«Colpo» al caso Ripagnola anche da sentenza della Consulta?

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Un tratto di Costa Ripagnola, foto dal sito «I pastori della costa»
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Sta ora alla Giunta regionale pugliese ed al Consiglio regionale, se ve ne è la volontà, rimettere subito mano alla legge sul parco di Costa Ripagnola per adeguarla alla Costituzione anche sulla base di questa nuova sentenza, chiudendo tristi tentativi di salvataggio di progetti edilizi fuori dalla legge

Lascerà il segno la sentenza della Corte Costituzionale n. 276 del 1° dicembre 2020, depositata il successivo 21 dicembre, riguardante la legittimità dell’articolo 7 della legge regionale del Lazio n. 7 del 2018. La norma impugnata riguarda la modifica in ampliamento della perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica e stabilisce, tra l’altro, che nella zona di ampliamento e nelle more dell’adeguamento del piano per il parco vigono le misure di salvaguardia previste dalla legge regionale «madre» sulle aree protette regionali (la n. 29/1997) e dalla legge quadro sulle aree protette (Legge n. 394/1991). Ma in quella zona vi sono interventi edilizi con un piano integrato di intervento e, a dire degli imprenditori, le norme di salvaguardia impediscono la concretizzazione di diritti acquisiti.

La questione di costituzionalità della norma regionale è stata sollevata dal Tar Lazio al quale gli stessi imprenditori si sono rivolti per far valere le proprie ragioni. Il Tar ha ravvisato elementi di incostituzionalità e di irragionevolezza della disposizione regionale ed ha ritenuto che essa (senza corrispondere adeguato ristoro economico) abbia leso anche gli articoli 41 e 42 della Costituzione, relativi alla tutela della proprietà privata. La vicenda è complessa però la Consulta va al sodo dell’invocata lesione della Costituzione e statuisce (nuovamente) principi che ben potrebbero attagliarsi, ad esempio, alla vicenda del parco regionale di Costa Ripagnola in Puglia. Tra essi rilevante è quello dell’assimilazione delle «misure di salvaguardia previste dalla legge n. 394 del 1991 al regolamento e al piano del parco, nel senso della qualificazione di tali strumenti come necessari standard uniformi di tutela ambientale, in quanto diretti ad assicurare la rispondenza delle attività svolte nel parco alle esigenze ambientali». Solo per questo la legge regionale su Ripagnola sembra assolutamente «fuori squadra».

Altro principio rilevante è quello per cui «la sottoposizione a vincolo ambientale – quale è quello derivante dall’istituzione o ampliamento di un parco, in quanto diretto a conservare e proteggere il valore ambientale riconosciuto all’area interessata – mira a realizzare interessi di rango costituzionale, quali quelli protetti dall’art. 9, secondo comma, e dall’art. 32 Cost. (norme richiamate dall’art. 1, comma 1°, della legge n. 394 del 1991), che questa Corte ha qualificato come «valori costituzionali primari».

Alla realizzazione di questo obiettivo non può, all’evidenza, opporsi l’eventuale approvazione di un progetto di trasformazione edilizia, che, ove realizzata, metterebbe a repentaglio il pregio ambientale dell’area e si porrebbe quindi in contraddizione con l’avvenuto riconoscimento del suo valore. L’aspettativa edificatoria dei privati non può dunque essere considerata un elemento idoneo a impedire il pieno esplicarsi della tutela del bene riconosciuto di valore ambientale».

La Consulta ribadisce poi che «la legislazione regionale, infatti, qualora incida sulle aree protette (siano esse nazionali o regionali) deve conformarsi ai principi fondamentali contenuti nella legge quadro, la quale detta gli standard minimi uniformi di tutela, che le Regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non derogare in peius».

Ed anche in questo caso la legge istitutiva del parco regionale di Costa Ripagnola sembra minata in più punti. Sulla tutela della proprietà privata la Consulta rammenta che «la giurisprudenza di questa Corte esclude che i limiti alla proprietà aventi finalità di tutela paesaggistica e, in senso lato, ambientale ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 42, terzo comma, Cost., abbiano cioè carattere espropriativo e richiedano per questo un indennizzo». Di più, «la legge che limita le facoltà edificatorie dei beni connotati da particolare pregio (culturale, artistico, paesaggistico, ambientale) non comporta infatti un’illegittima compressione del relativo diritto di proprietà, giacché questo diritto è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive».

Sta ora alla Giunta regionale pugliese ed al Consiglio regionale, se ve ne è la volontà, rimettere subito mano alla legge sul parco di Costa Ripagnola per adeguarla alla Costituzione anche sulla base di questa nuova sentenza, chiudendo tristi tentativi di salvataggio di progetti edilizi fuori dalla legge.

 

Fabio Modesti