Una qualità sociale

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«Plastica» è anche il materiale con il quale riempiamo quegli spazi vuoti, dei nostri contesti di vita, che non sopportiamo perché (forse per una inconscia analogia) diventano un’insopportabile denuncia degli spazi, del nostro pensiero, lasciati pericolosamente vuoti e privi di quella dinamicità creativa che è segno e sostanza della qualità e del merito del nostro modo di esistere.

Sono, questi, gli spazi esposti al sottovalutato pericolo di essere soffocati da avvilenti scelte e comportamenti individualisti (che riducono e mortificano le nostre qualità relazionali e sottraggono senso al nostro esistere) o dalle imperiose geometrie di qualche pensiero unico o di quei fondamentalismi religiosi che si oppongono con violenza all’esercizio del pensiero critico e fanno fuorviare anche la nostra naturale attenzione al trascendente. Sono gli spazi nei quali si propaga l’infertile convinzione, di possedere una verità (in realtà un’ingenua idea, devitalizzata e paralizzata in banali e false certezze), con la quale poter piegare, al proprio volere, ogni libera coscienza umana, riducendola a vittima predestinata (ma, spesso, anche lei stessa concausa per colpevoli inerzie) di procurate mancanze di informazioni e di conseguenti paralizzanti sprovvedutezze.
Se poi volessimo trovare, nel fenomeno della polimerizzazione, un senso che riguardi più direttamente, con un’analogia, i modi di valutare le potenzialità e le qualità del nostro «essere», potremmo soffermarci, con una prima semplice riflessione, sulle diverse e articolate qualità espresse dai polimeri rispetto ai monomeri che li hanno originati.
La somma dei singoli tipi di atomi contenuti nelle quantità di monomeri e nel polimero, da essi generato, è identica. Ma la semplice somma di quei monomeri non ha le potenzialità concettuali e applicative del corrispondente polimero. Anche la ricchezza della diversità fra i polimeri, che possono essere prodotti da uno stesso tipo di monomero, non trova, con quest’ultimo, nessuna corrispondenza. È una diversità, questa, che trova analogie con la diversità sociale che ogni «monomero uomo» può esprimere con la propria unicità nella comunità «polimero società» di appartenenza e nelle relazioni con ulteriori e più ampie comunità. L’uomo, quindi, può scegliere di vivere in due modi diversi, pur disponendo, in ogni caso, della stessa natura umana.
Se la presenza, di ogni singolo uomo, si realizza in un contesto di individui che vivono in un sostanziale isolamento sociale e, quindi, con insignificanti relazioni interattive (in questo caso l’analogia è con le condizioni che caratterizzano la mancanza di interazione fra i monomeri), ognuno potrà rimanere solo se stesso, con le proprie convinzioni e potrà unicamente fare ciò che da solo riesce a fare. Il loro insieme potrà mettere in gioco una semplice somma aritmetica, non integrata, non finalizzata e non potenziata, di risorse personali. In questi casi è facile che diventi istintiva una tendenza a regolare i rapporti interpersonali secondo logiche di interessi, ricorrendo ad astuzie (se non proprio ad inganni) e con l’esercizio del potere che agisce con più forza in situazione.
Se, invece, il contesto è quello costruito su relazioni condivise, in un quadro di visioni alternative della realtà, che definiscono la diversità vitale come risorsa di una comunità, troveremo (in analogia con la diversità delle macromolecole che, pur derivanti da uno stesso monomero, definiscono le diversità funzionali dei polimeri), ciascun individuo impegnato a contribuire, con le proprie qualità, alle funzioni vitali delle comunità di appartenenza. Non avremo più una semplice e infertile somma aritmetica di capacità individuali, ma il potenziamento sinergico dei patrimoni, messi in comune, di energie, risorse e creatività da spendere per progetti vitali, costruiti su attese diverse (ma interattive e revisionabili in una ragionata condivisione e con scala di priorità e fattibilità che non escludono nessuno).
La società, come opportunità di partecipazione, non è un modo, meccanico e ordinato, di stare insieme (per esempio, secondo criteri gerarchici e burocratici che impongono processi indeformabili e illudono con infondate sicurezze), ma è un progetto di vita iterativo e dinamico da realizzare insieme. Si tratta di un progetto che trasforma le realtà limitate di ciascun individuo, in risorse condivise, flessibili e potenziate da interazioni, e che permette di valutare e decidere alternative per realizzare insieme più di quanto una semplice somma di individui avrebbe permesso di ottenere.
Messo da parte l’istinto di sopravvivenza, pronto ad intervenire, in modo estemporaneo e non controllabile, nelle emergenze della nostra vita (con il pericolo che sia eterodiretto anche da preordinate false condizioni di emergenza procurate a danno di intere comunità e perfino dell’intera popolazione umana), in tutti gli altri casi, l’uomo decide le proprie convinzioni, le proprie scelte e il proprio stile di vita soprattutto sulla base delle proprie esperienze (a volte anche arricchite dall’apporto di quelle conoscenze strutturate e raccolte nelle letterature del sapere umano organizzato in discipline).
È allora evidente che il limite delle risorse personali, che possiamo mettere in gioco per affrontare le scelte e le difficoltà del nostro vivere, è strettamente connesso con il limite delle nostre esperienze relazionali di vita e di gestione e produzione delle conoscenze. Dunque, in una società che si costruisce come luogo di condivisioni di esperienze e di creazione di sinergie, questo limite può essere superato.
In questi contesti (di vita e di modi di concepire un nostro esistere ad alta attività relazionale) il valore di un nostro modo libero di «essere», non si esaurisce in se stesso e può, quindi, diventare un contributo sociale che ha però bisogno di una nostra consapevole «cultura e pratica della relazione» per interpretare quei segni del tempo che si vive e per trovare quel senso delle cose necessario per riconoscere i veri bisogni (distinti dai consumi) e dare spazio alla realizzazione delle nostre aspirazioni più profonde.