La pesca armata delle baleniere giapponesi

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Un pianeta sempre più povero e gestito da prepotenti mentre la «resistenza» civile di piccole comunità si sta facendo sempre più sofisticata e organizzata. Da qui l’appello a coloro che hanno la conoscenza dei problemi reali, a fare loro una rivoluzione culturale che salvi prima di tutto le persone e non le ricchezze, perché questo è in gioco oggi

Le crisi economiche sono sempre più ravvicinate da sembrare, quasi, permanenti. Il divario tra ricchi e poveri si allarga sempre più ed anche quelle nazioni che hanno sofferto le colonizzazioni e gli sfruttamenti, sia laici sia religiosi, oro sono schierate secondo gli schemi classici: ricchi e poveri.
Ma si sta facendo avanti, sempre più prepotentemente una terza realtà: coloro che hanno capito perché esiste questa divisione e cercano in tutti i modi di segnalare le ragioni. Dicono, con sempre più forza, perché siamo ricchi o siamo poveri ed è perché nei «conteggi» economici c’è un escluso macroscopico: l’ambiente.
È il depauperamento dell’ambiente che come una linea di confine invisibile divarica le condizioni della popolazione mondiale.

Le pietre preziose, il petrolio, le foreste… non danno ricchezza alle popolazioni che posseggono questi beni primari, anzi sono tenute in schiavitù culturale e, quando le risorse sono esaurite, sono più poveri di prima perché hanno un surplus di precarietà e di malattie della «civiltà».
Coloro che hanno sfruttato queste ricchezze sono sì più ricchi, ma sono anche più deboli perché «dipendenti» delle grandi industrie, delle multinazionali e vivono su un pianeta più povero.
Questa filiera perversa è ben nota da tempo, ma l’uomo è incapace di reagire e di fermarla modificando la nostra qualità della vita.
E quando un adolescente non trova comprensione e aiuto in casa che fa? Scappa. Il cammino dell’uomo è costellato da fughe di adolescenti, ovvero di piccole e grandi rivolte.
E non può sfuggire che la «resistenza» civile di piccole comunità si sta facendo sempre più sofisticata e organizzata.

Come un ritornello si dice no alla violenza, d’accordo, è sempre meglio no alla violenza e preferire un tratto positivo della nostra civiltà: il confronto e il dialogo. Ma vi immaginate i rivoltosi francesi discutere con il re? Immaginate gli americani discutere con la corona inglese per avere l’indipendenza? E di fronte alla levata di scudi e alle proteste della società civile in Italia che fine ha fatto la domanda di riduzione delle spese dell’apparato statale?
Questo per dire che chi è in una situazione di potere, inteso come dominio, non cederà mai nulla.
Da qui la preoccupazione verso un futuro oscuro del pianeta se i rapporti di forza resteranno gli attuali. Da qui l’appello a coloro che hanno la conoscenza dei problemi reali, a fare loro una rivoluzione culturale che salvi prima di tutto le persone e non le ricchezze, perché questo è in gioco oggi.

A parte l’inquinamento e i cambiamenti climatici, con costi non calcolati da parte degli economisti ufficiali, in termini di spese sanitarie e spese di gestione del territorio, v’è anche l’aspetto della perdita di biodiversità e lo sfruttamento eccessivo e disequilibrato di risorse naturali a scopo alimentare.
Uno degli esempi, che emerge in questo periodo, a parte la mattanza dei delfini, è la caccia alle balene.
Mentre la flotta baleniera giapponese è salpata per dare il via alla stagione della caccia ai cetacei gli eco-pirati preparano azioni di disturbo con la nave Sea Shepherd.
Il braccio di ferro fra il Giappone, la società mondiale che regola la pesca e gli ambientalisti, dura da tempo e il Giappone si è coperto di ridicolo sostenendo che la sua pesca è per scopi scientifici.

La flotta giapponese ha levato le ancore alla volta dell’Oceano Antartico. Quest’anno l’obiettivo è catturare 985 balenottere antartiche e 50 altri tipi di cetacei. Le tre navi partite dal porto nella provincia di Yamaguchi (nell’estremo sud-ovest), si incontreranno nell’Oceano Antartico con la nave-bandiera, la Nisshin Maru, per iniziare una caccia che andrà avanti fino a marzo. Ma come ormai accade dal 2005, sulla sua rotta la flotta giapponese troverà in agguato le imbarcazioni del gruppo ecologista statunitense, Sea Shepherd Conservation Society. Proprio per rintuzzare gli «assalti», a bordo dei pescherecci giapponesi ci saranno quest’anno ufficiali della guardia costiera. Un innalzamento della tensione che nulla ha a che vedere con un’attività commerciale fraudolenta. Come fraudolenta è anche la pesca con reti a maglia non regolamentare o l’uso delle spadare…

Il governo nipponico, che non ha confermato la partenza della flotta, assicura che l’obiettivo della cattura «scientifica» è indagare sul Dna e i sistemi digestivi dei mammiferi marini (e di fatti le spedizioni sono a carico dell’Istituto di Ricerca dei Cetacei).
Sea Shepherd ha annunciato che quest’anno aumenterà a quattro le barche che compiranno le azioni «ostruzionistiche». L’anno scorso, la battaglia ambientalista ha portato i suoi frutti, o meglio ha drasticamente ridotto i cetacei finite nei frigoriferi dei pescherecci: nella stagione 2011/2012, il Giappone non riuscì a raggiungere neppure un terzo del suo obiettivo (stabilito in circa 900 balene): a frenare la pesca, il maltempo, ma anche le azioni di disturbo di Sea Shepherd, le cui navi tallonarono i pescherecci per 27mila chilometri e li bloccarono in diverse occasioni. Il risultato fu di «solo» 267 balene cacciate.

Non è un gioco, non è un reality, non c’è da vedere come va a finire. C’è solo una tristezza infinita nel vedere come lentamente muore il nostro pianeta e come sempre più impotenti sono… i potenti che ci governano.