Una insensata mattanza di 900.000 agnelli… pasquali

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    Forse anche cuccioli clonati. Macellare un agnello significa uccidere un animale di circa 20-25 giorni di età per consumare nemmeno 10 kg di carne

    Nonostante i numerosi appelli animalisti, sostenuti da privati ed associazioni varie, anche quest’anno, in occasione delle festività pasquali, si è consumato il rituale massacro di agnelli. Lascia con l’amaro in bocca leggere il comunicato dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali) che, sulla base dei consumi dello scorso anno, chiedeva di salvare «700.000 cuccioli di pecora», mentre quest’anno ne sono stati macellati ben 900.000. Un incremento forse non necessario e sicuramente poco etico, dal momento che molti di questi animali sono stati clonati, senza che per questi casi fosse previsto l’obbligo dell’etichettatura. La notizia, portata alla ribalta dal Presidente del Partito animalista europeo, Stefano Fuccelli, è ancora più sconvolgente, se pensiamo che in Europa vengono importate dalle 300.000 alle 500.000 tonnellate di carne di questo genere, senza che i cittadini italiani ne siano a conoscenza. «La clonazione – ha proseguito Fuccelli – è ancora un processo imperfetto e insicuro e non sappiamo quali siano le conseguenze che può comportare per la nostra salute».

    Il consumo di carne di agnello viene generalmente consigliato a pazienti in età pediatrica e geriatrica, per la sua tenerezza e digeribilità, oltre che per alcune caratteristiche nutrizionali. Il suo ricco contenuto in aminoacidi essenziali, omega 3, Epa e Dha favorisce lo sviluppo cerebrale e della vista, mentre la presenza di niacina (vitamina B3) contrasta l’avanzare dei processi neurodegenerativi. Tuttavia, anche per la carne d’agnello, come per le carni di qualsiasi altro animale, vale il principio per cui, con il crescere dell’età, aumenta il contenuto di mioglobina e grasso, mentre diminuisce il suo contenuto in acqua. Questo significa che, al crescere dell’età dell’animale, aumenta il valore nutritivo della carne e la sua sapidità e succosità dopo la cottura, a cui si aggiunge anche una più alta digeribilità.

    La produzione della carne ovina, in Italia, deriva soprattutto dalla macellazione degli agnelli (66,28%) e solo secondariamente da quella di agnelloni e castrati (24,12%) e di animali a fine carriera (9,60%). Si tratta, quindi, di animali di modesto peso vivo alla macellazione (8-12 kg), caratteristica che ci rende assai diversi da tutti gli altri paesi europei, dove prevale il consumo degli agnelloni (30-35 kg).

    La particolare situazione italiana dipende principalmente dal regime dei prezzi, che privilegia nettamente le carni più leggere, ma anche dal nostro tipo di allevamento ovino, indirizzato soprattutto verso la produzione di latte per la trasformazione casearia. L’agnello da latte, così amato dal consumatore italiano, si ottiene mantenendo gli animali assieme alla madre fino a 4-5 settimane. Tutta la produzione lattea materna sarà destinata all’alimentazione dell’agnello, sebbene questo tipo di prodotto possa essere ottenuto anche facendo ricorso ad allattamento artificiale, con produzione di carcasse di minor pregio, ma difficilmente distinguibili dalle altre. Anche i prodotti dell’incrocio industriale con arieti di razze da carne possono essere impiegati con successo per ottenere questo tipo di agnello: rispetto agli animali in purezza, si registrano incrementi ponderali maggiori in minor tempo, a vantaggio dell’allevatore.

    Macellare un agnello significa uccidere un animale di circa 20-25 giorni di età per consumare nemmeno 10 kg di carne. Chiedersi se, in una società come la nostra, sia ancora necessario non fa appello all’etica, ma piuttosto al buon senso.