Vi sono ancora Aquile in discreto numero nei luoghi più remoti delle Alpi e dell’Appennino, Sicilia compresa, e naturalmente in Sardegna. Ma purtroppo una serie di fattori avversi minaccia pericolosamente il futuro di questa specie
Poderoso uccello rapace dominatore incontrastato delle cime più elevate, presente come pochi altri animali nell’araldica, nella simbolistica e negli emblemi più ambiziosi, l’Aquila reale vive ancora, seppure in numero inferiore al passato, sulle nostre montagne, anche se in molti massicci rivela sintomi allarmanti di progressivo declino. Se fino a qualche decennio fa era difficile compiere un’ascensione oltre i mille metri di quota senza scorgere, almeno per chi avesse l’occhio allenato,la sagoma puntiforme del re dei rapaci stagliarsi alta nel cielo, o almeno udirne a distanza il grido sottile e stridulo, oggi non sembra più così facile e frequente la fortuna di godere di emozioni del genere, a meno che non si frequentino luoghi speciali o non si disponga di informazioni dettagliate e precise. E già si contano con apprensione le coppie di Aquile ancora nidificanti sul territorio italiano (che qualcuno stima a poco più d’un centinaio) e si seguono con vigile cura le scarse nidiate individuate ogni primavera. Nei Monti Lepini si era giunti persino a promettere premi ai pastori locali consapevoli dell’esistenza dell’ultimo nido, per scongiurare la sciocca bravata dell’arrampicata sulla falesia di roccia al fine di asportare uova o piccoli. E su questo massiccio, come pure nei Monti Lucretili e in molte altre catene, ogni primavere giovani volontari svolgono campi di strenua sorveglianza dei nidi occupati e delle covate, fino al momento magico dell’involo dei giovani aquilotti, per evitare che sciocchi vandali, o bracconieri incoscienti possano danneggiarli. Né tali attenzioni debbono apparire eccessive, perché si tratta di un animale il cui ritmo di riproduzione è davvero lentissimo.
Vi sono ancora Aquile in discreto numero nei luoghi più remoti delle Alpi e dell’Appennino, Sicilia compresa, e naturalmente in Sardegna. Ma purtroppo una serie di fattori avversi minaccia pericolosamente il futuro di questa specie, che oltretutto vede restringersi ogni giorno di più il proprio habitat. Strade, frastuono, impianti, trambusto sconvolgono le abitudini del rapace, lo pongono in stato di continuo allarme, ne aboliscono lo spazio vitale, ed eliminano o rendono oltremodo circospetti gli animali di montagna, da cui l’Aquila deve trarre il proprio nutrimento ponendosi in caccia solo durante le ore del giorno. È capitato persino di vedere aquile che, impazzite, caricavano le automobili di passaggio su strade in quota, forse scambiandole per inusitate prede, mentre altre volte si gettavano in picchiata su un deltaplano o un parapendio, in difesa del territorio e soprattutto del proprio nido.
E del resto, non appena l’Aquila abbandona i recessi più impervi per discendere più in basso, spinta dalla fame o da qualche bufera di neve, cade purtroppo spesso vittima di bocconi avvelenati, trappole o fucilate, scioccamente sacrificata in nome di un odio tanto atavico quanto ingiustificato, magari per finire impagliata nella vetrina di qualche negozio. E per lungo tempo, in passato, delitti del genere sono stati tollerati dalle leggi, trovando del resto comodi alibi in fantasiose quanto improbabili storie