L’Aquila – Una sentenza che spacca scienza e politica

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Quello che a caldo non si è capito è che la sentenza non condanna la scienza e la tecnica e l’incertezza che esse serenamente e coerentemente spesso esprimono, ma la debolezza degli scienziati ad accettare di mettere da parte il loro rigore scientifico per assecondare alcune scelte politiche

Dopo tre anni e sei mesi dal drammatico terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito il cuore dell’Abruzzo e quattro ore di Camera di consiglio il giudice unico Marco Billi ha sentenziato sulle accuse sollevate ai componenti della Commissione grandi rischi che nei quarantacinque minuti di riunione del 31 marzo 2009 decisero di tranquillizzare la popolazione.

La sentenza è di estrema delicatezza sia per gli aspetti scientifici sia per gli aspetti sociali collegati. L’accusa ai componenti la Commissione grandi rischi era «per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia in violazione altresì della normativa generale della Legge n. 150 del 7 giugno 2000 in materia di disciplina delle attività d’informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni», poiché in occasione della riunione precedente, tenutasi pochi giorni prima del terremoto, non avevano fornito agli Enti locali gli elementi utili alla prevenzione dei danni che il sisma avrebbe potuto causare alla popolazione.

Il giudice non ha imputato agli accusati il fatto che non abbiano previsto la scossa ma che l’analisi della situazione, in occasione della riunione del 31 marzo, sia stata fatta con superficialità, che non siano state prese le più elementari misure precauzionali, non siano stati forniti gli elementi necessari per mettere in atto comportamenti prudenti e siano state comunicate alla stampa informazioni fuorvianti che hanno indotto molte delle persone, alcune delle quali hanno perso la vita, a rimanere a casa, cosa che non avrebbero fatto nel caso il messaggio fosse stato meno rassicurante.

La condanna a sei anni di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il risarcimento provvisionale di circa 7 milioni e 800mila euro, è stata inflitta a tutti e sette i componenti della commissione grandi rischi, in carica nel 2009, che avevano rassicurato gli aquilani circa l’improbabilità di una forte scossa sismica, che invece si verificò alle ore 3,32 del 6 aprile 2009. Tutti i condannati rivestivano e rivestono ruoli decisori da manager della Pubblica amministrazione e nel settore della ricerca scientifica. Essi sono stati giudicati colpevoli di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose.

È stato accertato, nel processo di primo grado, che alcune delle vittime del sisma si sentirono rassicurate, e per questo non si misero al riparo, dalle dichiarazioni di alcuni componenti la Commissione, trasmesse alla popolazione tramite le tv ed i giornali locali, che riconducevano lo sciame sismico in atto a un normale fenomeno geologico. Ad aggravare le accuse volte alla Commissione grandi rischi, composta prevalentemente da laureati in ingegneria e fisica, con grande e stimata esperienza nel mondo accademico, c’è stata anche un’intercettazione telefonica dell’allora Capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Bertolaso dialogando con Daniela Stati, assessore regionale, anticipava che la riunione del 31 marzo sarebbe stata un’iniziativa di comunicazione rassicurante per la popolazione; le parole intercettate: «Vengono i luminari è più di un’operazione mediatica, loro diranno: è una situazione normale, non ci sarà mai la scossa, quella che fa male»; il sistema di faglie dell’Abruzzo, che da mesi faceva registrare centinaia di scosse, sconfessò il medico Bertolaso.

A oggi la scienza non è in grado di prevedere il momento del terremoto ma è in grado di prevedere dove questo manifesterà tutta la sua energia devastante in grado di sollevare montagne e aprire voragini. Le aree interessate dai terremoti sono note sulla base di studi geologici a scala regionale, dell’esame degli spostamenti verticali e orizzontali del terreno registrato dai satelliti, dell’analisi statistica dei cataloghi storici dei terremoti precedenti, degli studi geologici e sismologici di dettaglio che ricercano i segnali di attività lungo faglie sepolte e cercano di datare i movimenti relativi dei blocchi di terra dislocati.

La parte temporale, cioè quando il terremoto si verificherà, non afferisce in questo momento alla scienza esatta e molti gruppi a livello mondiale stanno lavorando per definire criteri di analisi attendibile, intendendo per attendibile criteri e analisi che possono soddisfare con continuità e non sporadicamente la necessità di avvertire in tempo la popolazione dell’arrivo di una scossa sismica devastante.

Con la sentenza di condanna del tribunale di L’Aquila agli scienziati componenti la Commissione grandi rischi, parte del mondo accademico si è espressa con grave preoccupazione sostenendo che la scienza e la tecnica potrebbero non essere più disponibili a sostenere i carichi di responsabilità per l’incolumità della popolazione. Quello che a caldo non si è capito è che la sentenza non condanna la scienza e la tecnica e l’incertezza che esse serenamente e coerentemente spesso esprimono, ma la debolezza degli scienziati nell’accettare di mettere da parte il loro rigore scientifico per assecondare alcune scelte politiche.

La Commissione grandi rischi, nel dichiarare dopo l’incontro del 31 marzo 2009 che non ci sarebbe stato nessun terremoto di una certa entità, ha in maniera contraddittoria ammesso che i terremoti si possono prevedere in termini di localizzazione e momento dell’evento. Se oggi il mondo accademico non comprende la profonda differenza e la motivazione della sentenza presta il fianco a quei politici, come si sta verificando in queste ore, che gradiscono figure sopra le parti che ogni tanto sono disponibili a condividere comunicazioni poco scientifiche e molto addomesticate.