…e dell’affidabilità

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Nel secolo scorso troppe volte abbiamo visto questa lezione di FN inascoltata, anche ed in particolare tra molti suoi presunti interpreti. In tutti i campi della vita sociale e scientifica il culto della personalità, del genio ha dilagato e continua a dilagare.

FN sempre in «Umano troppo Umano», fece un’analisi del «Rischio guadagno nel culto del genio. La credenza in spiriti grandi, superiori, fecondi è legata, non necessariamente ma molto spesso, a quella superstizione, in tutto o in parte religiosa, secondo cui quegli spiriti avrebbero origine sovraumana e possiederebbero doti miracolose, grazie alle quali acquisirebbero le loro conoscenze per vie affatto diverse da quelle degli altri uomini. Si attribuisce loro una visione diretta nell’essenza del mondo, come attraverso un buco nel manto dell’apparenza e si crede che, senza la fatica ed il rigore della scienza, grazie a questa prodigiosa veggenza essi possano comunicare qualcosa di decisivo e di definitivo sull’uomo e sul mondo. Sino a che nel mondo della conoscenza, il miracolo troverà ancora chi vi creda, si può ammettere che i credenti ne ricavino addirittura un vantaggio, in quanto, subordinandosi incondizionatamente agli spiriti grandi, essi procurano al proprio spirito, per il tempo del suo sviluppo, la miglior disciplina e scuola. Invece è per lo meno problematico che la superstizione del genio, dei suoi privilegi e dei suoi poteri particolari sia di utilità per il genio stesso, una volta che si sia radicata in lui. È ad ogni modo un sintomo pericoloso che l’uomo sia colto da quel brivido di fronte a se stesso, sia esso il famoso brivido cesareo oppure il brivido del genio, di cui stiamo parlando; e che il profumo dei sacrifici , che giustamente si tributa soltanto a un dio, penetri nel cervello del genio, sicché questi comincia a vacillare ed a credersi qualcosa di sovraumano. Alla lunga le conseguenze sono: il senso di irresponsabilità, di diritti eccezionali, la convinzione di concedere una grazia per il solo fatto di avere rapporti con gli altri, un’ira folle se si tenta di paragonarlo ad altri quando non addirittura di stimarlo inferiore, e di mettere in evidenza le parti non riuscite della sua opera. Poiché egli cessa di esercitare la critica contro se stesso, dal suo piumaggio finiscono per cadere, l’una dopo l’altra, le piume maestre: quella superstizione scava alle radici della sua forza e, una volta che questa lo abbia abbandonato, può far di lui addirittura un ipocrita. Dunque, per gli spiriti grandi è probabilmente più utile prender chiara coscienza della propria forza e dell’origine di essa, capire cioè quali doti prettamente umane siano confluite in loro, e quali circostanze favorevoli vi abbiano contribuito: dunque, innanzitutto, una persistente energia, la risoluta dedizione a scopi particolari, un grande coraggio personale; e poi la fortuna di un’educazione che ha offerto per tempo i maestri, i modelli e i metodi migliori. Certo, se il loro scopo e quello di produrre il maggiore effetto possibile, la mancanza di chiarezza su se stessi e il contributo di quella semifollia han sempre fatto molto; infatti in loro si è sempre ammirata e invidiata proprio quella forza, con la quale rendono gli uomini privi di volontà e li inducono all’illusione che innanzi a loro camminino guide sovrannaturali. Certo, far credere agli uomini che qualcuno possieda doti sovrannaturali eleva ed entusiasma gli uomini: in questo senso la follia ha portato, come dice Platone, le maggiori benedizioni agli uomini.

«In rari, singoli casi, questa parte di follia può essere stata anche il mezzo che ha permesso di tener insieme una natura del genere, esuberante in ogni direzione: anche nella vita degli individui i deliri, che in sé sono veleno, hanno spesso il valore di rimedi salutari; ma in ogni “genio” che creda alla propria divinità, il veleno finisce per rivelarsi via via che il “genio” invecchia; ci si ricordi ad esempio Napoleone, il cui genio assurse certamente, proprio grazie alla fede in se stesso e nella sua stella e al conseguente disprezzo per gli uomini, a quella possente unità che lo innalza su tutti gli uomini moderni, finché quella stessa fede si trasformò in un fatalismo quasi folle, gli tolse rapidità ed acutezza di visione e divenne causa della sua decadenza».

Perché le cose continuino ad andare così è un enigma. Dopo Napoleone Bonaparte, abbiamo assistito nel secolo passato ad altri geni che hanno trascinato prima alla vittoria e poi al disastro interi popoli, ipnotizzati dal fascino dei loro leader. Nello stesso mondo scientifico i leader, come osservò Einstein, finiscono spesso per costruire o vedersi costruite delle chiese dogmatiche intorno a loro ed alle loro scoperte. Già Claude Bernard ebbe a dire in proposito che: «Ciò che sappiamo è il principale ostacolo all’acquisizione di ciò che non sappiamo ancora».

FN vide in questo atteggiamento umano così diffuso ed alla lunga pericoloso per l’uomo stesso, una forma di difesa dell’individuo; questa si costruisce tra l’altro attraverso Una salda reputazione.

«Una salda reputazione era un tempo una cosa estremamente utile; e laddove la società è ancora dominata dall’istinto del gregge ciascun individuo trova ancora la massima convenienza nello spacciare il suo carattere e la sua occupazione per immodificabili, persino quando in fondo non lo sono. “Di lui ci si può fidare, rimane uguale a se stesso” in tutte le condizioni di pericolo sociale questa è la lode più rilevante. La società avverte con soddisfazione di avere, nella virtù di questo, nell’ambizione di quello, nella riflessione e nella passione di un terzo, uno strumento fidato e sempre pronto: è a questa natura strumentale, a questo rimanere fedeli a se stessi, questa immutabilità di opinioni, tendenze, degli stessi difetti, essa riserva i più alti onori. Una tale valutazione, che con l’eticità dei costumi è fiorita sempre e dappertutto, educa “caratteri” e getta discredito su ogni cambiamento, apprendimento, trasformazione. Orbene, per quanto questo modo di pensare possa presentare ancora notevoli vantaggi, esso costituisce quanto nel giudizio comune c’è di più pericoloso per la conoscenza: perché qui è condannata e gettata in discredito proprio la buona volontà, da parte di colui che si dedica alla conoscenza, di dichiararsi intrepidamente e in ogni momento contro l’opinione che l’aveva nutrito sino a quel momento, e di nutrire sfiducia nei confronti di ciò che vuole consolidarsi dentro di noi.

«I sentimenti dell’uomo della conoscenza, essendo in contraddizione con questa “fama consolidata”, sono considerati disonorevoli, mentre la pietrificazione delle opinioni è insignita di ogni onore: dobbiamo ancora vivere in balia d’una simile considerazione! Com’è gravoso vivere quando ci si sente contro e dintorno il giudizio di molti millenni! È probabile che per molti millenni sulla conoscenza abbia gravato la cattiva coscienza e che nella storia dei grandi spiriti ci siano stati molto disprezzo di sé e una miseria segreta». («La Gaia scienza»)