È il caso dell’impianto fotovoltaico industriale, della superficie di oltre 37 ettari per oltre 17 megawatt di potenza, da realizzare nel Lazio, a Tuscania in provincia di Viterbo. Errori procedurali e carenze che aprono più di uno spiraglio contro la tutela paesaggistica
Non in tutte le situazioni la tutela del paesaggio e dei beni ambientali ha eguale trattamento, anche in sede giudiziaria. E, soprattutto, non sempre fruisce di adeguata assistenza tecnica e giuridica. È il caso di una recente sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, la n. 2983 dell’11 febbraio 2021, pubblicata il 12 aprile scorso. Oggetto del contendere un impianto fotovoltaico industriale, della superficie di oltre 37 ettari per oltre 17 megawatt di potenza, da realizzare nel Lazio, a Tuscania in provincia di Viterbo.
A presentare ricorso contro la precedente sentenza del Tar Lazio dell’aprile 2020, che aveva confermato la legittimità dell’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione Lazio all’impianto, il ministero dei Beni culturali (ora della Cultura). Il Mibact lamentava una serie di illegittimità procedurali nello svolgimento del procedimento amministrativo per il rilascio dell’autorizzazione ed anche una «subvalenza», dichiarata dalla Regione, delle tutele paesaggistiche rispetto all’interesse economico dell’impianto ed al raggiungimento della quota di taglio alle emissioni climalteranti assegnato al Lazio (il cosiddetto burden sharing).
L’intervento occuperebbe aree intercluse tra porzioni di territorio già sottoposte a tutela dal Piano Paesistico laziale (Ptpr), recentemente annullato dalla Corte Costituzionale, in quanto riconosciute di interesse archeologico, «di cui — secondo il Mibact — deve essere garantita la tutela nel senso più ampio, anche sotto il profilo visuale e in considerazione del grado di invasività dell’intervento. Sebbene, a causa dell’assenza di formale provvedimento di vincolo specifico sull’area direttamente interessata dall’installazione dell’impianto di cui trattasi, la disciplina di tutela recata dal Ptpr non possa essere direttamente invocata, tuttavia la reale tutela del bene culturale richiederebbe, anche prima (ed eventualmente in funzione) dell’imposizione di uno specifico vincolo, la più attenta considerazione dell’incidenza degli interventi sull’area, la quale sarebbe resa, a ben vedere, ancora più necessaria proprio dall’assenza di una tutela formalizzata con specifici provvedimenti».
Insomma, l’area non aveva specifiche tutele ma il Mibact chiedeva più attenzione nelle valutazioni regionali. La posizione del Ministero guidato da Franceschini non appare, in questo caso, particolarmente motivata e forte di fronte al massimo consesso di giustizia amministrativa che già altre volte ha «castigato» posizioni di tutela mal motivate.
Questa volta, però, la posizione del Mibact appare ancora più debole perché caratterizzata da un errore strategico, peraltro rilevato dallo stesso Consiglio di Stato. Infatti, il dissenso espresso da pubbliche amministrazioni competenti in materia paesaggistico-ambientale in procedimenti complessi trova una camera di valutazione extragiudiziaria nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma della legge sul procedimento amministrativo (Legge n. 241/1990, art. 14-quinquies). Meccanismo che, stigmatizza il Consiglio di Stato, il Mibact non ha attivato. E l’errore è stato ancor più esiziale perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è dimostrata molto attenta nella ponderazione degli interessi in gioco tra tutele paesaggistico-ambientali e interesse economico e pubblico nella realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Un errore strategico del Mibact, quindi, che ha aperto le porte ad una sentenza pro impianti energetici da fonti rinnovabili che potrebbe essere pericolosamente invocata come precedente anche in situazioni che interessano la Puglia. Una regione, questa, invasa da migliaia di istanze per la realizzazione di impianti fotovoltaici, agrifotovoltaici ed eolici per migliaia e migliaia di megawatt ma che, in fatto di raggiungimento degli obiettivi di burden sharing, di occupazione di suolo e di detrimento di paesaggio ed ambienti naturali, ha già dato eccome.
Fabio Modesti