le piante siano produttrici di plus-vita, ciò che nessun plusvalore capitalista fino ad oggi ha saputo accumulare nel suo complesso. Fino ad oggi almeno, dato che l’imprenditorialità aggressiva contro gli indios e «i cazzo di alberi» sarà portata avanti a qualsiasi costo e questo risulterà in uno sterminio di vite umane e non umane.

È ciò che ci propina ogni giorno il teatro degli orrori in programma, con gli assassini di capi indios, ma anche il tentativo di impedire che gli aiuti di viveri e acqua potabile raggiungessero le riserve indigene; da quanto sembra il suggerimento in questo senso è partito dall’antiministra della cittadinanza Damares Alves. Tutto ciò compone il quadro di una necropolitica che ci governa, per usare la formula usata da Achille Mbembe: la politica della morte, installata contro le vite precarie.

È necessario dare un altro passo inteso a illuminare meglio altri aspetti della vita vegetale, come antidoto contro la fitofobia, l’avversione per le piante, come anche la zoofobia che ne è parte. Non ignoro che l’espressione olocausto vegetale può inquietare, soprattutto in chi rileva l’uso improprio della parola olocausto per indicare lo sterminio degli ebrei durante il regime nazista tedesco, parola alla quale preferiscono il termine shoah. Impiego olocausto nel suo significato etimologico di «bruciare tutto», poiché è propriamente ciò che sta succedendo con le foreste brasiliane e di altri paesi, funestati da incendi dolosi seriali e dal conseguente degrado ambientale. Desidero con ciò enfatizzare altresì che le morti di questi esseri viventi prelude alla nostra asfissia e alla estinzione come specie, e con ciò avvicinando l’umanità allo stadio finale di vittima di se stessa, come già accadde parzialmente agli ebrei, agli omosessuali, agli zingari e ai disabili fisici o mentali che furono perseguitati e infine sterminati dai nazisti. Nessuna singola vita vale più di un’altra e il completo sterminio vegetale porterà con sé l’annichilamento di molte collettività umane e non umane, come già si palesa in varie parti del pianeta.

Può essere interessante ricordare le parole di Albert Einstein, in «Lotta contro il nazionalsocialismo: articolo di fede», all’atto della sua esclusione volontaria dall’Accademia prussiana delle Scienze, il che accadeva nel 1933, anno oltremodo simbolico:

 

«Mi rifiuto a restare in un paese nel quale la libertà politica, la tolleranza e l’uguaglianza non saranno più garantite dalla legge. Manterrò questa posizione per il tempo che sarà necessario. Per libertà politica intendo la libertà di esprimere pubblicamente o in forma scritta la mia opinione politica; e per tolleranza intendo il rispetto dovuto alle convinzioni individuali. «La Germania oggi non garantisce queste condizioni. Gli uomini più impegnati nella causa internazionale, ma anche alcuni grandi artisti, sono qui perseguitati». (Comment je vois le monde, traduzione francese Maurice Solovine e Régis Hanrio, ed. Flammarion, 1999, p. 91).

 

Lo stesso può dirsi della fragile democrazia brasiliana. Quando gli elementi primari per il mantenimento della vita, come le piante e gli animali silvestri, assieme ai popoli che abitano l’Amazzonia e il Pantanal, sono aggrediti da una politica di morte, genocida, etnocida, zoocida e fitocida, con la complicità del 40% o più della popolazione, ciò significa che la nazione ha perso quelli che sono i valori fondanti e il significato dell’esistenza. Lasciare il nostro paese, come dovette fare Einstein, in quella tragica contingenza, non sarà mai la soluzione, infatti nessuna forma di vita sul pianeta sarà risparmiata finché non si cambierà la congiuntura ambientale dominante in questo momento terribile momento.

Si dice che solo le popolazioni povere della terra saranno fortemente colpite dalle catastrofi climatiche provocate dall’uomo; tuttavia è difficile credere che, dopo un secolo di deterioramento globale, alcuni paesi privilegiati continueranno esenti dal degrado generale della vita, provocato dal ripetersi di crisi sanitarie. L’attuale pandemia mostra che nessuna nazione ricca è stata preservata dal contagio; al contrario, la maggior potenza mondiale, gli Stati Uniti, è stata travolta dagli effetti della politica negazionista dell’altro antipresidente, Donald Trump. Non ci sono barriere capaci di impedire l’invasione di un agente minuscolo come un virus, che si insedia nelle nostre cellule sane per moltiplicarsi all’infinito. Di questo passo siamo destinati al suicidio collettivo dell’umanità.

Non concludendo

Oggi, 10 ottobre, mentre concludo questo articolo, leggo l’inconcepibile dichiarazione della ministra dell’Agricoltura Tereza Cristina rilasciata questa settimana: «il disastro è occorso perché avevamo molta materia organica secca e forse se avessimo più bestiame nel Pantanal, il disastro sarebbe stato minore di quello che abbiamo avuto quest’anno – quindi ha aggiunto -: i bovini sono i pompieri del Pantanal». Nel suo torbido ragionamento, la Ministra stava insinuando che i pascoli non si incendiano con la stessa facilità degli alberi del Pantanal perché il bestiame si ciba di erba secca, cioè bisogna distruggere la vegetazione nativa e seminare erba da pascolo al fine di evitare gli incendi… Il cinismo ufficiale è senza limiti.

 

P.S.: Ho scattato questa foto (quella del titolo, N.d.R.) in una delle mie passeggiate al Giardino Botanico di Rio de Janeiro. Si tratta di una Sumaúma, un albero gigantesco proprio dell’Amazzonia che arriva a misurare cinquanta metri di altezza e due di diametro, ma non per questo resiste al potere distruttivo delle motoseghe. Avrei potuto scegliere una delle molte fotografie che attualmente illustrano gli articoli di giornale e i reportage di tutto il mondo, con immagini dell’Amazzonia e del Pantanal in fiamme. Non l’ho fatto per evitare la «ridondanza visiva» della catastrofe, che nonostante le buone intenzioni non fa che aggravare il male, lasciandoci più melanconici e paralizzati davanti alla devastazione in corso. Colui che mi ha presentato a questa meraviglia della natura è stato il filosofo e amico Roberto Machado, con cui, in gradita compagnia, ho fatto diverse passeggiate per il Giardino Botanico, un vero e proprio Eden, in mezzo a un pianeta sempre più devastato.

 

Evando Nascimento è scrittore, saggista, professore universitario & artista visuale. Ha scritto e pubblicato i libri di narrativa «Retrato Desnatural», «Cantos do Mundo» (finalista al Premio Portugal Telecom), entrambi con l’editrice Record, «Cantos Profanos» (Globo), e «A Desordem das Inscrições» (Contracantos, 7Letras). Attualmente è impegnato in un progetto narrativo, poetico e visuale in difesa delle piante e della vita: «Por um Pensamento Vegetal» (Per un pensiero vegetale). Ha insegnato nell’Università Federale di Juiz de Fora (Brasil) e all’Università di Grenoble (Francia). Ha inoltre realizzato corsi e conferenze in diverse istituzioni nazionali e internazionali, come l’Università di Parigi, la PUC di Valparaiso (Cile) e la Manchester University, tra le altre. Scrive una rubrica sulla rivista lusofona «Pessoa».

 

(1) Questo articolo è stato originalmente pubblicato sulla mia rubrica «O Pensamento Vegetal», per la Revista lusófona «Pessoa».

 

Evando Nascimento, articolo tradotto da Fabrizio Rusconi con il consenso dell’autore.