La sentenza emessa dalla Corte ribadisce l’obbligo per i comuni sparsi in tutto il Paese di avviare al più presto le opere necessarie per mettersi in regola con la direttiva Ue che imponeva provvedimenti per la difesa dell’ambiente dalle ripercussioni negative degli scarichi
La Corte di giustizia europea ha bocciato le fogne all’italiana. Lo stabilisce la sentenza C565/10 che sottolinea come il nostro Paese non risulti in regola con il trattamento delle acque reflue. La Corte di giustizia europea ha stabilito che l’Italia ha violato le norme Ue sulla raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane non rispettando i tempi stabiliti per la loro applicazione. I giudici comunitari hanno quindi dato ragione alla Commissione europea che nel 2009 aveva avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto delle norme Ue in decine di comuni italiani con una popolazione uguale o superiore ai 15.000 abitanti. E nel mirino ci sono soprattutto località del Sud.
Nel dettaglio, la sentenza emessa dalla Corte ribadisce quindi l’obbligo per circa un centinaio di comuni sparsi in tutto il Paese di avviare al più presto le opere necessarie per mettersi in regola con la direttiva Ue. Iniziative che, osservano fonti comunitarie, dovranno essere realizzate «al più presto possibile»; se l’Italia non dovesse, in tempi brevi, procedere con la sistemazione delle reti fognarie incriminate la Commissione europea potrà avviare una nuova procedura d’infrazione chiedendo stavolta allo Stato italiano, ultimo responsabile della corretta applicazione del diritto comunitario, di pagare salate multe. Ma facciamo un po’ di storia.
L’Unione europea nel 1991 aveva messo a punto la direttiva n. 271; bene, questo provvedimento aveva introdotto norme per la difesa dell’ambiente dalle ripercussioni negative degli scarichi di acque reflue fissando un termine ultimo, il 31 dicembre 2000, entro il quale dotare tutte gli agglomerati urbani con 15.000 o più abitanti di reti fognarie. Inoltre fu stabilito che le acque reflue urbane fossero sottoposte, prima dello scarico, a trattamento biologico. Nel 2009 la Commissione aveva deciso di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia dopo aver constatato che molti comuni, nonostante i tempi per l’adeguamento delle strutture fossero largamente trascorsi, non si erano ancora conformati agli obblighi imposti dalla direttiva Ue per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini.
Sono ben otto le regioni (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Abruzzo, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Liguria) richiamate nella sentenza per inadempienze alla normativa esistente; sul loro territorio si trovano, infatti, città e paesi che non si sono ancora dotati di una rete fognaria e di impianti di trattamento adeguati alla mole di abitanti da servire.
In definitiva, piovono ancora multe sull’Italia che non vuole adeguarsi alle norme europee in campo ambientale. E pensare che la difesa del nostro ambiente non dovrebbe essere solo imposizione di regole bensì stili di vita sostenibili, responsabilità nei confronti di noi stessi e del patrimonio da proteggere; dovrebbero esser questi i principi da seguire a prescindere dallo spauracchio di una presumibile sanzione economica.