La felicità, dalla filosofia alla nuova economia

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L’interesse sempre più ampio verso la crescita verde, accompagnata da una rivisitazione degli indicatori nei quali sono inclusi anche alcuni concetti presenti nell’indicatore di misura della «Felicità di una nazione» può far sperare che l’umanità sia pronta ad intraprendere una strada che possa essere diversa dallo sfruttamento delle risorse naturali perpetrato fino ad oggi

 

 

Il 2 Aprile 2012, a New York nella sede delle Nazioni Unite, si è tenuto un meeting ad alto livello, organizzato dal governo del Bhutan, con la partecipazione di rappresentanti governativi, di organizzazioni religiose, accademici e membri della società civile per discutere il concetto di Felicità nell’economia e considerare il Gross National Happiness (Gnh), ovvero l’indicatore di felicità di una nazione, che vuole essere un’alternativa al tradizionale indicatore del Prodotto interno lordo (Pil).

 

Per suffragare le loro posizioni, i partecipanti alla riunione di New York si sono avvalsi di tutta la riflessione mondiale in materia di felicità, da Budda ad Aristotele.

 

I risultati di questo evento confluiranno nei lavori della Conferenza sullo Sviluppo sostenibile che si terrà a Rio de Janeiro, dal 20 al 22 giugno 2012. In quest’occasione, oltre ai rappresentanti governativi, moltissime organizzazioni non governative potranno avanzare proposte e suggerimenti. Tra queste, troviamo anche quella del professor Ryoichi Yamamoto dell’Università di Tokyo e direttore del Japan for Sustainability, concernente la creazione di un Panel intergovernativo etico per la Civiltà ecologica (Intergovernmental Ethics Panel for Ecological Civilization,Iepec), composto oltre che dai membri di esistenti istituzioni ufficiali che già forniscono ai responsabili politici internazionali valutazioni e conoscenze scientifiche dal cambiamento climatico, la biodiversità, le risorse ai servizi degli ecosistemi, da esperti di argomenti di natura filosofica, etica, sociale ed economica.

 

Il prof. Yamamoto in pratica propone di affiancare gli esistenti panel scientifici: l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l’International Resources Panel (IRP), l’Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes), da un panel composto da gruppi di lavoro in cui sono presenti esperti di filosofia, di religione, dei fondamenti etici e culturali della civiltà ecologica, dell’etica ambientale e della sicurezza climatica, dell’etica dei sistemi finanziari ed economici basati sulla sostenibilità e l’equità.

 

Il concetto di Felicità, escluso fino a pochi anni fa da una seria considerazione dall’economia principale, in questi ultimi anni sta emergendo nei dibatti e nelle politiche innovative di diversi paesi, alcuni dei quali hanno iniziato a fare riferimento pubblico ad alternative alla crescita economica.

 

Precedente illustre della felicità quale concetto inserito nei documenti ufficiali è la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, dove insieme all’uguaglianza tra gli uomini, il credo in Dio come creatore degli uomini dotati di «certain» diritti inalienabili, il perseguimento della Felicità sta accanto al diritto alla Vita e alla Libertà.

 

Esistono vari movimenti intellettuali che vanno nella direzione del «movimento della felicità», fino alla de-crescita un movimento accademico che mira a ristrutturare le economie mondiali in modo indipendente dalla crescita.

 

L’inventore del Pil come indicatore economico, il premio Nobel dell’economia Simon Kuznets, aveva messo in guardia dall’uso di questo indicatore come misuratore di tutte le forme di benessere. Come spesso accade, le idee dei grandi pensatori, pur ispirate alle migliori intenzioni, vengono nella pratica, utilizzate in modo distorto.

Le economie che rappresentano un’alternativa all’economia del Pil, rappresentano la Nuova Economia, che ha al suo interno diverse scuole di pensiero, di cui si riportano i caratteri principali.

 

Le scuole di pensiero

 

Lo Sviluppo sostenibile, definito nel 1987 come lo sviluppo che soddisfa le esigenze della generazione attuale senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare le proprie esigenze, non è in contrasto con la crescita economica tradizionale, poiché assume che la libertà nell’espansione del capitale, delle infrastrutture, della tecnologia e dei consumi creeranno, con mezzi automatici e determinati dal mercato, un futuro migliore. Tuttavia la maggior parte dei piani nazionali di sviluppo sostenibile non identificano nessun limite alla crescita di per sé, il che sta a significare che non vi è una chiara comprensione del concetto di sostenibilità.

 

Diversamente dalla Crescita Verde o dall’Economia Verde, lo Sviluppo Sostenibile non ha una filosofia economica o una strategia chiaramente articolata. Vi sono molte critiche allo sviluppo sostenibile, tra le quali quella che è un concetto che prova a essere per tutti e per tutte le cose e per tutti i problemi, ma che di fatto non è in grado di risolverne nessuno.

 

Solo dalla fine del 2011, l’Onu ha creato l’United Nations Office for Sustainable Development (Unosd), che avrà sede n Corea del Sud. La creazione così tardiva di un ufficio per lo sviluppo sostenibile, riflette il fatto che esso era nato come un concetto complessivo, supportato da un ampio corpo di conoscenze su argomenti specifici, quali l’energia, l’edilizia e l’alimentazione. La maggior parte dei paesi ha un piano o una strategia di sviluppo sostenibile che tuttavia di solito occupa una posizione debole all’interno del sistema di decisione e di policy dei paesi. Mentre la Crescita Verde e l’Economia Verde possono essere viste come parte dello sviluppo sostenibile, o un prodotto del movimento relativo allo sviluppo sostenibile, molti ritengono che vi siano grandi differenze tra questi termini.

 

La nozione più radicale al paradigma della crescita economica è la Decrescita. Significa il contrario: la contrazione della crescita. Il movimento della decrescita comprende principalmente una rete di ricercatori e di attivisti economici che studiano e promuovono l’idea che favorendo le economie di piccola scala, si genererà maggior benessere per l’umanità, diminuendo al contempo la pressione sulle risorse e gli ecosistemi.

 

La nuova economia

 

Nuovi strumenti inclusi la matematica avanzata, le tecniche informatiche, le scienze della mente stanno dando maggiore fondamento alle idee della Nuova Economia. I caratteri principali di questa economia possono essere sintetizzati come segue:

 

Obiettivi più ampi, più umani. L’economia della crescita tradizionale (Growth as Usual – GaU) si focalizza sulla semplice espansione, supportata dal credo che la crescita garantisce sempre in aumento del progresso umano. Le nuove economie, al contrario, sono focalizzate ai risultati reali, quelli che l’economia, come scienza della gestione della casa, dovrebbe perseguire e cioè il benessere dei cittadini.

Orientamento etico: La GaU considera le questioni etiche in quanto coinvolte nella costruzione del benessere attuale senza considerare gli impatti sul futuro. Inoltre, tende a valutare primario l’insieme dei valori di benessere rispetto ad una più equa distribuzione del benessere. La nuova economia non solo considera la questione dell’equa distribuzione nel presente, ma anche nel futuro, nell’ambito delle politiche economiche e delle pratiche che toccano gli interessi delle future generazione, cioè a dire l’equità intergenerazionale.

Chiari limiti ecologici: l’economia tradizionale spesso ignora la realtà che gli ecosistemi e le risorse sono limitate, mentre la nuova economia li considera come punti di partenza, intorno ai quali costruzione un nuovo sistema di valutazione, di sviluppo, di politiche del lavoro, ecc.

Indicatori più sistemici: l’economia tradizionale ha come indicatore principale il Pil. La nuova economia ricorre ad una serie di misure nuove per fornire correttivi, incluse le misure soggettive come la felicità e la percezione della qualità della vita.

 

Le alternative al Pil

 

Di seguito si riporta un elenco dei principali indicatori economici alternativi al Pil.

Il Genuin Progress Indicator (Gpi) è un concetto economico nato dal lavoro di due economisti Herman Daly e John Cobb, dai loro sforzi di ridefinire la misurazione economica in un modo più integrale. I due autori hanno introdotti l‘Index of Social and the Gross Economic Welfare (Isew) a correzione del Pil, nel libro del 1990 «For the Common Good». L’Isew è stato successivamente cambiato in «Genuine Progress Indicator» (Gpi).

 

I calcoli del Gpi rappresentano un tentativo di migliorare il Pil sottraendo i costi sociali e ambientali, che paradossalmente sono proprio quelli che fanno salire il Pil, e aggiungendo attività economiche non monetarie, come ad esempio il volontariato. Il Gpi è stato utilizzato in alcune istituzioni governative quali, la città canadese di Edmonton e lo Stato del Maryland negli Stati Uniti.

 

Ci sono molte varianti al calcolo di questo indicatore tra queste si segnala l‘Index of Economic Well-Being (Iewb) che si focalizza sulla distinzione tra consumi e capitale, tenendo presente argomenti tipo l’equità dei redditi e la sicurezza economica nella vecchiaia. Nel settembre 2011, un gruppo di ricercatori canadesi ha rilasciato un rapporto che include il calcolo del nuovo Iewb, tenendo conto degli argomenti suddetti, per tutti i paesi Ocse.

 

Tra le critiche rivolte al Gpi vi è quella che è difficile calcolare in maniera oggettiva il valore monetario di «costo» e di «beneficio» in scelte che sono oggetto di visioni politiche o ideologiche.

 

Il Genuin Saving Indicator (Gsi) a differenza del Gpi, è un indicatore economico più tradizionale, in quanto calcola il tasso nazionale netto di risparmio. Di recente è stato leggermente modificato allo scopo di integrare valori riguardanti il capitale umano e naturale. La Banca mondiale ha calcolato i dati riguardanti i tassi di Genuin Savings nazionali usati per dimostrare in quale misura la crescita economica tradizionale porterà al degrado ambientale e all’impoverimento delle risorse, rendendo in realtà le nazioni più povere.

Il Pil Verde è il meno innovativo tra tutti gli indicatori. È un Pil tradizionale, nel quale vengono inseriti i costi ambientali delle attività che misura. Il Pil verde è stato adottato da alcuni governi tra cui la Cina e l’India. Tuttavia la Cina, a seguito dell’impatto politico che avrebbero potuto causare i dati, ha smesso di utilizzarlo. Infatti esso mostrava che la crescita economica era molto più bassa se misurata con un tradizionale Pil, soprattutto in alcune province.

 

Le critiche al Pil Verde riguardano l’elevata difficoltà di calcolarlo adeguatamente poiché molte risorse naturali sono usate in modo gratuito (per esempio l’acqua) ed esse non hanno prezzo o un valore monetario. Di conseguenza non è possibile sapere come monetizzarli, tranne stime grossolane che si ispirano al calcolo del Pil.

Misurare la felicità

Il concetto di Felicità nazionale da generale concetto filosofico è stato ripreso più tardi dai ricercatori del Bhutan per arrivare a misurare quantitativamente il benessere della popolazione e su questa base suggerire le politiche da adottare.

 

L’idea di misurare la felicità appare strana, anche perché tocca considerazioni di natura soggettiva. Tuttavia recentemente, grazie alle scienze statistiche e alle scienze della mente questo indicatore è diventato più affidabile.

 

Il governo del Bhutan ha sviluppato una serie di strumenti che coprono sia la sfera soggettiva ed emotiva, sia elementi concernenti la conoscenza degli ecosistemi. Questi indicatori riguardano la sfera della tradizione, dell’ecologia, delle relazioni essenziali e dei mezzi di comunicazione. I principali parametri sono i seguenti:

 

  • Frequenza di sentimenti egoistici

  • Frequenza di sentimenti di generosità

  • Frequenza di pensieri a sfondo suicida

  • Conoscenza dei nomi delle specie animali e vegetali tipiche del proprio territorio

  • Livello di istruzione

  • Frequenza di partecipazione a giochi tradizionali

  • Numero dei giorni in un anno in cui si partecipa ad eventi comunitari

  • Reddito famigliare

  • Sufficienza di reddito per soddisfare le esigenze giornaliere

  • Numero di stanze di cui si dispone per persona

  • Acquisto di abiti di seconda mano

  • Ore di sonno

  • Senso di fiducia verso i vicini

  • Scambio di lavoro con i membri della comunità

  • Membri della famiglia che si occupano realmente l’uno dell’altro

  • Fiducia nei media.

 

Anche se l’attuale crisi economica rende poco credibile che i governi possano passare dall’utilizzo di un indicatore come il Pil per arrivare all’indicatore della Felicità nazionale lorda, tuttavia questi concetti stanno entrando nelle istituzioni, nei dibattiti e all’attenzione del grande pubblico. L’esempio del Bhutan ha portato la Francia, la Germania, l’Austria, il Regno Unito e persino l’Ocse a porre attenzione su queste proposte e a esplorare, investendo anche in termini di risorse, alternative allo sviluppo di tipo tradizionale.

 

Se mettiamo da un lato la politica economica basata sulla crescita tradizionale, la cui misura principale è il Pil, e dall’altra la decrescita che in teoria si basa su indicatori che tengono conto del benessere generale dell’individuo e l’ambiente, possiamo in sintesi riportare cosa sposta le economie da un opposto all’altro, come segue:

 

  • La crisi finanziaria sta spingendo i governi verso il modello di crescita economica tradizionale. Alcuni paesi, tuttavia, stanno adottando misure che vanno verso la Crescita Verde.

  • Gli spostamenti globali di potere, incluso l’avanzare di Cina, India, Brasile e altre economie emergenti, rappresentano fattori per le politiche nazionali per andare sempre verso la crescita economica tradizionale. Anche se alcuni paesi tentano di adottare politiche di Crescita Verde, lo spostamento del centro di gravità nel mondo, in risposta allo spostamento di potere, fa optare al ricorso all’economia della crescita di tipo tradizionale.

  • I conflitti armati nel mondo, a causa dell’impatto percepito come positivo per il Pil, vanno sempre nella direzione del paradigma della crescita economica tradizionale. In quest’ambito scarso interesse si dà alle nuove teorie economiche alternative alla crescita economica tradizionale

  • Il settore privato rimane legato alla crescita tradizionale. Tuttavia vi sono compagnie molto lungimiranti che hanno abbracciato concetti di Crescita Verde, creando un contro-movimento proprio nel settore privato, poiché con l’attuale crisi finanziaria, la Crescita Verde rappresenta un limite al di là del quale le imprese nel mondo non sono pronte ad avventurarsi.

  • Gli sforzi per riprendersi dai disastri rappresentano segnali economici nella direzione dell’aumento del Pil, e questo spinge verso un tipo di crescita tradizionale. Un maggior numero di disastri si traduce nella necessità di perseguire un tipo di crescita tradizionale da parte dei paesi coinvolti, con lo scopo d ricostruire le infrastrutture distrutte. Tuttavia anche in questo settore si registra una tendenza verso i concetti del Genuine Savings o del Genuine Progress perché i disastri coinvolgono la società, l’economia e il bilancio ambientale.

  • I movimenti democratici attivi nel mondo vanno da una posizione di neutralità rispetto al concetto di crescita economica tradizionale fino alla De-crescita. Nei paesi più ricchi si registra una rivisitazione del paradigma della crescita, mentre i paesi più poveri o in via di sviluppo tendono verso il paradigma della crescita economica di tipo tradizionale.

  • La necessità di ridurre la povertà si trova a metà tra la crescita economica tradizionale e la de-crescita perché in linea di principio s’ispira a concetti legati allo sviluppo sostenibile. Tuttavia il forte consenso che riceve la crescita in genere, tradizionale o di tipo verde, come il sistema più efficace per contribuire alla crescita, significa che gli sforzi messi in campo contribuiscono ad una globale spinta verso la direzione della crescita tradizionale.

 

 

Va infine tenuto presente l’effetto dell’imminente Conferenza mondiale di giugno sullo sviluppo sostenibile che riserva molta attenzione ai temi dell’equità sociale e della cura dell’ambiente.

 

L’interesse sempre più ampio verso la crescita verde, accompagnata da una rivisitazione degli indicatori nei quali sono inclusi anche alcuni concetti presenti nell’indicatore di misura della «Felicità di una nazione» può far sperare che l’umanità sia pronta ad intraprendere una strada che possa essere diversa dallo sfruttamento delle risorse naturali perpetrato fino ad oggi.

 

Bibliografia

 

AA.VV: Life Beyond Growth: Annual Survey Report of the Institute for Studies in Happiness, Economy and Society – Edited by: Alan ATKISSON, Commissioned by ISHES, Tokyo, Japan, Published by ISIS Academy, January 2012,

John HELLIWEL, Richard LAYARD, Jeffrey SACHS: World Happiness, Earth Institute of Columbia University, 2012,

United Nations Resolution 65/309, adopted unanimously by the General Assembly in July 2011

 

Siti internet

 

http://www.2apr.gov.bt/

http://www.fastcoexist.com/1679289/happiness-is-the-ultimate-economic-indicator

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http://bit.ly/genuinesaving

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