Editoriale

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L’uomo abbagliato dall’avanzare vorticoso della tecnologia e sempre più anestetizzato dalla fiducia acritica nella ricerca scientifica tout court, finisce col perdere di vista la base, il punto di partenza della nostra esistenza e le relazioni con il mondo circostante.

Così, come in un infantile puzzle, l’uomo è alla ricerca di tutti gli elementi della tavola di Mendeleev e rimane sbalordito di fronte all’enormità di conoscenze che giungono dall’astronomia.

Eppure, di fronte alla mole di ciò che non conosciamo, non si ridimensiona per nulla la nostra saccenteria né aumenta il rispetto per ciò che ci circonda, per la «magia» con cui una semplice pietra si è formata, è giunta fino a noi ed eventualmente è stata utilizzata o trasformata dal nostro ingegno.

Dall’architettura all’arte la pietra è l’elemento fondamentale e ci rivela le relazioni fra natura e uomo. Dal suo studio si risale all’interazione primordiale degli elementi e alla storia del nostro pianeta.

Ma quello che è più inaccettabile è lo snobismo con cui i materiali fondamentali vengono trattati. Ed è da qui che derivano le violenze al territorio, l’incapacità di avere un rapporto sostenibile e rispettoso con l’ambiente circostante.

È come se fossimo stati colpiti da una sindrome simile al gap di deficit della memoria breve. E come un’infinita tela di Penelope stiamo sempre lì difronte ad una continua scucitura e ricucitura della stessa tela.

Accade così che di fronte ad un leggero dislivello, conquistati dal desiderio di aumentare i nostri guadagni, procediamo allo spietramento del campo e restiamo meravigliati che poi si infanga il corso d’acqua a valle richiedendo altri tipi d’interventi…

Un comportamento simile si ripete per gli alberi, per i rifiuti, per gli argini dei corsi d’acqua, per le coste…

Così il territorio diventa ancora più fragile e non si stabilizza mai, le frane sono sempre in agguato, la plastica è arrivata nel nostro sangue, i torrenti e i fiumi fanno paura quando piove, le coste sono in continua erosione.

I cambiamenti climatici, poi, fanno il resto ed anche qui molti ricercatori, prigionieri della loro specializzazione, non completano i lavori considerando l’azione dell’uomo. Infatti, presi da statistiche e valutazioni sempre nell’ambito del rigore scientifico, valutano l’azione dei cambiamenti climatici nel loro divenire storico e, involontariamente, come una forma sublime di negazionismo, stanno lì a calcolare che la tale ondata di calore, o il tale livello di pioggia si sono avuti nel tale anno… senza considerare la situazione storica, l’impatto dell’uomo sul territorio, il livello della società, dell’edificato ecc. e quindi con conseguenze ben diverse.

Ma queste sono considerazioni che competono ad altri studiosi. Ci sono voluti decenni per costruire la tela della conoscenza, in cui pietra fondamentale è l’interconnessione delle conoscenze, la scienza del tutto, e in un attimo uno studio può disfare questa tela portando l’«uomo della strada» a pensare che in fondo non è cambiato niente e chissà quali interesse ci sono dietro quest’«allarmismo» sui cambiamenti climatici.

Si perde continuamente il filo che unisce la cultura del tutto. È questa la chiave che può risolvere i problemi del nostro mondo e sbloccare lo sviluppo verso un futuro migliore.

 

Ignazio Lippolis