La mobilità umana alla vigilia di nuove trasformazioni

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La scienza e la tecnologia forse ultimamente sono corse troppo avanti agli uomini e questi a volte si sentono smarriti come bambini che si passino di mano in mano congegni sofisticati, che si balocchino con astronavi e robot. Forse da ciò deriva quella scelta di riprendere a camminare a piedi che coinvolge oggi sempre più individui

Ho letto recentemente dell’intenzione da parte della Regione Puglia di dar vita ad un Parco Regionale dei Tratturi alla cui fattibilità stanno già lavorando il Politecnico di Bari e l’Università di Foggia.

In un passato ormai molto lontano i tratturi erano le vie erbose lungo le quali dai pascoli estivi sugli altopiani abruzzesi le greggi venivano spostate a quelli invernali delle pianure pugliesi. Dal 2019 questi percorsi, legati alla antica pratica della transumanza, sono entrati a far parte della lista del Patrimonio culturale immateriale Unesco ed ora la Puglia li vuole riqualificare in un’ottica di mobilità dolce sfruttando la buona onda del turismo lento caratterizzato dallo spostamento a piedi o al massimo in bicicletta.

Di questi tempi, infatti, quelli che furono nei secoli passati dei Cammini di fede stanno diventando quasi una moda turistica. Tra i tanti ricordo quello che conduce a Santiago de Compostela, in Galizia, dove si trova la tomba presunta dell’apostolo Giacomo, ma anche la Via Francigena che conduceva a Roma i pellegrini d’Oltralpe, con diramazioni al santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo sul Gargano e, sempre in Puglia, al santuario di Leuca eretto in onore di Santa Maria de Finibus Terrae. Caduti nell’oblio a seguito della spinta modernizzatrice del XX secolo, poco per volta a partire dagli anni 70 questi percorsi sono come rinati. E se nel 1982 si erano contati a Santiago 182 pellegrini oggi si sfiora il mezzo milione. Riflettendo sul fatto che una giornata di cammino a piedi corrisponde ad una mezz’ora di viaggio in automobile ci rendiamo conto della differenza enorme tra i due tipi di mobilità.

Il potersi muovere sui due arti inferiori ha caratterizzato il primo antenato dell’uomo determinandone la successiva evoluzione: quell’«Homo erectus» di cui l’antropologia ha individuato i primi spostamenti nel Paleolitico inferiore finalizzati essenzialmente al reperimento di cibo. Ciò si protrarrà per un lasso di tempo molto lungo sino a quando egli, una volta addomesticatolo, potrà giovarsi del cavallo la cui forza motrice troviamo ancora impiegata per il traino delle carrozze in tempi non molto lontani da oggi. Per il trasporto delle merci l’uomo invece cominciò con l’utilizzare delle bestie da soma e là dove c’erano corsi d’acqua si gioverà soprattutto di imbarcazioni mosse dai remi o dal vento. Infatti ancora nel secolo XVIII le strade di tutta Europa erano sterrate e maltenute rendendo difficoltosi gli spostamenti di persone e merci.

Per imbattersi in un «cambio di passo» strabiliante dobbiamo giungere alla fine di quel secolo quando a quelle imbarcazioni sarà applicata la forza propulsiva del vapore in seguito all’intuizione di un americano, Robert Fulton, che trasferitosi in Inghilterra, mise a frutto nel campo dei trasporti fluviali la macchina a vapore da poco brevettata dallo scozzese James Watt. Perfezionando lo sfruttamento di tale forma di energia nel secolo successivo verranno rivoluzionati non solo il lavoro industriale, ma anche i trasporti su terra con risultati sensazionali.

Ci si stava avviando così verso quel ritmo di vita, divenuto via via sempre più accelerato che oggi connota le nostre giornate grazie alla ideazione nel frattempo da parte dell’uomo di altre forme di propulsione applicate a nuovi mezzi di trasporto di uomini e merci. Questi sono stati certamente cruciali per la crescita economica e lo sviluppo delle nostre società, ma hanno determinato un impatto fortemente negativo sull’ambiente di cui da non molto tempo noi abbiamo preso coscienza. La mobilità è ritenuta infatti oggi responsabile di circa un quinto delle emissioni di CO2 presenti nell’atmosfera.

Ridurre le quattro ruote

Ed è proprio a seguito della necessità di ridurre queste ultime per combattere l’emergenza climatica, di cui vediamo i primi segni inquietanti, che si è reso necessario l’attuale passaggio epocale nel campo della mobilità su quattro ruote: dal motore a scoppio a quello elettrico. È questa una delle soluzioni pratiche più significative oggi individuate per poter onorare gli impegni dell’Accordo di Parigi: ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45 % entro il 2030 al fine di limitare l’innalzamento della temperatura globale del nostro Pianeta.

Ne è scaturita così a livello mondiale una competizione tra le varie case automobilistiche che già dalle prime battute fa presumere che, come in una gara olimpionica, ci saranno vincitori e vinti. Ai nastri di partenza della corsa all’auto elettrica si sono posizionate varie società: la nostrana Stellantis, il gruppo Volkswagen, la BMW, la Mercedes Benz, ma anche le giapponesi Nissan e Mitsubishi con l’alleata Renault, per non dire delle emergenti asiatiche come la coreana Hundai e la star cinese Byd che si appresta ad aggredire il mercato europeo con altri campioni cinesi come Nio, Xpeng e Great Wall. Ciò conferma l’ascesa ultra rapida in quel Paese dell’auto elettrica grazie al sostegno governativo, al progresso tecnologico e ai prezzi dei veicoli molto inferiori a quelli di Usa e Ue, così da insidiare pericolosamente in un prossimo futuro la produzione europea.

Nel 2021 a livello mondiale sono state immatricolate oltre 6,5 milioni di nuovi veicoli Bev, cioè a batteria, che corrispondono a poco più dell’8% del totale delle immatricolazioni. In Italia, mentre nel 2019 su 1,9 milioni di nuove immatricolazioni le elettriche erano solo circa lo 0,89%, nei primi cinque mesi del 2022 queste sono arrivate all’8,7% su 560mila immatricolazioni. Si stima che sempre nel nostro Paese nel 2030 le auto elettriche circolanti possano oscillare tra i quattro e gli otto milioni. Se ne deduce che i veicoli con motore tradizionale o ibrido resteranno ancora per un po’ di tempo preponderanti. Secondo le previsioni su scala globale si dovrà aspettare il 2030 per assistere al sorpasso delle Bev sulle auto cosiddette Ice, quelle spinte da un motore a combustione interna. Ma a partire dal 2035, quando non si potranno più produrre, almeno in Europa, motori diesel o a benzina, le auto elettriche dovrebbero diventare un prodotto da mercato di massa.

Neppure l’attuale crisi energetica sembra oggi bloccare il nuovo paradigma della mobilità ecosostenibile. Anzi alcune case automobilistiche, come la Mercedes e i cinesi di Geely, si stanno industriando già da ora a progettare l’auto del futuro di cui abbiamo un primo saggio nella Smart 1 dotata di un assistente digitale, una sorta di avatar rappresentato da una volpe rossa che interagisce con il conducente. Ma proiettato nel futuro è già anche il suv Oli firmato Citroën dal design originalissimo e dalla capacità di trasformarsi e adattarsi a funzioni diverse.

Oggi, però, le batterie, indispensabili per i veicoli Bev, da noi pesano ancora sul listino dei prezzi poiché i rari minerali come litio, cobalto e nichel, necessari alla loro produzione, hanno un costo assai elevato tanto da caricare di un 40% in più il prezzo dell’auto. Anzi si prevede che per qualche anno ancora le Bev saranno soggette a ulteriori rialzi, ma secondo gli analisti il gap attuale è destinato successivamente a ridursi come conseguenza della futura crescita dei volumi di acquisto delle auto elettriche.

Su questo trapasso per ora pesano due incognite: la possibile recessione economica che sembra ormai alle porte e la perdurante preferenza da parte degli acquirenti europei per i veicoli tradizionali o al massimo per quelli ibridi e ciò, come si diceva, a causa della notevole differenza di prezzo, ma anche per la ancora carente rete di rifornimento della ricarica elettrica.

L’infrastruttura di ricarica dei veicoli elettrici rappresenterà in futuro un’opportunità commerciale enorme e strategica, ma da noi essa deve ancora consolidarsi sulla base di scelte intelligenti. Al 30 giugno di quest’anno in Italia risultavano installati solo 30.704 punti di ricarica, anche se in aumento del +32% rispetto ad un anno fa, ma dislocati essenzialmente nelle Regioni settentrionali. Sempre da noi risulta largamente insufficiente anche la copertura della rete autostradale mentre in Europa le colonnine di ricarica a fine 2021 erano già 330mila, di cui oltre la metà dislocate tra Germania e Olanda che, prima in Europa, ne conta 90mila. D’altra parte a maggio di quest’anno in Germania risultavano immatricolate 30.000 vetture Bev, 15mila in UK e solo 4.472 in Italia, cifra inferiore persino a quella dell’Olanda (5.000 unità) che ha un mercato molto meno significativo del nostro.

Malgrado ciò anche da noi qualcosa si sta muovendo, in particolare in quel territorio che è stata la culla delle quattro ruote, vale a dire il Piemonte, dove Stellantis, dopo i buoni risultati conseguiti con la Cinquecento elettrica, avvierà la riconversione di una parte del grande impianto Mirafiori facendo nascere uno dei sette hub mondiali per incrementare la produzione di trasmissioni elettrificate a doppia frizione e per smontare e riciclare parte dei veicoli.

Purtroppo fattori geopolitici come l’attuale guerra in Ucraina e le tensioni tra alcuni Paesi, in particolare tra Usa-Cina, potrebbero pesare nel prossimo futuro sulla transizione ecologica relativa a questo settore della mobilità determinando una battuta d’arresto; nel qual caso, però, pioverebbero multe miliardarie sui costruttori di autoveicoli per non aver rispettato i severi limiti imposti da Bruxelles alle emissioni di CO2.

Non solo auto

Nel frattempo ci stiamo già accorgendo della trasformazione che ha investito la nostra mobilità nel paesaggio urbano dove monopattini, biciclette e scooter sono diventati una presenza dal grande impatto visivo e che i numeri confermano essere in aumento. L’uso di questi veicoli legati alla micromobilità ha registrato una impennata a partire dal 2021, soprattutto per quanto riguarda i primi due la cui versione elettrica ha incontrato molto favore. Il loro uso, per gran parte fondato sulla condivisione, si è imposto in poco tempo e ha dato un notevole impulso a quella mobilità sostenibile che attualmente le nostre società si sono imposte di perseguire poiché la condivisione dei veicoli è una strategia per limitare l’inquinamento. Dal confronto con gli altri Paesi europei le grandi città italiane, in primis Milano che risulta essere la prima nella classifica riguardante il numero dei veicoli in sharing per abitante, escono decisamente bene. Nella città lombarda per disincentivare l’uso delle auto private oggi si mira da parte dell’Amministrazione comunale a potenziare il trasporto pubblico, e ancor più il carsharing, con la limitazione di accesso nella maggior parte della città per gli autoveicoli di proprietà privata, se appartenenti alle categorie più inquinanti come l’Euro 2 a benzina e gli Euro 5 per il motore diesel.

Il risvolto economico certamente ha influito su tale scelta dei cittadini poiché colui che utilizza più spesso la propria bicicletta insieme al trasporto pubblico e all’occorrenza ad una combinazione di servizi in sharing mobility è stato calcolato che può ottenere un risparmio fino a euro 3.800 rispetto alla scelta di utilizzare abitualmente la propria auto.

Ma oggi l’attenzione per la transizione ecologica in atto connota anche altri settori molto importanti della mobilità come quello marittimo o aereo. La Grimaldi Group, società che compie settanta anni di vita ed è il primo gruppo armatoriale italiano nonché il primo player nelle Autostrade del mare, ha da poco stanziato risorse per un miliardo da investire in nuove navi più rispettose della sostenibilità energetica, abbattendo così le emissioni nocive sino al 70%. Le nuove imbarcazioni, pur essendo ancora alimentate in maniera tradizionale, sono state opportunamente modificate per consentire un forte risparmio energetico con conseguente impatto positivo sull’ambiente. Inoltre esse presentano già anche la predisposizione per essere alimentate ad idrogeno quando questo sarà disponibile nella nuova versione verde .

Decarbonizzare il settore dei trasporti è una sfida cruciale nel panorama della transizione energetica. Il trasporto aereo, molto importante per lo sviluppo economico e il soddisfacimento di bisogni sociali, sappiamo essere stato ad oggi responsabile da solo del 2,8% delle emissioni di CO2 a causa del cospicuo aumento dei viaggiatori e dei traffici commerciali. In particolare dall’inizio del nuovo secolo tali emissioni sono cresciute quasi del 130% e si prevede un’ulteriore crescita in futuro. Le strategie per decarbonizzare i trasporti sono oggetto di dibattito, ma è già chiaro che in attesa di una accelerazione nella produzione dell’idrogeno di ultima generazione, che è destinato anche al trasporto aereo, nel breve-medio periodo saranno quelle ancora ibride le più praticabili: restyling dei veicoli, migliorie ai motori e da ultimo l’uso di una sorta di carburante sostenibile da miscelare con quello d’uso corrente. L’Eni con un suggestivo slogan, «Il trasporto aereo low carbon prende il volo», ha annunciato il suo impegno in tal senso. Questa società ha messo in atto una nuova strategia, inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Partendo da alcuni vegetali come il ricino, le noci di crotan, il cotone e materie prime di scarto, come grassi animali e oli vegetali esausti, senza entrare in competizione con la filiera alimentare, essa si è impegnata ad estrarre da questi degli oli vegetali, necessari ad alimentare i suoi impianti di bioraffinazione. Il primo agri-hub è stato avviato da Eni nel continente africano, in Kenya, nel 2021, ma la medesima azienda ha già firmato accordi con altri sette Paesi. La produzione di un tale propellente vuole così contribuire fattivamente al raggiungimento nel 2050 dell’obiettivo finale che è quello delle zero emissioni.

Volgendo lo sguardo verso il cielo mi chiedo se in quegli anni l’uomo sarà ormai in procinto di colonizzare la Luna e Marte grazie ai supertecnologici veicoli spaziali che la sua mente ha ideato per esplorare lo spazio extraterrestre in cerca di tracce di vita. Quella vita che da milioni di anni si manifesta in maniera stupefacente secondo ritmi di vastissima portata e nei confronti della quale noi, che di questo immenso universo facciamo parte in misura minima, ci siamo sentiti in tempi recenti come dei sovrani.

La scienza e la tecnologia forse ultimamente sono corse troppo avanti agli uomini e questi a volte si sentono smarriti come bambini che si passino di mano in mano congegni sofisticati, che si balocchino con astronavi e robot. Forse da ciò deriva quella scelta di riprendere a camminare a piedi che coinvolge oggi sempre più individui. In questo mondo supertecnologico essi si sentono insicuri avendo la sensazione di aver perso il loro centro di gravitazione. La meta allora diventa accessoria, è un pretesto per misurare concretamente le proprie forze, per ritrovare il proprio corpo, il conforto del silenzio, il palpitare dei luoghi, per ritrovare infine l’essenza della propria umanità. Dalla sua comparsa sul pianeta Terra l’uomo è stato sempre parte integrante di questo mondo nella sua complessità, ma molti di noi oggi sembra che l’abbiano dimenticato.

 

Titti Brunori Zezza, Saggista