Incuria e cemento hanno devastato oltre 2 milioni di ettari

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Il ruolo fondamentale degli agricoltori nella manutenzione e nella prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico. 8 comuni su 10 sono in aree ad elevata criticità. Le conclusioni del vicepresidente nazionale vicario Dino Scanavino: valorizzare il settore agricolo quale volàno di riequilibrio territoriale, produttivo e sociale. L’efficacia dell’impresa agricola multifunzionale

L’agricoltura italiana continua a perdere terreno, minacciata costantemente dall’avanzata della cementificazione selvaggia e abusiva, che solo negli ultimi vent’anni ha divorato più di due milioni di ettari coltivati, dalla mancata manutenzione del suolo, dal degrado, dall’incuria ambientale, dall’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore. E i disastri provocati dal maltempo negli ultimi anni ne sono la prova tangibile.
Siamo in presenza di uno «scippo» di territorio agricolo che procede a ritmi vertiginosi: 11 ettari l’ora, quasi 2000 alla settimana e oltre 8000 al mese, calpestando quotidianamente paesaggio, tradizioni e qualità del cibo. A rischiare più di tutti le conseguenze di questo «furto» sono gli oltre 5.000 prodotti «tradizionali» che sono la spina dorsale dell’enogastronomia italiana, ma che non godono delle tutele proprie dei marchi di qualità. Per questo motivo serve subito una nuova legge per la ristrutturazione del territorio. È quanto emerso oggi a Messina durante il convegno promosso dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori sul tema, appunto, «Custodi del suolo e dissesto idrogeologico», concluso dal vicepresidente nazionale vicario Dino Scanavino.
Basta citare alcuni dati per comprendere la delicatezza del problema: oggi (è stato rimarcato nel convegno della Cia che ha visto la partecipazione di esponenti delle istituzioni e di esperti e tecnici in materia di territorio e di assetto idrogeologico) 8 comuni su 10 sono in aree ad elevata criticità idrogeologica; oltre 700mila sono gli immobili abusivi, spesso costruiti non a norma e, quindi, a grave rischio in presenza di una calamità naturale. In poco meno di dieci anni l’agricoltura ha perso una superficie di terra coltivabile di oltre 19mila kmq, un territorio pari a quanto l’intero Veneto.
Ciò che manca nel nostro Paese, è stato detto nel corso dell’iniziativa Cia, è una vera opera di prevenzione contro le calamità naturali. Dal 1950 ad oggi si sono spesi più di 200 miliardi di euro per riparare i danni causati da calamità naturali; sarebbe bastato destinare il 20 per cento di questa cifra ad opere di manutenzione del territorio per limitare le disastrose conseguenze e soprattutto le perdite umane. E quello che è avvenuto in questi ultimi anni ripropone con forza le tematiche legate all’assetto idrogeologico e alla sicurezza delle persone e delle attività produttive, soprattutto in agricoltura.
La prevenzione è, quindi, un mezzo efficace di contrasto al fenomeno. Prevenzione che può essere attuata attraverso strumenti esistenti (le convenzioni con le imprese agricole) e in un’ottica di sussidiarietà, attraverso l’azienda multifunzionale (o pluriattiva) presente sul territorio che ricopre una funzione veramente efficace.
Serve, dunque, una rinnovata attenzione. Occorre una politica con la quale puntare ad una vera salvaguardia del territorio con risorse adeguate. Una politica che, è stato ribadito nel convegno di Messina, garantisca il presidio da parte dell’agricoltore, la cui attività è fondamentale in particolare nelle zone marginali. C’è bisogno di interventi concreti per mettere in sicurezza interi paesi minacciati da frane e da smottamenti. Il problema della tutela del territorio non è certo secondario. È un problema di grande priorità. Per questo la Cia segue con molta attenzione tutte le iniziative legislative tese a una vera difesa del suolo, a cominciare da quella promossa dal governo che si spera possa diventare al più presto realtà.
Insomma, occorrono norme di pianificazione del territorio per fermare il consumo di suolo, tutelare e valorizzare il paesaggio. È necessario, altresì, un governo delle risorse idriche per contrastare il dissesto idrogeologico e favorire l’uso razionale dell’acqua in agricoltura.
«La difesa del suolo passa – ha detto il vicepresidente vicario Scanavino nelle conclusioni – anche e soprattutto dalla valorizzazione dell’agricoltura. Da qui l’esigenza di un cambiamento radicale nella politica territoriale, anche perché in questi anni poco è mutato in fatto di tutela e salvaguardia. Non sono state prese misure efficaci. Quanto di drammatico avvenuto in decenni di totale incuria e di devastazione del territorio non consente ulteriori indugi. C’è la necessità di porre immediato riparo e lavorare in tempi rapidi per costruire un sistema ambientale realmente sostenibile, valorizzando l’agricoltura quale volàno di riequilibrio territoriale, produttivo e sociale».
«Il nostro impegno per la difesa e valorizzazione del suolo non nasce certo oggi. Fin dagli anni Ottanta – ha sostenuto ancora Scanavino – ci battiamo per una politica del territorio, dove l’agricoltura abbia un ruolo protagonista, di presidio, di tutela. Ricordo i due significativi convegni che abbiamo svolto nel 1981 e nel 1985 a Spoleto e la proposta di iniziativa popolare presentata alla Camera dei Deputati nel giugno del 1994 con la raccolta di oltre 65mila firme. Proposta che, nonostante siano passati quasi 20 anni, appare ancora estremamente attuale, soprattutto davanti ai recenti disastri provocati dal maltempo a causa della mancata manutenzione del suolo, del degrado, della cementificazione selvaggia e abusiva, dell’incuria ambientale, dell’abbandono delle zone collinari e montane, dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore. Aggiungiamo, poi, la “Carta di Matera” firmata dall’Anci e da migliaia di sindaci. Un documento che punta a creare un futuro con più agricoltura e una politica territoriale veramente valida. La ristrutturazione del territorio, d’altra parte, è una vera sfida di civiltà».