La Martora risulta ormai in progressiva diminuzione dal nostro territorio, a causa della crescente antropizzazione e dello sfruttamento spesso eccessivo delle foreste
Tipico animale forestale, tanto cauto ed elusivo di fronte all’uomo, quanto rapido e deciso nella caccia, la Martora (Martes martes) è uno dei piccoli Mammiferi più belli e affascinanti, ma anche meno osservati e conosciuti, delle nostre montagne. Presente non solo nelle Alpi e nell’Appennino, ma anche nelle isole maggiori (Sardegna, Sicilia, Elba), dove qualcuno ha ipotizzato la sua antica introduzione (anche se, in realtà, potrebbe esservi giunta da sola), la Martora risulta ormai in progressiva diminuzione dal nostro territorio, a causa della crescente antropizzazione e dello sfruttamento spesso eccessivo delle foreste. È ben noto che in passato, almeno fino all’ultimo dopoguerra, era oggetto di spietata caccia non solo in quanto classificata «nociva», ma soprattutto per la bella pelliccia, assai morbida e ricercata. Con tenaci inseguimenti delle piste sulla neve, con cani specialmente addestrati e con bocconi avvelenati o trappole di ogni genere, dai lacci alle tagliole, e persino con espedienti inimmaginabili…
Abbiamo potuto accertare che ogni inverno, alcuni cacciatori di pellicce del Molise individuavano le tane abitate dalla Martora a prezzo di lunghe peregrinazioni sulla neve: una volta incrociate le tracce dell’animale, le seguivano fino all’albero ultrasecolare che lo ospitava, normalmente in una profonda cavità capace di offrire riparo e calore, a media altezza sul grosso tronco. Vi si arrampicavano, infilavano il braccio nella cavità e disturbavano il carnivoro, finché questo non li mordeva con i denti aguzzi. Ritraendo la mano sanguinante (qualcuno imparò poi a proteggerla con spesso panno arrotolato), tiravano fuori anche la bestiola, afferrandola per la collottola. Oggi però la situazione è ben diversa, il traffico delle pellicce è scomparso e ben pochi affronterebbero disagi così estremi per un pugno di monete. E il più serio pericolo di estinzione per questo Carnivoro va senz’altro individuato nella deforestazione, o ancor più nell’abnorme pratica di sfruttamento dei boschi, che tende a eliminare tutte le piante plurisecolari, stramature, cariate, decrepite, seccagginose o marcescenti…
E cioè proprio i luoghi più preziosi per l’intera vita del bosco: per i piccoli Mammiferi, gli angoli migliori dove segretamente rifugiarsi e trovare cibo, far perdere le proprie tracce e sfuggire ai predatori. La Martora evita infatti macchie rade e boscaglie giovani, per rifugiarsi di preferenza (nobile nei gusti, come nell’aspetto e nel portamento) solo dove la foresta di tipo freddo, sia essa di latifoglie o di conifere, si presenta più maestosa, solenne e primigenia, con scarse tracce del piede umano e profondi segni, invece, dell’originaria impronta della natura. A differenza della cugina Faina (Martes foina), che ama i luoghi rocciosi o persino i ruderi e le vecchie case, senza temere la vicinanza dell’uomo, la Martora preferisce quindi rifugiarsi nel profondo della foresta, muovendosi indisturbata anche di giorno, senza essere avvistata mai o quasi mai, anche là dove sia presente in discreto numero.
Qualora invece, di fronte alla scomparsa delle selve primeve e alla frammentazione delle vere foreste, sia per lei necessario frequentare boscaglie percorse dall’uomo, modifica biancastra e biforcuta), dalle orecchie più allungate e dalle zampe più corte con unghie più robuste, e soprattutto dalla pelliccia più folta e davvero morbida, che proprio per questo è stata causa della accanita persecuzione.
Tutte caratteristiche che trovano ragioni precise nelle abitudini del predatore: perché il colore lo mimetizza meglio nell’ambiente selvoso, il vello lanoso lo protegge dal clima umido e freddo, le zampette sono ideali per arrampicarsi, con straordinaria agilità, sui tronchi degli alberi.
Qui le acrobazie della Martora, alle prese persino con i più indiavolati Scoiattoli, rasentano l’incredibile: perché oltre a compiere arrampicate da brivido, può persino spiccare da un ramo all’altro grandi balzi, anche a distanza di tre metri, senza alcuno sforzo apparente. Forse per questa sua indomita tenacia di carnivoro, i tedeschi hanno attribuito al forte animale il poco simpatico appellativo di Moerder, ovvero «assassino», da cui deriverebbe lo stesso nome di Martora.
Con una delle tante, abusate interpretazioni antropocentriche: perché il Mustelide, a differenza dei criminali umani, uccide esclusivamente per sopravvivere e per conservare la propria specie. E così facendo gioca un ruolo essenziale soprattutto per l’equilibrio ecologico, dato che assicura quella selezione naturale e quel controllo contro l’eccessiva proliferazione degli animali predati, che sono fondamento della conservazione di ogni comunità vivente, nel complesso eterno gioco dinamico delle forze della natura.