Se queste imprese hanno adottato procedure rigorose, altre rispondono alla crescente domanda di certificazione ambientale puntando su standard di certificazione diversi dal Fsc. Parte del mondo ambientalista guarda ad esse con un certo sospetto, ritenendo che siano mosse da mere finalità d’immagine. A tutt’oggi l’unica certificazione ad aver riscosso unanimi consensi rimane il Fsc.
In Europa è in vigore anche il Pefc (Pan European Forest Certification) ma, secondo Greenpeace, soffre di localismo e non si estende alla certificazione dei legnami tropicali. Ossia non garantirebbe scambi equi tra Nord e Sud del mondo, perché consente al solo prodotto europeo di fregiarsi del prestigio d’un marchio.
Altro punto controverso è l’interazione tra i diversi standard di certificazione. I referenti dell’industria, la Fao ed altre istituzioni auspicano il reciproco riconoscimento per la certificazione di manufatti compositi, i cui legni sono valutati secondo standard diversi perché provenienti da più di una foresta.
Invece Greenpeace ritiene che il mutuo riconoscimento rappresenti una grave minaccia per la qualità della certificazione stessa. Ossia, qualora s’integrasse con altri sistemi meno rigorosi, il Fsc rischierebbe di attestarsi su standard inferiori. Tra questi, oltre al già citato Pefc, annovera il Csa (Canadian Standards Association’s Sustainable Forest management Standard) e il Sfi (Sustainable Forestry Initiative) accusandoli di scarso rispetto per le realtà locali e di una certa sudditanza rispetto al mondo dell’imprenditoria.