Quel perfezionismo che danneggia l’intestino

1297
Tempo di lettura: 4 minuti

Psicoterapia e medicina classica possono, insieme, proporre un approccio complessivo e vincente in un quadro che altrimenti rischierebbe ogni volta di scivolare nella frustrante ricerca del farmaco migliore o della tisana più efficace

Colite spastica, colite nervosa, stitichezza cronica, alvo alterno, colite mucosa o solo e semplicemente colite. Così nel tempo, ed a seconda della prevalenza di un sintomo o di un aspetto clinico sugli altri, è stato definito negli anni quel complesso corteo sintomatologico fatto di disordini funzionali gastrointestinali, dolore addominale ricorrente, gonfiore associato o meno con feci alterne o con prevalenza di stitichezza o diarrea che oggi invece e più correttamente si definisce Colon irritabile o meglio ancora Ibs vale a dire Irritable Bowel Syndrome (in italiano Sindrome dell’intestino irritabile).

Si tratta di uno dei disturbi più frequenti dell’apparato digerente, non di rado confuso con tutta un’altra serie di problemi (dall’intolleranza al lattosio alle gastroenteriti acute alle Malattie infiammatorie croniche intestinali) con i quali ha in comune moltissimi elementi sintomatologici ma dai quali si differenzia per cause, approccio diagnostico e strategie terapeutiche.
Basterebbe pensare che mentre per l’intolleranza al fruttosio o al lattosio il disturbo viene azzerato con l’eliminazione dalla dieta degli alimenti in gioco (o con l’aggiunta ad essi, durante il pasto, di enzimi specifici capaci di produrne l’idrolisi e quindi l’assorbimento, senza conseguenze di sorta) o che mentre in molte gastroenteriti può essere sufficiente una terapia antimicrobica con integrazione di fermenti lattici o ancora che in alcune malattie infiammatorie croniche intestinali può essere indispensabile far ricorso a cortisonici o più recentemente a farmaci biologici, nell’Ibs la gestione della malattia non si avvale di norma di tutti questi farmaci che anzi sembrano del tutto inutili se non addirittura dannosi. Fatto ancora più rilevante se si pensa che una percentuale variabile dal 10 al 20% degli europei è interessato da questa complessa sintomatologia intestinale, con una prevalenza netta della popolazione di sesso femminile ed un picco nell’età giovanile, sino ai 45 anni di età.
Alterazioni della motilità gastrointestinale, accentuazione della sensibilità al dolore (iperalgesia viscerale) e rilevante coinvolgimento psicologico sono gli elementi in gioco, nella determinazione della nascita della sindrome, della sua cronicizzazione e della riacutizzazione dei sintomi, con una rilevanza, per la qualità di vita dei pazienti che ne sono affetti, che produce uno stato di sofferenza cronica e di forte limitazione della libertà del soggetto.

Sino ad alcuni anni fa si sosteneva che la diagnosi di colon irritabile fosse sostanzialmente di esclusione: con ciò si voleva affermare il concetto che solo alla fine di un processo di eliminazione della possibilità che fossero in gioco altre cause patologiche si potesse affermare che il soggetto soffrisse di irritabilità intestinale funzionale. Più recentemente, invece, a partire da alcune sessioni congressuali, tenutesi a Roma in più riprese, si sono chiariti alcuni specifici parametri («Rome Criteria») sulla base di quali è possibile porre diagnosi di Ibs senza dover percorrere la strada della eliminazione di tutte le altre possibili cause, con un risparmio in termini di costi e di stress per il paziente e per le strutture sanitarie.

In realtà col tempo si è andato evidenziando anche un altro importante aspetto relativo alla funzionalità dell’intestino, e del colon in particolare, e quindi ai meccanismi eziopatogenetici della Sindrome del colon irritabile vale a dire il ruolo di quello che si è definito come «Brain-Gut Axis» (letteralmente Asse Cervello-Intestino) secondo cui non solo il cervello svolge un ruolo fondamentale nelle funzioni motorie dell’intestino ma l’intestino stesso sarebbe dotato di un proprio sistema nervoso capace di rapportarsi alle condizioni più complessive del soggetto, reagendo in un modo o in un altro agli eventi che appartengono all’esperienza di vita del paziente. Peraltro è ormai del tutto evidente che i soggetti affetti da Ibs sono (o «si percepiscono») come più stressati o più a disagio nella propria esperienza di vita, finendo con il somatizzare una serie di conflitti ed acquisendo l’attitudine di dirigere involontariamente tale disagio sul proprio colon e sulle funzioni digestive in genere.

Soggetti tendenzialmente perfezionisti o comunque portati ad una visione rigidamente schematica della vita, o che non siano abituati ad esprimere il disagio che nasce dal gap fra le proprie aspirazioni e le realizzazioni di vita realmente vissuta, o che diano eccessiva importanza al giudizio altrui, o che preferiscano mortificare il proprio punto di vista pur di non sollecitare condizioni di conflitto nei confronti di coloro con i quali si rapportano, ad esempio, tendono a presentare col tempo un quadro di Colon irritabile con significativa maggior probabilità degli altri.
Ecco che, sempre più, si è fatta strada la necessità di affrontare questa patologia non solo facendo ricorso a farmaci e/o preparazioni erboristiche con cui ridurre lo stato di contrattilità eccessiva della muscolatura liscia dell’intestino (la cui contrazione in ultima analisi genera il dolore o la percezione di un’eccessiva distensione delle anse) ma anche con un più razionale approccio psicoterapeutico che trovi nel colloquio psicologico uno step basale e dirimente. Psicoterapia e medicina classica possono cioè, insieme, proporre un approccio complessivo e vincente in un quadro che altrimenti rischierebbe ogni volta di scivolare nella frustrante ricerca del farmaco migliore o della tisana più efficace.

In particolare, ed anche per la gestione dei disturbi del Colon irritabile, sembra assai promettente ed incoraggiante la cornice d’insieme fornita dal contributo e dall’approccio dalla Psicoterapia cognitivo-comportamentale, sulla base dell’impulso fornito dallo psichiatra americano Aaron Temkin Beck a partire dagli anni 60, che si pone come strumento innovativo ed originale nell’approccio e nella gestione dei disturbi digestivi nei quali sia evidenziata una forte componente psico-emotiva. Perfezionismo, difficoltà all’espressione del proprio disagio psichico, conflitti legati al proprio ruolo di genere, tendenza all’autocolpevolizzazione e tendenza ad «autosilenziare» i propri bisogni sono tutti elementi tenuti in forte considerazione dagli psicoterapeuti che sfruttano l’impostazione cognitivo-comportamentale per affrontare in maniera più completa (in collaborazione l’approccio gastroenterologico classico) il Colon irritabile.
Se il compito del gastroenterologo è (dovrebbe essere) quello di analizzare i fattori biologici e le modalità patogenetiche in causa nello specifico comportamento del colon del paziente che sta curando, il contributo dello psicoterapeuta, in sinergia con lui, dovrebbe essere proprio quello di svelare i meccanismi psichici che presiedono l’atteggiamento più complessivo del paziente, indagando la presenza o meno di dinamiche di self-silencing scheme, cioè di una forma di rituali chiusure in sé stesso, che determinano la strutturazione di una sorta di automatismo verso l’organo bersaglio dei conflitti inespressi, con il coinvolgimento di tutto l’apparato digerente o del colon in particolar modo.
Una pagina interessante e promettente per il gastroenterologo, un’utile estensione dell’approccio dello psicoterapeuta, chiamato a collaborare, a difesa del benessere del paziente, su un campo di estrema attualità e di rilevante impatto sociale.