La funzione utopica della politica

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Alla radice della problematica contemporanea, in un momento di transizione come quello attuale, riflettere sullo stato e sul diritto non è cosa da poco. Perché? La dialettica odierna si incastona in uno scenario del tutto nuovo a partire dalla crisi irachena da cui è emersa in modo fortemente assertivo la contrapposizione tra l’Islam e il mondo occidentale.

La radicalizzazione dello scontro quanto possiede in sé di religioso e quanto di interesse strategico sulle fonti energetiche? Sembra che il dispiegarsi del ventaglio tra questi due poli camuffi interessi, strategie, collateralismi e, finalmente, l’espressione armata del dissenso. Si tratta, oggi, a pochi anni dall’esplodere del contro o pro Saddam, di una forma di internazionalizzazione dei conflitti che ha la caratteristica di andare oltre i confini geografici e gli schieramenti politici: il dissenso armato serpeggia, si camuffa, sorge qua e là mentre le sue spore sembrano spinte in tutte le direzioni e in tutti gli humus possibili da un vento inarrestabile che ora viene definito terrorismo ora sionismo ora antisionismo, ora guerra santa, ora difesa della democrazia, protezione dei perseguitati, ripristino della pace: tutto sorretto e contraddistinto da forze armate in allerta, in azione con distruzioni per rappresaglia e con il ricatto dell’impiego atomico. Alle porte di tutto questo ecco apparire ed espandersi l’Isis, con un web che fa proseliti ed annovera nei ranghi menti disturbate di giovani, uomini e donne, che esaltano il coltello e lo sgozzamento …. Se non è questa una guerra mondiale inventiamoci come definirla.

Tra la concezione della moralità personale, secondo l’assunto kantiano della categoria dell’universalità quale unica radice del principio morale, e il senso dell’Etica in generale si collocano le varie teorie storiche come il «divenire» dialettico hegeliano, il modello di Hobbes, quello di Rousseau, di Marx per i quali la fondazione del diritto si anniderebbe nell’evolversi stesso della storia o della persona o del proletariato. La fondazione dello Stato è condizionata dalla risoluzione della problematica giuridica: il diritto prima o dopo? È evidente che se il modello statale derivasse dall’assolutismo religioso si rilancerebbe la politica come crociata, il diritto e il bene comune come figli dell’Assoluto che si sarebbe rivelato alla Ragione o qua o là, sul Sinai o a La Mecca!

Mi permetto a questo punto un’indicazione. Nella storia del pensiero italiano, in piena transizione socio-politica della seconda metà dell’800, quando le regioni italiane si consegnavano con la spinta delle armi o dei plebisciti al nascente Regno d’Italia, Giovanni Bovio (Trani 1837 – Napoli 1903) spostava la sua riflessione sul nuovo soggetto politico, il popolo1. Riflessione importante che nasceva in contesto meridionale mentre il Mezzogiorno veniva consegnato ai Savoia rassicurando il latifondo ed impegnando il territorio militarmente contro il brigantaggio. Se il concetto della dialettica si era spostato dalla discussione idealista pura al materialismo storico in cui le classi e la loro conflittualità spiegavano l’origine dello stato e del diritto, Bovio riportava la discussione sul popolo: il governato poteva trasformarsi in propulsore della politica e del rinnovamento del diritto. Ma bisognava superare la concezione strategica verticistica della forza e dell’astuzia, concezione laica di Machiavelli, e ciò sarebbe stato possibile, secondo il pensiero del Bovio, con una rinnovata impostazione democratica: «il criterio di reciprocità» per cui lo stato era garante della «proporzionalità» tra cittadino e Diritto.

Il filosofo e politico italiano, a proposito del rapporto tra religione, politica e diritto, scriveva: «qualunque altra forma di tradizione rivelata, o chiesa di Roma, o anglicana, o tedesca, o gallicana, o di questa e quella religione orientale, tutte hanno l’istesso fondo tragico, contenuto di ogni religione, ostile sempre al supremo disegno della storia, alla libertà della quale si adempie la essenza dell’uomo».2
Le religioni, infatti, somigliano alle forme monarchiche civili per un elemento: la successione. Sembrerebbe cosa estranea alla questione, invece è coefficiente essenziale della tradizione che spesso, nelle religioni, prende il sopravvento sulla dottrina o sul dogma. Si tratta del peso mondano che propende verso interventi materiali interpretati alla luce della dottrina che, ritenuta ispirata, pretende di dettare i comportamenti politici, disegnati come modelli etici della storia. Secondo Bovio la successione rende asfittico anche il voto plebiscitario che trasforma la democrazia in autocrazia.3
La reciprocità, invece, produce democrazia perché mette in relazione la persona con la società e con l’universalità che sono l’anima del Diritto: «Lo Stato non può equilibrarsi – scrive Bovio – senza proporzionarsi, né proporzionarsi senza riprodurre in sé le contrarie forze della vita nazionale e la loro sintesi».4

Dalla reciprocità Bovio fa derivare alcuni assunti politici che, oggi, suonano come intuizioni profetiche sul mantenimento della democrazia liberata dai pericoli della deriva. Sono otto coefficienti che numeriamo in successione per opportunità espositiva ma essi sono contemporanei e tra di loro combinati per la salute dello stato democratico:

1. La connessione tra individuale e pubblico è necessaria. Per cui «si relazionano equilibrio economico e vincolo civile … rompendo le caste, allargando il voto e rendendolo rivocabile, alitando nella faccia di ciascuno l’anima civitatis».5

2. L’ecosistema realizza il valore oggettivo del diritto. La «comunanza» è per Bovio l’unica opportunità che arricchisce l’ambiente (parchi e buona aria) fino al diritto al lavoro che per tutti deve essere igienico, misurato, umano perché il rispetto del lavoratore è rispetto stesso della Natura6; ci sono delle responsabilità per la realizzazione di questi caratteri: «Coloro che per natura del loro mestiere hanno interesse a mantenere frammentaria la mente, l’individuo in disparte dal cittadino, la scienza divulsa dalla fede, l’uomo separato da se stesso, non devono assumere uffici didattici».7

3. La libertà è relazione e comunicazione. La partecipazione al bene comune implica la libertà di espressione: «L’integrità mentale – scrive Bovio – deve svolgersi sino all’intera libertà della parola, come discussione orale e stampa. Estendendosi la libertà della parola quanto la libertà del pensiero, ne seguita che come, fuori della logica, non ci può essere una legislazione speciale del pensiero, così, oltre la pubblica opinione, non ci può essere una legislazione speciale per la stampa. L’intimità di stima non menoma la libertà della pubblica discussione e della stampa, ma consente l’una e l’altra sino alla “actio popularis”, la quale, nella vita pubblica, è ordinata a contemperare il potere con la responsabilità».8

4. L’utopia politica è possibile. Dice Bovio: l’uomo «vive nel passato e nell’avvenire, di memoria e speranza, di tradizione e presentimento, l’uomo è l’animale utopista: se religioso, tra l’utopia del paradiso perduto e del paradiso acquistabile; se razionalista, tra l’utopia della caverna e quella della parità umana».9

5. Il voto non può essere definitivo. È la sua revocabilità che consente il controllo della sovranità. Ciò favorisce e salva la libertà contro il potere autonomo ed oligarchico. La responsabilità, infatti, «genera la revocabilità del mandato».10 Un voto che sia espresso dagli uomini e dalle donne, fin dai 18 anni: una sorta di «corretto costume dell’ambiente ed equilibro sociale tra i sessi».11 Tutto ciò detto in quegli anni!

6. La municipalità esprime la nuova politica amministrativa. Una visione alternativa dell’amministrazione comunale: «Il municipio è signore nel suo circuito territoriale, perché ne conosce i bisogni, dei quali alcuni sono tradizionali altri nuovi, alcuni fondati sulla base dei secoli che non si distrugge in un giorno, altri nascenti dalle necessità di ogni giorno, di ogni ora». Il decentramento qualificherebbe la natura dello Stato non più inframmettente, perché «in codesta inframmessa è il primo carattere della tirannide».12

7. È da realizzare la federalità. Non solo quella tra i municipi che consenta il mutuo aiuto e il vicendevole sostegno come consorzio, ma la cooperazione internazionale, «la “cosmopolis”, dove il diritto delle genti non sia un desiderio impotente, ma trovi tutte quelle determinazioni e guarentigie che accompagnano ogni altra manifestazione del diritto, dall’individuo sino alla nazione».13

8. La prevenzione qualifica il Diritto. La prevenzione deve precedere la sanzione; perché «ogni repressione è assurda se non sia preceduta da prevenzione, la quale non è penale ma essenzialmente civile».14 Il filosofo pugliese auspica il superamento della legislazione penale contro i reati: «le pene enormi vannosi cancellando come la penalità, rispetto al crescere della ragion civile, si viene attenuando. Scaduta la pena di morte, altre pene gravi saranno abolite: più si studia l’origine dei reati e più i codici penali volgono mitezza».15 Il codice umano dovrà essere sovranazionale: «Ecco, senza dubbio, una grande utopia, ma con tutti i caratteri della possibilità e della necessità. Bisogna che il sentimento dell’umanità si volga in atto e l’idea diventi fatto».16

Queste sono la caratteristiche a cui deve rispondere una moderna politica democratica. Il comunismo è superato, pensava Bovio, perché favorirebbe la catena reattiva contro la vera reciprocità che sola esalta il lavoratore a cui appartiene la capacità di contrattare le prestazioni, perché «il lavoro è missione e natura, ed è insieme dovere e diritto, o, a dir correttamente, obbligo e pretensione ».17 L’associazione tra i lavoratori umanizza il lavoro: «per modificare il lavoro – scrive – sì rispetto alla natura e alla durata, come rispetto agli effetti e alla retribuzione, per mutarlo di bestiale e macchinale in umano, bisogna toglierlo alla presente condizione monastica (= individuale) e renderlo sociale … il catechismo dell’operaio si assolve in pochi precetti: equazione tra pretensione ed obbligo; tra prodotto e attività produttiva; lavoro associato».18

 

1 Cfr. G. Bovio, Filosofia del diritto, Napoli 1885. – Già deputato del Regno nel 1876, fu confondatore del Partito Repubblicano Italiano nel maggio del 1897 a Firenze. Per una riflessione sul pensiero del filosofo: cfr. F. Sofia, La fondazione del diritto e l’istanza utopica nella Filosofia del Diritto di G. Bovio,in «Sapienza. Rivista di Filosofia e Teologia», 54(2001), pp. 193-200.
2 G. Bovio, Filosofia, cit., p. 51.
3 Cfr. Op. cit., pp. 161ss.
4 Op. cit., p. 365.
5 Op. cit., p. 39.
6 Op. cit., p. 209.
7 Op. cit. , p. 232.
8 Op. cit., p. 236.
9 G. Bovio, Disegno d’una storia del diritto in Italia, Roma 1895, p.116.
10 G. Bovio, Filosofia, cit. p. 349.
11 Op. cit., p. 341.
12 Op. cit., p. 351.
13 Op. cit., p. 187.
14 Op. cit., p. 206.
15 Op. cit. p. 388.
16 Op. cit. p. 394.
17 Op. cit., p. 297.
18 Op. cit.,p. 298.