Stiamo facendo la fine della rana

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Un sistema tirannico ma anche tecnologicamente avanzato, che, in nome della libertà del fare le cose, pur avendo lasciato invariate le forme di una società moderna (democrazia, cittadinanza, leggi, diritti…), ne ha modificato, del tutto, l’anima e gli equilibri dinamici che la rendevano vitale ed essenziale nell’economia dei processi naturali

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Oggi, non sono necessarie particolari analisi per renderci conto delle inconcludenti prospettive future offerte dalle attuali compulsive soddisfazioni consumistiche che hanno preso il sopravvento sulle attese del nostro più recente passato. Di fatto siamo stati ridotti nella condizione di sudditi impotenti di un prepotente sistema neofeudale. Un sistema tirannico ma anche tecnologicamente avanzato, che, in nome della libertà del fare le cose, pur avendo lasciato invariate le forme di una società moderna (democrazia, cittadinanza, leggi, diritti…), ne ha modificato, del tutto, l’anima e gli equilibri dinamici che la rendevano vitale ed essenziale nell’economia dei processi naturali.
I giochi, sul nuovo ordine mondiale, sono stati, dunque, già fatti e il mondo, oggi, è quello che è. Le alternative dei mondi che avremmo voluto (per dirla in linea con gli imperativi economici globalizzati della nostra attuale malinconica modernità dei consumi) sono semplicemente finite fuori mercato. Un po’ alla volta ci stiamo avviando verso la fine del racconto della rana bollita. Come quella rana, ci troviamo tutti in un pentolone di acqua messo sul fuoco; siamo passati dal freddo iniziale, di una povertà materiale diffusa, ad un piacevole ma infido tepore, abbagliati da inebrianti occasioni di aumento di potere di acquisto e di consumi; confortati da questo malinteso benessere, c’è, però, ora il pericolo che sarà troppo tardi, per salvarci, quando ci accorgeremo che la temperatura sarà diventata troppo alta per poter sopravvivere. Così, senza avere la consapevolezza dei cambiamenti in atto, raggiunto il limite della loro sostenibilità, correremo il rischio di non avere più la forza per uscire dal pentolone e faremo la fine della rana bollita.
Noi, però, vorremmo riprendere le avventure, creative e non distruttive, delle conoscenze, delle riflessioni e delle relazioni sociali che avevano cominciato a diffondersi nella seconda metà del Novecento.
Saremmo tentati di iniziare con l’opporci all’attuale sistema di potere che nega l’esistenza di una società umana e impone un mondo composto solo da individui isolati e dal loro successo. Ma questo è, di fatto, solo un sordo e insensibile sistema meccanico tutto consumi ed emarginazioni.
Conviene, allora, iniziare con la costruzione e la pratica di un nostro vivere nelle dimensioni umane delle relazioni, delle condivisioni delle diversità, delle riflessioni, delle sinergie, della ricerca del senso delle cose, delle scelte informate per poi arrivare fino alla partecipazione decisionale, alla definizione di scale di priorità esecutive (che accolgano e non emarginino nessuno) e alla democrazia deliberativa, attuativa, delle verifiche dei risultati e delle revisioni, anche totali e fino alla «opzione zero», dei progetti. Questi, infatti, non possono essere fine a se stessi e, dunque, se rispondono solo a prospettive di sviluppo dell’economia o della tecnologia e non a prospettive di progresso umano non ha alcun senso realizzarli: immolare le nostre energie per onorare uno sviluppo che sottrae identità e qualità al nostro vivere sociale è solo un’avvilente pratica tribale, non il sogno di una civiltà umana più avanzata.