Così le industrie estrattive minacciano le foreste

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In Perù, Guatemala, Colombia e Panama le risorse non rinnovabili sono di proprietà dello Stato, che le dà poi in concessione alle società minerarie. Questo privilegio consente alle aziende private e di proprietà dello Stato di utilizzare le risorse (come l’acqua, il suolo e le foreste) e stabilire servitù attive a scopo di sfruttamento

Un nuovo rapporto della Rights and Resources Initiative analizza l’impatto delle industrie estrattive sui diritti collettivi su terreni e foreste delle comunità in Colombia, Perù, Guatemala e Panama.
Lo studio si concentra sulle attività minerarie a causa della loro maggiore intensità, numero, e gamma negli ultimi due decenni, in particolare a causa di investimenti esteri.
In Perù, Guatemala, Colombia e Panama le risorse non rinnovabili sono di proprietà dello Stato, che le dà poi in concessione alle società minerarie. Questo privilegio consente alle aziende private e di proprietà dello Stato di utilizzare le risorse (come l’acqua, il suolo e le foreste) e stabilire servitù attive a scopo di sfruttamento.

Le aree forestali individuate dai paesi come siti potenziali per Redd+ (Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale), spesso si trovano su terreni di proprietà di popoli indigeni, afro-discendenti e/o contadini e sono anche aree soggette a concessioni per le industrie estrattive. Questo porta a conflitti di interesse e comporta rischi di violazione dei diritti umani e dei diritti collettivi di possesso dei locali.

I governi dovrebbero quindi intervenire per dare priorità ai progetti Redd+ e smettere di vendere le foreste alle imprese per la stessa sicurezza dei Paesi. Diversi studi indicano, infatti, che un’economia basata sul continuo sfruttamento delle risorse naturali non è sostenibile, sottolineando il ruolo fondamentale delle foreste nella produzione e nel consumo sostenibile.