L’Ilva, la tromba d’aria e la «trattativa»

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foto di Angelo Perrini
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Non possiamo credere che vi sia un’entità soprannaturale che indirizzi le sorti delle meschine beghe umane, da menti razionali ci si aspetta ragionamenti probabilistici, che hanno valore, perlomeno statistico. Ed allora con quale probabilità avremmo previsto che una tromba d’aria colpisse questa mattina lo stabilimento danneggiandolo consistentemente e ferendo gli operai barricati all’interno, proprio nei giorni più importanti per il futuro dell’azienda e della popolazione?

Non è di posti di lavoro che si parla. Non è di industria dell’acciaio. Non è di ripresa economica. Stiamo parlando di violenza nei confronti della Natura, che si ripercuote, ovviamente, su ogni elemento che la compone, uomo compreso. Quello dell’Ilva non è un caso che dovrebbe essere discusso dai politici, dagli economisti o dai sindacalisti. Quello di Taranto è un problema di ambiente e di uomini. Quello della contaminazione di acqua, cibo, suolo ed aria, cellule e tessuti perpetrata per anni nell’indifferenza più totale di coloro che ora si arrogano il diritto di decidere sul futuro di tutti, è una responsabilità di chi ha interesse nel tutelare la salute di ciò che ha valore, al di là del lavoro e del profitto. Non è cosa di ambientalisti. Perché quest’etichetta ha stufato da tempo. Perché ognuno di noi dovrebbe esserlo, senza definizione. Perché chi non lo è non può neanche immaginarlo il futuro, persino concepirlo il lavoro e neppure ritenersi parte di una qualunque categoria o comunità.

Il ricatto dell’occupazione è fallito da tempo. Dal tempo in cui per un pezzo di pane si perdevano dieci anni di vita al minuto o la vita in un minuto, soffocati dalle polveri sottili o dalle macchine industriali. È presto risolto il grande dilemma, più politico che sociale, di cosa far fare agli operai. Apriamo oleifici, aziende agricole biologiche, produciamo qualità laddove c’era solo polvere rossa e morti quotidiane. Occupiamo gli operai dell’Ilva con lavori meno degradanti per loro ed il resto della società. Ripuliamo Taranto dal marcio delle bustarelle politiche, degli accordi bipartizan, di chi si sciacqua la bocca di buoni propositi e risulta poi essere l’artefice dell’attuale situazione.
Ridiamo in faccia a Monti che da buon economista ha interesse a «salvaguardare un pezzo fondamentale dell’industria italiana». E tanto piacere per chi muore là intorno. Ridiamo in faccia a Clini, che da ministro dell’Ambiente, non si cura delle migliaia di malati di cancro, del latte vaccino e materno intriso di diossina, dei suoli e delle falde contaminati, ma si preoccupa di cosa faranno 5.000 operai se l’Ilva chiude. «Verranno tutti a mangiare a casa tua, visto che col tuo stipendio potresti pagare per intero i loro salari mensili», gli rispondiamo. Ridiamo in faccia a Vendola, Bersani, Stefàno e tutti gli altri che in TV e sui giornali difendevano i tarantini, i lavoratori, la gente dei Tamburi e pure le pecorelle e che sotto sotto, chi più e chi meno, trovavano il modo di lucrare sulla vicenda, di favorire connivenze ed amicizie, di falsificare dati ed analisi.

Ciò che è avvenuto a Taranto questa mattina, con la tromba d’aria e l’alluvione che ha distrutto molte strutture dell’azienda e causato decine di feriti tra gli operai, che senza lavoro da giorni occupavano la fabbrica, ha qualcosa di mistico e surreale.
Perché se da scienziati non possiamo credere che vi sia un’entità soprannaturale che indirizzi le sorti delle meschine beghe umane, da menti razionali ci si aspetta ragionamenti probabilistici, che hanno valore, perlomeno statistico. Ed allora con quale probabilità, con quale livello di confidenza nella stima avremmo previsto che una tromba d’aria colpisse questa mattina proprio l’Ilva di Taranto, danneggiandola consistentemente e ferendo gli operai barricati all’interno, proprio nei giorni più importanti per il futuro dell’azienda e della popolazione? Ben lungi dal credere in una presenza divina immanente restiamo, dinanzi a simili combinazioni del caso, radicalmente spiazzati e sconvolti. Neanche il più sprovveduto dei bookmaker avrebbe scommesso un solo euro su un evento simile. In questo momento.

Non sarà che, forse, le nostre certezze, la nostra fede nella scienza esatta, il nostro continuo richiamo alla ragione vacillano dinanzi alla forza della Natura, che con inaspettata precisione ci invia segnali che puntualmente ignoriamo? Forse è solo la paura che, così come crea le religioni, porta l’infimo uomo, timorato solo nel momento più critico, ad associare eventi indipendenti e casuali ad un monito superiore per il bene del mondo. Ma non fu forse il terremoto in Giappone a creare il disastro della centrale di Fukushima, proprio nei giorni in cui l’Italia organizzava un referendum contro il nucleare e l’Europa si chiedeva che strada prendere per il futuro energetico?
E non è, dunque, quantomeno insolito e sinistro il concatenarsi di eventi che stanno coinvolgendo il territorio di Taranto e che vedono oggi una tromba d’aria spazzar via mezz’acciaieria con i suoi dipendenti all’interno?
Non sarà che la Natura, più che trascendente come ogni divinità creata dall’umanità, nella sua piuttosto immanente e costante essenza diffusa in ogni elemento che la compone sulla Terra abbia scelto, ancora, di rivelare il suo volere con devastante potenza? Quella potenza che noi uomini, illusi di poter controllare, ammaliati e fomentati dal crederci ad immagine di Dio, fingiamo di ignorare per ritrovarci, ogni volta, in ginocchio dinanzi al disastro di cui incolpiamo la Madre di Tutto. Colei che, invece, ha solo cercato di avvisarci in tempo…

 

Roberto Cazzolla Gatti, Biologo ambientale ed evolutivo