Villetta Barrea, un caso italiano
In prima linea tra i profeti del taglio come «cura del bosco», figurano anche i cosiddetti «economisti forestali», in realtà mercenari cultori di un basso «scientismo» commerciale, che di alberi, boschi e foreste vedono soltanto un aspetto materiale, misurato in metri cubi, ma non riescono mai a elevarsi, né a percepire altro
Nel pieno dell’estate, infuria la polemica sull’importanza degli alberi e dei boschi per l’equilibrio climatico, idrogeologico, ecologico e ambientale del Paese, sempre più martoriato da siccità, alluvioni e meteo-caos. Paradossalmente, il fronte della natura s’è attestato ora nel cuore del più antico Parco nazionale italiano, proprio là dove ogni bosco dovrebbe essere rispettato come sacro, e di piani selvicolturali di taglio non si dovrebbe neanche discutere.
La battaglia in difesa della Pineta di Villetta Barrea nel Parco d’Abruzzo, infatti, è diventata il banco di prova della nostra capacità di conservare la natura, e resta l’ultima speranza per evitare che la cultura forestale precipiti nell’analfabetismo ecologico. Sarà la cartina di tornasole che mostrerà se davvero le selve naturali e seminaturali protette vengano prima o poi aperte, con i più ridicoli pretesti, alle motoseghe. Ciò che non si può negare, in ogni caso, è che attorno alle grandi foreste protette sia schierata in agguato un’orda famelica di tagliatori avidi di cippato, pellet, tavolame e materiale legnoso per gli usi più disparati, e soprattutto per le famigerate centrali a biomasse. Un esercito di mercenari impresentabili, camuffati da amici della natura, con la non disinteressata complicità dei centri di potere politico, economico, accademico e mediatico, strettamente uniti a proprio esclusivo profitto, ma con sicuro danno per la collettività.
In prima linea tra i profeti del taglio come «cura del bosco», figurano anche i cosiddetti «economisti forestali», in realtà mercenari cultori di un basso «scientismo» commerciale, che di alberi, boschi e foreste vedono soltanto un aspetto materiale, misurato in metri cubi, ma non riescono mai a elevarsi, né a percepire altro. Qualcuno dovrebbe spiegare a questi signori che nel «manto verde» del pianeta c’è molto, moltissimo di più. Perché l’ecosistema forestale comprende un mantello-cuscinetto di frescura e umidità, produce ossigeno e assorbe anidride carbonica: e inoltre ospita una incredibile ricchezza di flora e fauna, assicura la fertilità del suolo, l’equilibrio ecologico e idrogeologico, nonché la salubrità dell’ambiente circostante.
Contro l’assalto ai boschi dei Parchi si sono schierati però i veri naturalisti, i più autorevoli esperti botanici e forestali, e persino le stesse comunità locali. E poco resta da aggiungere alle loro valide argomentazioni, se non ribadire che, tagliando alberi, gli incendi non sarebbero evitati, ma addirittura favoriti. Ora che tutti invocano più verde per arginare la crisi ecologica e climatica, ogni Parco Nazionale che si rispetti dovrebbe essere in prima linea a difendere le proprie foreste. Altrimenti troverebbe conferma la classica affermazione di Stendhal e di Marguerite Yourcenar che «gli italiani odiano gli alberi».
In effetti, molti osservatori stranieri sono rimasti esterrefatti, apprendendo che si vorrebbe intervenire a colpi di motosega nel cuore del Parco, dove vivono animali preziosi come Orso marsicano, Camoscio d’Abruzzo, Lupo appenninico, Cervo, Capriolo, Gatto selvatico, Martora, Scoiattolo meridionale, Gufo reale, Picchio nero, Picchio di Lilford e molti ancora, oltre alla straordinaria Entomofauna. Davvero icastico il loro commento: «Sarebbe come affidare a un tirannosauro i cristalli di una gioielleria!».
Del resto, rientrando dopo un periodo di ricerche all’estero, abbiamo avuto l’amara sorpresa di scoprire che persino un quotidiano, una volta amico dell’ambiente, ha dato spazio alle impresentabili disquisizioni del partito dei tagliatori a oltranza, confermando l’abisso culturale in cui stiamo sprofondando. Basta invece scorrere la stampa straniera, per scoprire una circolazione di idee ben diversa. Come ad esempio sulla copertina di un giornale austriaco, dove l’Università di Vienna inneggia agli «Alberi, salvatori del clima». Proprio come da noi? Oppure consultando la recente opera «Le ultime selve naturali nel cuore dell’Europa», dove si possono leggere affermazioni mai sentite in Italia, su cui sarebbe bene riflettere: «Le nostre ultime foreste primigenie sono le ambasciatrici di un mondo antico, dove ancora può dominare indisturbata l’evoluzione naturale. Da molti millenni hanno saggiato le possibilità evolutive, creando infine un sistema estremamente stabile e perfettamente collaudato. Dobbiamo quindi prestare la massima attenzione a queste Porte della Terra di Mezzo».
Franco Tassi, Margherita Martinelli, Centro Parchi internazionale