La ricerca parli al cuore della gente

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Vanno risvegliate le coscienze assopite. Ci vuole l’impegno di tutti, genitori, insegnanti, naturalisti e agronomi, biologi, perché forse solo la passione può riaccendere la curiosità e l’interesse per quello che stiamo perdendo

Da quanti anni gli scienziati (alcuni scienziati) stanno cercando di attirare l’attenzione sui cambiamenti che si stavano manifestando, in vario modo, nel clima? Ma ogni volta il dibattito si concentrava, come sempre, sui dettagli: è verità oggettiva o puro allarmismo? Quando esistono dati scientifici, teoricamente oggettivi, inconfutabili, basta minare la credibilità di chi li diffonde per deviare l’attenzione del pubblico, almeno finché non passa la buriana… Perché in realtà vogliamo essere sordi, nessuno vuole cambiare minimamente il suo stile di vita, nessuno vuole rinunciare nemmeno a un briciolo di quello che consideriamo benessere, progresso, innovazione…
Ogni volta che si cerca di dimostrare che certi nostri comportamenti hanno impatti ambientali negativi e quindi si ventila la necessità di cambiare, di rinunciare a qualcosa, si cominciano a trovare mille giustificazioni nel non fare niente, nel rimanere inchiodati alle proprie abitudini, sembra proprio impossibile ritornare a fare le cose come si facevano 20 anni fa, figuriamoci.

Ogni nostro bisogno è stato interpretato e soddisfatto dall’industria, che ci fornisce oggetti, apparecchi, impianti per qualsiasi nostro desiderio, e se un bisogno ancora non lo sentiamo, c’è qualcuno che ce lo suggerisce, e lo fa diventare prioritario, irrinunciabile, offrendoci sempre la soluzione a portata di mano, basta pagare, comprare, consumare e far muovere l’economia.
Fa caldo? sempre più caldo? nessun problema, basta un bel condizionatore e il caldo è vinto, pazienza se i consumi energetici aumentano, si consumerà un po’ più di petrolio, che sarà mai?
Vogliamo sciare e la neve non si fa più vedere da anni? non preoccupiamoci, la nostra settimana bianca è garantita dagli impianti di neve artificiale: e se si consumano vagoni d’acqua e si diffondono nell’ambiente sostanze dannose, pazienza, il turismo aiuta lo sviluppo economico e il reddito di chi vive in montagna (ma siamo sicuri di chi ci guadagna realmente?).
Abbiamo fame alle 3 di notte e i negozi sono tutti chiusi? ormai ci sono distributori automatici di cibo (ma si può chiamare cibo?) ovunque, nelle stazioni, in ospedale, al lavoro, nelle scuole! Se un tempo qualcuno si preparava una merenda a casa e la portava con sé, ormai tutti contano sulle «macchinette». I nostri figli sono diventati il target più importante del mercato, anche perché il più docile e facilmente manipolabile: quale bambino non ha già il suo telefonino a 5-6 anni? d’altronde è solo una questione di sicurezza, pensiamo così di poterlo proteggere a distanza da qualsiasi evento imprevisto.
Se però qualcuno ci insinua il dubbio che l’uso del telefonino sia dannoso per la salute, chiudiamo le orecchie, non vogliamo proprio sentire, perché ormai nessuno può più fare senza. E se il telefonino, o l’i-Pod, o il computer si rompono? si cambia, molto semplicemente e rapidamente. Molti non conoscono il significato della parola «riparare», e hanno ragione, perché riuscire a trovare qualcuno che ti ripara un qualsiasi elettrodomestico, ma anche un paio di scarpe, è un’impresa ardua. Ti guardano con aria di compatimento, perché effettivamente chi te lo fa fare di riparare un oggetto vecchio, quando oggi lo puoi ricomprare nuovo, subito e ad un prezzo anche inferiore? Questo è il nostro male, si ragiona sempre e solo a breve termine, è vero, i prezzi di qualsiasi bene forse possono anche scendere, ma i costi ambientali della produzione infinita di oggetti nuovi, le risorse consumate e soprattutto lo smaltimento degli oggetti obsoleti chi lo paga? ma chi se ne preoccupa? pochi «sfigati» che non sanno godersi la vita, e soprattutto che la rovinano anche agli altri, quando magari provano a farti pensare al senso di quello che fai, agli impatti, e vieni schedato: non sarai mica un ambientalista?
Ebbene sì, mi dispiace, sono proprio un’ambientalista e sono pure arrabbiata, perché questo sostantivo ha assunto ormai un’accezione negativa, e siamo ormai considerati dei guastafeste, dei rompiballe moralisti, esagerati e uccelli del malaugurio.
Noi che, convinti dell’inesorabilità dei processi globali cerchiamo, almeno nel quotidiano, di cambiare, di essere noi a scegliere e decidere come comportarci, cosa consumare, come riutilizzare e riciclare e quindi ridurre sempre più i rifiuti da noi prodotti, dobbiamo poi mandar giù le frasette ironiche di colleghi, amici e parenti, ignorare gli sguardi di compatimento per la nostra follia, perché di fatto così siamo considerati, poveri idioti che pensano di cambiare il mondo non usando i bicchieri di plastica («ma quelli di vetro li devi lavare!») o bevendo l’acqua del rubinetto («e chi ti dice che si può bere?»), o comprando le verdure direttamente dall’agricoltore («ma chi te lo fa fare, al supermercato c’è molta più scelta!»).

Le esperienze non insegnano mai niente, bisogna sempre arrivare all’emergenza, perché si parli per 3-4 giorni (a seconda del numero di morti) delle catastrofi annunciate, pronti a dimenticare tutto e ricominciare la folle corsa. Non si fanno i collegamenti, la complessità del mondo non si presta alle analisi superficiali che spesso vengono fatte dai giornalisti, che pretendono di intervistare gli scienziati e farsi dire «in un minuto, perché abbiamo la pubblicità» perché è così negativo che la temperatura aumenti di un grado. Ci vuole tempo per spiegare, ma anche quando ormai molto è stato spiegato, nessuno vuole capire. Un mio amico, molto pessimista, dice che solo azzerando il mondo così com’è ora si può ricominciare.

Siamo nel punto di non ritorno?

Un mio amico, molto pessimista, dice che solo azzerando il mondo così com’è ora si può ricominciare. Siamo ormai nel punto di non ritorno? e chi può dirlo? Se conoscessimo alla perfezione il meccanismo forse si potrebbe dare una risposta, gli scienziati cercano, con la continua costruzione di modelli, di prevedere le reazioni, i tempi, gli effetti. Ma le inter-relazioni fra le varie forme di organismi viventi e le condizioni ambientali sono talmente complesse che dubito possano essere interpretate anche dai modelli più sofisticati.
Si continuano a chiedere ai ricercatori dati scientifici, numeri, cifre sperando in tal modo di riuscire finalmente a colpire l’immaginario collettivo, di risvegliare la coscienza ecologica ormai anestetizzata, di richiamare tutti ad una battaglia individuale.
È vero, spesso i dati parlano da soli, ci danno una rappresentazione della realtà che sembra poter essere interpretata in modo del tutto oggettivo e univoco. Ma i dati parlano a chi è disposto ad ascoltarli, cioè a chi è già sensibile a questi temi; se invece la scienza non è riuscita a sensibilizzare gli indifferenti, vuol dire che bisogna trovare nuovi strumenti di comunicazione, bisogna toccare altre corde. Forse l’arte, la letteratura, il teatro potrebbero riuscire là dove la scienza ha fallito, colpire al cuore. Perché è al nostro cuore che deve far male la perdita della biodiversità, la distruzione degli habitat naturali, l’aumento della temperatura.

Quello che dobbiamo cercare finalmente di fare noi ricercatori è parlare al cuore della gente, trasmettere la nostra capacità di emozionarci nel trovare un’orchidea spontanea in un bosco, nell’osservare discretamente ma con curiosità adolescenziale un’ape che bottina il polline, ma anche nello scoprire un agricoltore che da anni coltiva fagioli di 15 varietà diverse…
È una sfida, perché i ricercatori spesso se ne stanno chiusi nei loro laboratori, e le persone chiuse nelle loro case, i ragazzi trascorrono ore inebetiti davanti agli schermi dei computer o delle playstation, e mettere in comunicazione questi mondi separati può risultare molto impegnativo, a volte impossibile. Ci vuole l’impegno di tutti, genitori, insegnanti, naturalisti e agronomi, biologi, potrei dire in una parola «appassionati» perché forse solo la passione può riaccendere la curiosità e l’interesse per quello che stiamo perdendo, una passione che può essere suscitata anche leggendo poesie, romanzi o guardando uno spettacolo teatrale coinvolgente.
Forse chi oggi sta mettendo al mondo dei bimbi può rappresentare la speranza, certe domande e certi dubbi vengono solo quando ci sentiamo la responsabilità di cosa far mangiare, respirare o bere ai nostri figli, e la presa in carico di questa responsabilità può generare l’impegno convinto a comportarci diversamente da tanti altri incoscienti.