Un’economia da rifare

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L?attuale crisi economica in cui sembrano precipitare rovinosamente tutti gli Stati più ricchi e avanzati è ormai così palese, che sarebbe insensato fingere di non vederla, o affannarsi a proclamare che il peggio sia ormai dietro alle spalle.

Nel disastro generale, crollano i miti della finanza facile, si sgretolano idoli bugiardi come il Pil, si sgonfiano bolle immobiliari che predicavano un futuro fatto di case infinite e di cemento dilagante. Ma forse qualche piccolo vantaggio emerge, ed è la possibilità di riflettere se non sia il caso di infrangere qualcuno dei più disastrosi tabù del nostro tempo, e di cambiare finalmente rotta.

Esplode anzitutto l?evidenza degli sprechi e degli eccessi, visibili materialmente nei rifiuti che sommergono intere città, nel traffico privato che le paralizza, nei tir che viaggiano giorno e notte per spostare prodotti che potremmo trovare dietro casa, nei telefonini che assorbono ore e giornate senza approdare a nulla. Questa smania di esagerare giova davvero a tutti? Ipermercati e riunioni oceaniche, megaconcerti e grandi opere, gigantesche navi da crociera e superaerei? Mentre una parte crescente del mondo è afflitta da povertà e malattie, sete e disastri, le cui nefaste conseguenze non potranno non ricadere sulle società affluenti che, per miopia o egoismo, le hanno più o meno consapevolmente provocate o tollerate.

C?era una volta la vecchia, cara economia classica, che aiutava a capire il rapporto tra bisogni e risorse, ma poi è stata sostituita dalle aride cifre e dai calcoli quasi sempre illusori di un nuovo vangelo, la econometria: trasformandoci sempre più in macchine per produrre e consumare, vendere e comprare, in una corsa frenetica al Pil che, se placa qualche ansia e soddisfa ambizioni momentanee, non giova molto al vero interesse della collettività. Forse sarebbe meglio ribattezzare questa nuova scienza «egonomia», perché una cosa è certa: la somma di mille arricchimenti individuali, talvolta sproporzionati, potrà magari abbagliarci, ma non riuscirà sempre a nascondere le conseguenze a danno dell?ambiente e del territorio, della salute e della convivenza civile, della stabilità politica e del futuro dei giovani. A ogni nuovo straricco corrispondono migliaia di poveri, a qualsiasi crescita vertiginosa si accompagnano purtroppo rapina, dilapidazione e contaminazione delle risorse naturali.

Ma ora qualcuno incomincia finalmente a capire che nessuna crescita può essere infinita, che l?illusione di un capitalismo eterno non convince, che il mercato non salverà la terra e che l?accumularsi dei rischi demografici, ecologici e finanziari sta bloccando il futuro nostro e dei nostri figli. Segnali timidi, ma significativi, affiorano da Paesi vicini e lontani. Meno cifre e più fatti; meno cemento e più prodotti naturali; basta droghe mediatiche, sì a spazio maggiore per riflessione, responsabilità e senso etico. Perché oltre alle cifre dei profitti e degli indici di borsa, contano anche e soprattutto equilibrio e civiltà, solidarietà e memoria storica, redistribuzione e rispetto per madre terra. In altre parole, valgono altrettanto e più di certe statistiche quei beni che stavamo dimenticando: aria pulita e qualità della vita, armonia e convivenza, circolazione delle idee e contatto sociale, educazione e solidarietà, valori e ideali? Una ricchezza che nessuna scienza è in grado di misurare, e che non c?è mercato dove si possa vendere o comprare.