Com’è vivere il razzismo al contrario…
La storia di Giampaolo Sterton, un uomo dalla pelle bianca che in Kenya ci è nato e cresciuto. Padre irlandese, madre romana, Sterton è figlio di un colonialismo che ha portato molti cittadini del Commonwealth a stabilirsi in Kenya, perché dominio inglese. Veniva loro assegnato un appezzamento di terra sul quale poter costruire una abitazione e mettere poi radici in un Paese di neri
Africa orientale, Oceano Indiano, una vastità di acqua e terra, aree desertiche, laghi, altopiani, boschi, savana e la Rift Valley che lo attraversa da nord a sud, percorrendo un territorio in cui Madre Natura si è davvero superata. Questo e molto altro è la Repubblica del Kenya, Paese che diventa indipendente dal Regno Unito il 12 dicembre 1963.
Due le lingue ufficiali, l’inglese e lo swahili. Qui non sei nessuno se non le conosci entrambe, perché in Kenya per essere considerato del luogo ci devi nascere. E a volte non è nemmeno sufficiente.
Lo sa bene Giampaolo Sterton, classe ’66, un uomo dalla pelle bianca che in Kenya, però, ci è nato e cresciuto. Padre irlandese, madre romana, Sterton è figlio di un colonialismo che ha portato molti cittadini del Commonwealth a stabilirsi in Kenya, perché dominio inglese. Veniva loro assegnato un appezzamento di terra sul quale poter costruire una abitazione e mettere poi radici in un Paese di neri.
«Ho vissuto una sorta di razzismo al contrario — commenta Sterton — perché ero un bambino bianco tra i neri. In Kenya il bianco viene visto come il turista di turno, moneta che cammina, sfruttatore di terre e popoli, quindi è assolutamente necessario saper parlare anche la loro lingua locale. Qui non c’è la tolleranza verso il “diverso” che stiamo cercando di imparare noi occidentali. Dopo tutto quello che hanno subito, gli africani, i kenioti ti lasciano solo il tempo strettamente necessario per diventare uno di loro. Conoscere le loro usanze, le loro leggi (soprattutto quelle non scritte), la loro cultura. Che poi è lo stesso tempo necessario per imparare ad amare questa Terra così meravigliosamente bella e generosa, ma al tempo stesso avara e capace di riprendersi in un niente tutto ciò che ti ha donato».
In Kenya, ci racconta Sterton, la polizia locale è quasi totalmente corrotta e non esiste tutela per il cittadino che, con il tempo, ha imparato a farsi giustizia da sé. Furti, omicidi, violenze sono vendicate con il sangue: il criminale di turno viene spesso brutalmente giustiziato all’interno di una rete di convenzioni sociali che tollerano la crudeltà come forma di ritorsione. Un regolamento dei conti che passerà quasi sicuramente impunito, come la pratica della collana, in inglese «necklacing», o tortura dello pneumatico: una forma di esecuzione moderna, nata nella metà degli anni 80 dello scorso secolo in Sudafrica. Si legano mani e piedi delle vittime e poi si mette loro al collo uno pneumatico, a volte forzandolo sulle spalle per immobilizzarle, proprio come una collana. E poi si dà fuoco.
Ma il Kenya non è solo questo, è anche magia pura e bellezza imponente. Continua Sterton: «Se nasci in questa Terra, conoscerai il vero amore nei confronti della natura, quella senza recinzioni. Libera e selvaggia. I safari guidati sono per i turisti, chi invece è del luogo, attraversa la savana in totale solitudine, tra gli elefanti, le tigri e i leoni, le gazzelle e le zebre. Anche se la maggior parte dei kenioti non ha mai visto un elefante dal vivo in vita sua, perché in molti abitano ben lontani dai parchi naturali e privi di mezzi economici che possano loro permettere di visitarne uno».
Difatti il keniota ha un rapporto conflittuale con la natura circostante e il bracconaggio è sostenuto materialmente e moralmente dalla popolazione locale. Chi uccide un elefante per le sue zanne d’avorio è il povero. Il bracconiere è figlio della povertà. Per pochi spiccioli ammazza l’animale e spesso con metodi rudimentali che lasciano agonizzare l’elefante per giorni interi.
Sterton conclude il suo racconto di vita parlandoci un po’ di sé: studia in una scuola privata keniota fino all’età di 17 anni, poi raggiunge la madre in Italia e si diploma qui. Dai 19 anni intraprende la sua carriera come pilota privato, toccando tutta la costa orientale dell’Africa, fino al Qatar. Ora è in pensione e per lunghi periodi dell’anno vive a Roma, la sua seconda patria.
Valentina Nuzzaci