Il vetro, con le sue equivoche e non sempre riconoscibili trasparenze e opacità, è oggi metafora di un modo per condizionare, anche in una società democratica, le informazioni e le nostre relazioni con la realtà. Metafora di un sistema che media ogni cosa, che preordina realtà normalizzate e che, oggi, viene finalizzato a legittimare, di fatto, l’assoluto di una, sempre più imperante, ideologia liberista. Un’ideologia che si permette addirittura di proclamare l’assoluto della «inesistenza di alternative» a se stessa e di imporre una propria idea di libertà che si esprime come diritto all’eliminazione meccanica di vincoli e responsabilità per qualsiasi attività di quel «fare le cose», ormai diventato solo un pretesto per insaziabili profitti. Una libertà asimmetrica, imposta ai nostri contesti sociali che diventa sinonimo di diritto alla libera prepotenza (anche nei confronti delle Istituzioni democratiche e delle sue regole) da parte di chi è nella condizione di poter esercitare un potere forte (economico, sociale, politico o di altra e indefinita natura).
Oggi, molte decisioni politiche non sono prese in modo autonomo e trasparente dalle Istituzione democratiche, ma imposte da imperscrutabili trattati sovranazionali (unilateralmente pretesi da enti economico-finanziari privati) e praticati con l’attivazione di meccanismi ipnotici della crescita continua, del tutto improbabile, dei consumi che, pur se dematerializzati in forme virtuali, continuano a sottrarre energie alle nostre esperienze vitali.
Se riflettiamo, la trasparenza è venuta sempre meno, con l’avanzare della tecnologia, anche nel nostro rapporto, non solo formale, con gli strumenti usati per il nostro lavoro. Fra i tanti, un esempio è quello degli amplificatori a bassa frequenza. Avevano valvole, in vetro trasparente, che consentivano di osservare e interpretare i fenomeni fisici applicati per l’amplificazione di un segnale elettrico: elettrodi e griglie erano riconoscibili e in qualche caso si potevano notare le variazioni luminose connesse al variare dei flussi delle particelle elettriche. Con i transistor, questo fenomeno già lo si poteva solo immaginare per analogia. Oggi, invece, possiamo solo intuire cosa avviene in un microchip, perché siamo di fronte a un fenomeno che non è accessibile neanche con una semplice e concreta analogia e che, tantomeno, è direttamente osservabile e interpretabile (in funzione di un flusso di particelle elettriche che attiva processi di elaborazione di dati per presentarli, poi, ordinati su uno schermo come se fossero su un foglio di carta).
Messi da parte gli immensi e ormai irrinunciabili impieghi dei microprocessori, nel campo della logica applicata e delle tecnologie degli strumenti informatici, non devono sfuggire alla nostra attenzione i pericoli, di una loro mancanza di trasparenza, nei processi di elaborazioni ai quali, per esempio con l’uso dei PC, sottoponiamo dati e informazioni, anche sensibili, che non vorremmo fossero a disposizione di altri. Non sappiamo quali intrusioni esterne, tramite i collegamenti in rete, possano avvenire, senza il nostro consenso, nel mondo virtuale delle cose che calcoliamo, organizziamo e conserviamo nelle nostre memorie di massa. In questi casi le trasparenze sono inesistenti e quelle virtuali se non sono inattendibili, sono approssimate, deformate o insignificanti. Siamo, forse, in un passaggio epocale della nostra storia verso un mondo che, senza voler fare del pessimismo, a nostra insaputa, potrebbe decidere i nostri destini personali e forse quelli dell’intera umanità.
Nelle vetrine possiamo guardare gli oggetti ma non i processi non trasparenti che sono attivati dai nostri consumi: non possiamo, infatti, valutare i fenomeni chimico-fisici connessi a produzione e consumo di quegli oggetti e al loro confinamento finale in discarica e oltre. Le bottiglie di vetro, spesso, più che dare certezze sulla qualità e l’origine dei propri contenuti, possono mostrare le opacità equivoche delle etichette che non rimuovono certo i nostri dubbi. Perfino chi si mette in mostra, al riparo di uno schermo, può finire in uno scenario che non lo offre all’osservazione e alle relazioni con i suoi intorni, ma lo espone al rischio di rimanere senza identità, prigioniero di quello schermo e delle sue deformate realtà virtuali.
Isolato e sotto vetro sembra sia finito anche il clima: si continua a dubitare sui suoi fenomeni e se qualcosa si vede, la si può, poi, sempre negare. I dati offrono, così, valutazioni assunte come precarie e, quindi, non vengono finalizzati a definire criteri di prevenzione e di precauzione. Alla fine, però, i danni si sommano in scenari sempre più drammatici, mentre i dati continuano a essere deviati, per usi strumentali e ideologici, in favore proprio di quegli interessi, particolari e precostituiti, che di quei danni sono la causa.
Oggi, vengono attuate scelte insostenibili di sperpero di risorse: in nome di una dubbia necessità degli Ogm e tralasciandone gli impatti; in nome di misure invocate per contrastare l’inquinamento ma finalizzate solo al profitto; in nome dell’energia nucleare (che addirittura non inquinerebbe solo perché non produce CO2, anche se fa ben altri e occultati disastri). Intanto noi continuiamo a rimanere in attesa che gli addetti ai lavori (qualcuno già c’è) denuncino il fallimento dell’attuale liberismo economico e di un frainteso «progresso» scientifico che, in realtà, è solo sviluppo tecnologico finalizzato a favorire consumi, e che produce anche i costi e i danni di un consumo fine a se stesso, non giustificato nemmeno da qualche minimo vantaggio per l’umanità. Siamo in attesa di una denuncia che renda trasparente la nostra condizione, che risvegli le nostre consapevolezze e che attivi le nostre riflessioni, per poterci affrancare dai totem degli assolutismi ideologici che occupano le nostre menti e che determinano i nostri comportamenti.
È necessario passare dal consenso alla riflessione per diventare propositivi, per assumere responsabilità di ideazione, di esecuzione e di verifica di progetti alternativi, fattibili ed efficaci, che stimolino ricerche e sinergie (finalizzate ad assicurare almeno buone risposte ai bisogni umani essenziali e a evitare la deriva verso privilegiate sopravvivenze per pochi e tristi precarietà per tutti gli altri).