La «diversità» interroga l’uomo

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La «diversità» interroga l’uomo e lo pone di fronte alla responsabilità delle proprie scelte di vita e di fede. La «diversità» ci salva dai pericolosi solipsismi che alimentano il desiderio di potere. La «diversità» evita che l’uomo sia indotto alle umilianti adesioni all’«assoluto» di un pensiero «unico» e «illuminato», autoreferente, elitario e forse anche un po’ borioso.
La «diversità» ci allerta di fronte alle lusinghe delle comode, rassicuranti e deresponsabilizzanti scelte preconfezionate e sostenute da appartenenze, da tradizioni, dall’assenza della ricerca del senso delle cose o persino dai cinici calcoli su paludose convenienze (quelle del «non aver nulla da perdere e tutto da guadagnare») offerte da certi discutibili, ma «non dispendiosi», consensi.
Le analisi, sullo stato delle cose umane in questo mondo, sono spesso amare rispetto alle nostre attese e, pur se di analisi si può anche morire, è però anche vero che esse servono per costruire mappe e definire mete di riferimento, pur se inesatte o molto approssimate. Ma anche buone mappe e buone mete non sono, oggi (soprattutto in questo nostro mondo sempre più complicato dai labirinti inestricabili generati dai consumi di massa) sufficienti per esplorare, come autonomamente vorremmo, il complesso fenomeno delle relazioni vitali che sono alla base della nostra esistenza. Dunque, non potremo attenderci grandi cose se a tutte le necessarie analisi e agli attendibili punti di riferimento, non saremo capaci di associare anche quei dialoghi, quei confronti sinergici, quelle integrazioni operative che sono l’unico motore creativo di un progresso umano condiviso e non solo immaginato.

La «diversità» è un segno della Natura che «impone» a ciascuno il dovere e il diritto di esprimere se stesso in piena autonomia. Ma la «diversità» non avrebbe senso se questa specifica prerogativa umana non fosse spendibile nel segno di una storia dell’umanità che mostra un’inconfutabile direzione di marcia: non solo dalla zappa al trattore, ma anche da «servo della gleba» dell’età dell’impero romano, a «cittadino» delle moderne democrazie. Un impegno verso lo sviluppo «materiale», favorevole a migliorare la fisicità della condizione umana, è certamente necessario, ma è anche necessario che questo impegno sappia rispondere alle nostre condivise e profonde attese di una qualità di vita che possa andare oltre le necessità dell’immanente. È urgente, oggi, disporre di «alternative» che permettano di integrare esperienze e capacità «diverse», di condividere percorsi per andare anche oltre le immediatezze della sopravvivenza fisica e, soprattutto, di riflettere, progettare ed operare per poter uscire dall’attuale disgregante e terminale ubriacatura globale della crescita senza limiti dei consumi.
Come in un campo di fiori: ognuno esprima se stesso, ma nessuno si esprima per conto di qualcun altro, perché è bene che tutti nel ritrovarsi come comunità (costruita su personali, uniche e condivise esperienze di autonomia, consapevolezze e responsabilità, espressioni delle ricchezze della «diversità»), possano scoprire il «diritto al piacere» di partecipare, con la propria virtuosa e fertile presenza, e di assumere dirette responsabilità, con la propria intelligente volontà e determinazione, per rendere sempre più ingegnosamente vitale il proprio ambiente.