Quella «Air Gun» che continua a devastare l’Adriatico

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Si tratta di una tecnica molto diffusa tra chi cerca il petrolio nei fondali marini, una tecnica di ispezione dove si procede emettendo spari fortissimi e continui di aria compressa che mandano onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione del sottosuolo

Bombardare il mare alla ricerca del petrolio. Questo è quanto starebbe facendo nel mar Adriatico su e giù la nave norvegese Northern Explorer alla ricerca del petrolio. L’area più battuta è di fronte a Venezia e Trieste poi a sud, fino al Montenegro. Per trovare il petrolio si starebbero sparando vere e proprie bombe ad aria compressa sui fondali alla ricerca dell’oro nero, onde sonore da 300 decibel, che rimbalzano e la cui eco rivela la presenza o meno del prezioso idrocarburo.
Si tratta dell’Air Gun, una tecnica molto diffusa tra chi cerca il petrolio nei fondali marini, una tecnica di ispezione dove si procede emettendo spari fortissimi e continui di aria compressa che mandano onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione del sottosuolo. Spesso questi spari, oltre a danneggiare il fondale, allontanano i pesci, creando enormi danni all’ecosistema marino e sono anche dannosi al pescato, perché possono causare lesioni ai pesci, e soprattutto la perdita dell’udito. Questo è molto grave perché molte specie ittiche dipendono dal senso dell’udito per orientarsi, per accoppiarsi e per trovare cibo.
Mentre ci si concentra sulla possibilità di trovar petrolio in mar Adriatico andando a devastare fondali e territori e mettendo in pericolo un habitat così delicato che per la sua struttura avrebbe difficoltà di riciclo acque, ma si sa davanti a profitti di così elevate entità tutto perde importanza, si minimizza sull’impiego della tecnica Air Gun.
Nessuno ricorda, o molti vogliono far dimenticare, che già nel 2009 siamo stati tutti colpiti dalla notizia di sette capodogli spiaggiati sul litorale della Foce Varano, tra Cagnano Varano e Ischitella a causa di uno sconsiderato sfruttamento delle risorse marine effettuato da soggetti senza scrupoli, che compiono ricerche di depositi di gas e petrolio, o da un altrettanto sconsiderato modo di gestire i traffici marini, civili o militari. I cetacei, stretti in uno specchio d’acqua poco profondo, sono morti asfissiati per lo schiacciamento del diaframma.
E questo perché, per quanto animali decisamente mastodontici, i cetacei hanno organi particolarmente sensibili, che vengono disorientati, danneggiati o distrutti dalle alte frequenze o dai forti rumori provocati dalle apparecchiature utilizzate dall’uomo. È scientificamente provato che l’utilizzo di questi dispositivi di localizzazione possono provocare, in alcune specie, anomalie nel comportamento, perdita temporanea o permanente dell’udito, lesioni gravi e, in alcuni casi, persino la morte.
In definitiva, un allarme reale per chi ha a cuore la tutela dell’ambiente e delle sue risorse, un allarme che tra qualche anno potrebbe aggravarsi con l’estrazione e la movimentazione di petrolio nell’Adriatico. Un’ipotesi che non si vorrebbe prendere in considerazione e che in molti stanno cercando di allontanare attivando comitati che nascono come coordinamento di associazioni e singoli individui (un esempio).
Ma questo non basta.
È necessario che le autorità preposte vigilino attentamente sulla vicenda, per evitare lo sconsiderato sfruttamento del nostro mare, risorsa da salvaguardare e non bene da sfruttare.