La sindrome nucleare

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energia nucleare
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In un Paese ad alto rischio sismico, un minimo di buon senso sconsiglierebbe comunque una scelta nucleare, anche perché le zone cosiddette «sicure» sarebbero davvero pochissime

Torna alla ribalta il «nucleare». Ecco in arrivo il rimedio magico che risolverà ogni problema, proclamano gli imbonitori. Ma qualcuno mette in guardia: non si tratterà piuttosto della solita sorgente di vane speranze, foriera di cocenti delusioni o, nel caso peggiore, di catastrofi già viste?

Ci fu un tempo in cui un referendum bocciò questo tipo di energia, e le strade italiane si riempirono di tabelle «Comune denuclearizzato». Scritta a dire il vero confortante, ma meramente platonica, perché non costava granché (mentre allo stesso tempo ovunque dilagavano, nell’indifferenza quasi generale, abusivismi e rifiuti). Ma oggi che la spinta alle centrali nucleari cosiddette di «quarta generazione» sembra ricevere nuovo impulso, il dilemma si fa più concreto, e richiede maggior approfondimento. E bisogna avere il coraggio di riconoscere che, al di là degli innegabili rischi e del problema insoluto delle scorie nucleari (cosa ne facciamo? Chi ne vuole?) resta il fatto incontestabile dei costi, che rendono ormai il nucleare assolutamente non competitivo di fronte a solare, eolico e fotovoltaico. Un tema certamente assai trascurato dalle legioni di esperti, società e gruppi che, come spesso avviene per le «grandi opere», già si preparano a laute libagioni a base di fondi pubblici.

In un Paese ad alto rischio sismico, un minimo di buon senso sconsiglierebbe comunque una scelta nucleare, anche perché le zone cosiddette «sicure» sarebbero davvero pochissime. In realtà qualsiasi decisione non può prescindere da alcuni presupposti essenziali, di solito superficialmente trascurati da politica e media. Osservando in modo indipendente e disinteressato il dilemma energetico, questi presupposti appaiono decisivi.

S’impone anzitutto una prima esigenza: eliminare gli sprechi che abbondano ovunque, ma potrebbero essere drasticamente ridotti con alcune scelte semplici e basilari oggi improcrastinabili, a favore della efficienza energetica. Innovazione nei metodi di trasferimento delle energie (oggi nel viaggio dal luogo di produzione a quello di consumo se ne spreca circa la metà), nei sistemi di illuminazione (ci abbiamo messo oltre un secolo a capire che con lampadine diverse si consumava molto meno), nelle politiche dei trasporti (alle carovane dei Tir non sarà meglio preferire le vie del mare?), nelle strategie del pendolarismo (in luogo di code di automobili inquinanti, per gli spostamenti urbani non sarebbe meglio promuovere il trasporto collettivo?), nella politica urbanistica (era proprio sensato abbandonare i centri storici, creando periferie disumane e città dormitorio?), nei materiali edilizi (le abitazioni costruite o restaurate con materiali e meccanismi alternativi richiedono assai meno illuminazione, riscaldamento e condizionamento), nel verde pubblico (avete mai pensato a quanto si stia meglio sotto agli alberi, allorché la calura incombe?). E chi più ne ha, più ne metta… In altre parole: occorre passare, in modo dolce e responsabile, a un diverso e più consapevole «stile di vita»: perché ormai tutti stanno capendo che non sono importanti soltanto dati e parametri quantitativi, ma anche qualità di vita, equilibrio psicofisico, cultura, ambiente, e riscoperta della sana dimensione sociale.

Se ci limitassimo a vedere soltanto un aspetto, e cioè la domanda energetica in continuo aumento, sembrerebbe scelta obbligata incrementare l’offerta. Fino al punto in cui, se per vivere decentemente ogni abitante del pianeta dovesse avere auto e cellulare, primizie e seconda casa, il quadro globale diventerebbe inquietante, e il futuro incerto. E chi mai continuerebbe a coltivare la terra? Ma tornando al nucleare: sarebbe giusto gettare le scorie nel mare, o depositarle nelle zone più emarginate? Quando nel 2003 venne prospettata un’azione del genere, in Basilicata scoppiò una rivolta popolare che coinvolse tutto il Mezzogiorno. Perché non è giusto arricchirsi con metodi pericolosi o inquinanti, per poi liberarsi dei residui radioattivi o tossici a spese dei più deboli. In pochi giorni, la protesta dilagò, al punto che i «donatori di scorie» furono costretti a precipitosa ritirata.

In conclusione, siamo ormai al bivio: e molti ambientalisti opportunisti si stanno rivelando, una volta di più, pale eoliche (ovvero, prontissimi a girare dove il vento tira). Ma le soluzioni non mancano, e le energie alternative, rinnovabili e fossili, ci sono davvero: basterebbe non dilapidarle scioccamente. Per chi guardi con occhio aperto al futuro, la via da seguire è chiara e luminosa come il sole. In altre parole, solare.