Carbone e petrolio, si spinge sull’acceleratore

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Il cattivo esempio più macroscopico è quello dell’8 marzo quando gli ex ministri Clini e Passera hanno firmato un decreto interministeriale che approva la versione finale della Sen (Strategia energetica nazionale). Comportamento che ricorda quando «nel ’92, con un analogo decreto, il settimo governo Andreotti, sfiduciato e in carica esclusivamente per l’ordinaria amministrazione, fece passare grazie al Comitato interministeriale prezzi il famoso Cip 6»

– Aper: ancora molti nodi da sciogliere

Mentre la nuova legislatura sta cercando di nascere fra mille difficoltà e interrogativi sulla stabilità futura, mentre il popolo italiano si è già espresso su alcune questioni importanti in tema di energia, mentre il mercato dà chiari segnali nell’indicare la direzione verso cui intende muoversi, la politica che svolge gli «affari correnti» e quella che continua a gestire a livello locale il bene delle sue comunità, allungano il passo e danno un’accelerata verso posizioni opposte a quelle indicate dai cittadini.
Il cattivo esempio più macroscopico è quello dell’8 marzo quando gli ex ministri Clini e Passera hanno firmato un decreto interministeriale che approva la versione finale della Sen (Strategia energetica nazionale), quasi un oggetto misterioso per la maggior parte dell’opinione pubblica…
Con questo decreto si rilancia l’estrazione di idrocarburi e si punta a creare in Italia quasi un Hub del gas.
È un film già visto, infatti Andrea Fontana, autore del libro inchiesta «Enel black power – Chi tocca muore!», fa notare che «nel ’92, con un analogo decreto, il settimo governo Andreotti, sfiduciato e in carica esclusivamente per l’ordinaria amministrazione, fece passare grazie al Comitato interministeriale prezzi il famoso Cip 6, il provvedimento attraverso il quale invece di finanziare la ricerca sulle fonti rinnovabili si sono elargiti miliardi a favore di petrolieri e inceneritori».

Da qui discendono varie accelerazioni anche a livello locale.
Dopo quattro anni di attesa, la Conferenza dei servizi per il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale della Centrale a carbone di Torrevaldaliga Nord ha chiuso i lavori con una sola seduta e senza che nessuna delle osservazioni e richieste presentate da Legambiente e dai comitati sia stata valutata positivamente.
Da una prima lettura del verbale, in sintesi, sono stati ampliati i limiti di emissione per il monossido di carbonio, anche in relazione alle ore di funzionamento dell’impianto, non è stato inserito il limite dello 0,3% del tenore di zolfo nel carbone (fissato dal piano regionale qualità aria) né è stata prodotta una descrizione analitica del combustibile rendendo impossibile valutare gli inquinanti emessi (metalli pesanti soprattutto), non è stata disposta la verifica di ottemperanza per le prescrizioni contenute nella valutazione di impatto ambientale per valutarne lo stato di attuazione.

«È inaccettabile utilizzare il rinnovo dell’autorizzazione Aia – ha dichiarato Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio – per aumentare i limiti di emissione e le ore di lavoro della centrale a carbone di Civitavecchia, significa farsi beffa delle prescrizioni per l’esercizio dettate molti anni fa con la valutazione di impatto ambientale. Altrettanto sconcertante è il parere positivo della Regione Lazio, rilasciato proprio mentre la nuova Amministrazione si sta insediando e non può quindi aver valutato nulla nel merito».

Se il Lazio compie questo atto a dir poco discutibile, la Campania va in altra direzione. In Regione c’è stato un incontro che segna un grande passo in avanti verso la risoluzione della vicenda Trivellazioni Petrolifere in Irpinia. Un’intera provincia si è mossa, decisa ed unanime, verso l’Istituzione regionale riportando non solo le ragioni legate al dissenso ma soprattutto la speranza di vedere riconosciuta la giusta importanza alle tante istanze e rivendicazioni di tutela del territorio e delle sue peculiarità. C’è stato un «no» che vale tanti «sì» per l’Irpinia che cerca di ridarsi un’identità ed una coscienza troppe volte vilipesa dai contrasti sorti per interessi particolari e campanilistici. L’intensa azione di sensibilizzazione e la mobilitazione che i Comitati hanno portato avanti legittima a coltivare la speranza di riuscire a scongiurare il rischio di vedere l’Irpinia invasa dai signori del petrolio. È questo il senso di soddisfazione che si evince da una nota dei Comitati.

Ovviamente capofila nazionale di questi orientamenti, sia pure in maniera contraddittoria, è l’erogatore nazionale di energia, l’Enel, perché propone un mix che fa spesso protestare i sostenitori delle energie alternative.
«Enel prosegue su una strada sciagurata – ha dichiarato nei giorni scorsi Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace –. Non sono servite le nostre denunce, che dimostrano come, in riferimento ai dati del 2009, l’inquinamento del carbone di Enel fosse causa di una morte prematura al giorno in Italia. Da allora ad oggi la produzione con questa fonte è cresciuta di quasi il 50 per cento e oggi l’impatto sanitario ed economico di un’azienda che va per metà a carbone è semplicemente insostenibile per il Paese. Questo piano industriale è una “fumata nera” per il futuro dell’Italia».
E mentre l’Enel sembra aver già ottenuto un primo successo con l’impianto di Civitavecchia punta a realizzare due nuovi impianti a carbone, a Porto Tolle e a Rossano Calabro.