Prassi e ortoprassi

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La politica è assoluta e relativa insieme. Quando la gestione del potere è assoluta questo carattere è vanto delle istituzioni che si appellano a valori costituzionali civili ed è pretesa delle altre che presiedono il mondo religioso.

La gestione del potere, però, deve essere relativa. Cioè la sua impostazione accoglie progetti e programmi del mondo possibile, accoglie il compromesso perché riconosce il potere come espressione non di autorità ma di servizio per il bene comune.
Tra i vari modelli oggi polemicamente dibattuti tra i partiti ed i conseguenti governi c’è proprio quello della concertazione. Il termine nasce in ambito musicale e, in modo figurato, si estende alle trattative contrattuali nel rapporto dialettico tra governi e parti sociali, sempre che resistano i criteri democratici nella gestione della convivenza civile.
Qui il dubbio: se la politica pretende di limitare le libertà individuali non verranno meno i coefficienti razionali ed etici dell’«orto-prassi»?
Il modello sociale a cui una comunità si ispira non può concentrarsi solo sull’esistente: il futuro è incluso nella sua prospettiva perché la tensione al meglio è connaturale al bene comune. Ora, c’è differenza tra futuro utopico, o modello del bene, e futuro come pura programmazione economica. Un esempio, la scuola: essa serve ad avere la classe dirigente specializzata e produttiva come custode del potere o è finalizzata a realizzare per la totalità dei cittadini l’arricchimento dei saperi?

Lo stato che sceglie fra questi due traguardi è uno stato escludente e la sua politica sarà inevitabilmente conseguente. In Italia si fa fatica a realizzare una concezione del merito che non conduca alla mera meritocrazia, per la quale il merito non è il riconoscimento del valore ma la base per l’assegnazione del potere. Una siffatta democrazia crea le basi per il suo assottigliamento e la conseguente degenerazione.
Facciamo fatica a riconoscere nelle democrazie occidentali l’orto-prassi. Dalle nostre parti anche i partiti democratici e riformisti additano nelle società inglese e americana la democrazia compiuta. In quei paesi, però, vige ancora la contraddizione tra classi, a fatica si riconosce il diritto fondamentale alla salute, lo spazio alle minoranze, l’accoglienza delle altre etnie, si concede il possesso indiscriminato delle armi, si consumano brogli elettorali, violenze eclatanti anche da parte delle polizie, interventi armati verso altri stati, misteri insoluti di complotti. Non sarebbe il caso di parlare di oligarchie più che di democrazie? Il conflitto di interessi resiste e caratterizza molte scelte dei governi, il danaro pubblico è accaparrato ad uso e consumo dei furbi detentori del potere, l’esercizio delle preferenze è controllato dalle segreterie dei partiti che diventano cooperative di interessi forti.

La degenerazione politica, in Italia, è sicuramente provocata da almeno due radici: la prima di sistema e la seconda di tradizione.
     

a- Il sistema

Nel passaggio storico italiano dal ventennio fascista alla Repubblica si sono sommati questi elementi: tradizione monarchica, fenomeno fascista, ideali post-risorgimentali, valori repubblicani cattolici e laici. La pace sociale a cui diedero il via i «padri costituenti» risultò di larga mediazione, ritenuta saggia dalle parti per altro in contrasto ideologico e successivamente minacciata per la commistione di idealità alternative e tra di loro escludenti, anche per il riciclaggio di molti esponenti transitati dall’esperienza fascista alla nuova repubblica.
Nel nuovo assetto si collocarono ideali repubblicani accanto ad interessi post-monarchici, post-fascisti, poteri più o meno forti, anche occulti, con interferenze di potenze straniere sull’organizzazione delle forme di governo: presenza comunista sì o no, socialista sì o no, fino alla P2, all’uccisione di Moro, al brigatismo dai due colori, ai depistaggi di stato, alle mafie e politica conniventi … dallo sbarco in Sicilia e da Portella delle Ginestre e via avanti ancora con le pressioni esterne non proclamate, serpeggianti, divenute esse stesse politica e prassi; le nostre strade, le istituzioni e i luoghi di lavoro sono diventati spesso luogo della violenza e del lutto.
C’è il ragionevole convincimento che la consegna di Mussolini agli Alleati era dettata dalla pretesa di gestire la fase post-bellica e la nascita del nuovo stato in modo assai diverso dal modello statale che la lotta partigiana invece si accingeva a realizzare a metà degli anni Quaranta. Un paradosso, piazza Loreto ebbe un insperato effetto: la condanna del dittatore paradossalmente si trasformò nel sacrificio propiziatorio perché la novità italiana si affrancasse da nuove e possibili sudditanze decise altrove. I compromessi di Yalta circa l’influenza internazionale delle grandi potenze hanno provocato dinamiche, prima occulte e poi conclamate, con altre divisioni e guerre fredde … in attesa che i novelli guerrafondai riprendessero a gestire la fragile pace.

Nel nuovo assetto del sistema italiano si incluse il Concordato tra Stato e Chiesa, con molte discussioni, è vero, ma in modo acritico perché la concertazione, nata sul piano di interessi, di risarcimenti e di privilegi (a suo tempo convenienti alle due parti, Vaticano e Mussolini), lo inseriva nella nuova Costituzione senza che si fossero modificati gli interessi che ne avevano ispirato l’origine.
Sicché, quando la laicità della nuova cosa pubblica si affermò da lì ebbero origine le influenze di «oltre-Tevere» sulla politica italiana, determinandosi una nuova forma di cesaropapismo, nuove pretese vaticane in nome della libertà religiosa e della tradizione cattolica (che il Regno governato da massoni non aveva riconosciuto e Mussolini invece aveva accolto per lucrare consensi). Storicamente è più esatto parlare di «pretese vaticane» e non papali poiché la curia è stata sempre determinante a prescindere, al di là del pensiero dei pontifici.

Il compromesso ha avuto nel tempo un grande peso: De Gasperi allontana i comunisti dal suo governo per pressioni americane, più che per avversione alle sinistre; aveva affermato i valori cattolici in chiave laica non per cedimento compromissorio laicista favorevole alla cultura marxista. Il progetto politico omaggia il vaticano e successivamente si rinnova tale accordo con dei ritocchi, portati avanti con alterne vicende e discussioni soprattutto dopo il concilio Vaticano II, fino alla definizione dell’84 dal governo Craxi. In tutti gli anni che ci separavano dall’entrata in vigore della Costituzione, è saliente il fatto che il Pci avesse scelto sempre il tono basso e la ricerca del mantenimento della pace religiosa, anche contro le impennate del Psi e nonostante la scomunica di Pio XII dei comunisti.

Oggi, ecco ancora spazio di alcuni partiti alle indicazioni vaticane sui temi sensibili ed etici, per godere dello scambio in fase elettorale (solo in Italia, infatti, le indicazioni vaticane e dell’episcopato hanno influenza, cosa che non succede fuori dall’Italia). Una chiesa che ritira la sua approvazione all’insegnante di religione cattolica, perché è separato, applica lo stesso metro di giudizio verso il politico dalla condotta riprovevole? casi in cui la Chiesa applica il criterio della prudenza e della discrezione verso i potenti e quello della condanna e riprovazione verso i suoi affiliati. Abbiamo sentito dire da autorevoli esponenti che «… certa condotta va contestualizzata, ecc…». Ma la storia, con il tempo, fa giustizia: anche quando si condannò la sottrazione dello Stato Pontificio al papato poi, nel tempo, se ne considerò l’opportunità per il bene stesso della Chiesa.

b- La tradizione

La posizione assunta da Romano Prodi, durante il suo governo in Italia, con la quale difendeva l’«essere adulto» del credente rispetto alla laicità della politica, ci introduce nello scenario contemporaneo dell’affermazione della tradizione che si intreccia con la struttura. La degenerazione della politica la si può constatare ora nei comportamenti dei politici, ora nel clientelismo degli elettori, ora nell’iter legislativo, ora nell’applicazione della giustizia, ora nella confessione religiosa. C’è infatti, in Italia, un aspetto fondamentalista latente che tenta di assolutizzare le posizioni ritenendo il proprio credo come prassi necessaria anche per le minoranze. Così è stato nel caso di dover legiferare per escludere i pericoli e il malaffare clandestino dall’interruzione delle gravidanze, con una legge apposita, così è stato nel caso del divorzio, così è ora per le unioni di fatto, le inseminazioni, ecc. gli uni usano l’universalità della chiesa e il valore dogmatico della sua morale, gli altri il valore delle posizioni dei non-credenti a cui va riconosciuto il diritto di dissociarsi dal credo cattolico e dalla sua ricaduta sulla prassi.

La tradizione e l’appello ad essa viaggiano con o contro l’interpretazione politica. Un esempio per tutti: l’affermazione delle radici cristiane della civiltà dell’Italia e dell’Europa. Il riconoscersi dentro un filone di tipo religioso come si concilia con le politiche? Forse che tale radice ha impedito il colonialismo italiano? o forse le leggi razziali contro gli ebrei o forse i respingimenti degli immigrati e il loro contenimento nei centri di emarginazione? Ragion di Stato e radice cristiana, due lati di una medaglia che volge la sua faccia al momento opportuno: ti esento dall’Imu, ma intervengo nelle guerre. La tradizione ha un peso relativo, essa viene declinata secondo la convenienza che solitamente è interna (politica governativa) ed esterna (alleanze e opportunità di inserimento nelle economie dei paesi in rivolta).
Radici cristiane quando il piano migratorio italiano, degli anni Cinquanta e Sessanta, determinò «una emigrazione individuale e di massa verso i paesi dell’Europa settentrionale tale che potesse produrre un rientro di 250 milioni di dollari oro annui» come decretò il piano di sviluppo economico del tempo, sulla spinta segreta del Dipartimento di Stato americano? Ciò è documentato dalla pubblicazione degli atti americani prima secretati1.
La notizia sollevò grande stupore tra i partecipanti quando, negli anni 1979 e 1980, io stesso comunicai la novità di queste rivelazioni nei due Convegni dei Missionari Cattolici in Germania, svolti a Norimberga e a Francoforte: stupore proprio tra coloro che erano impegnati nell’assistenza agli emigrati italiani! La famiglia, la tradizione cristiana italiana, l’abbandono del territorio e dell’agricoltura … forse che coincidevano con le radici cristiane? O si trattava di rifondare in Germania un baluardo sicuro socio-politico contro l’espansionismo sovietico? E ciò era frutto del credo religioso o dell’opportunismo internazionale dettato dai rapporti di forza nello scacchiere? Lo stesso Ugo La Malfa giudicò quel piano improvvido, quando, nella sua famosa Nota Aggiuntiva affermava: «rimaneva procrastinata e spesso elusa la soluzione dei problemi di quelle zone, di quei settori e quei gruppi sociali che risultavano ai margini del mercato».2

La degenerazione della politica si camuffa di ragioni sociali ed etiche che sono accomodamenti, nella prassi, dell’utilità e del predominio. Platone (Repubblica, 562b) aveva individuato all’interno della democrazia le radici della subalternità e quindi della tirannide. Noi riteniamo che i movimenti e il volontariato siano delle buone iniziative per il controllo dal basso contro la degenerazione. Non basta la critica e l’accusa che il web facilita ed amplifica: esso getta le basi del populismo e della gratuità contro il diritto e la pace sociale. È una forma indiretta di mettere il cappello su qualche cosa e la tentazione è quella di assumere in un progetto di medio termine queste forme per assicurarsi nuova egemonia. Dice un politico attuale: anche Gesù Cristo fu condannato per assenso democratico. I persuasori occulti ci sono sempre, importante è individuarli ed arginarli per il bene comune vero ed assoluto. Se c’è chi produce la degenerazione ci sia chi la individua, la smaschera per restituire alla cosa pubblica la fattezza del bello e dell’armonia. Come l’amicizia e l’amore vanno coltivati e curati, così anche la democrazia va alimentata dalla percezione che libertà è rispetto dell’altrui libertà e che la giustizia ne sia l’anima come lo è, a dire di Tommaso d’Aquino, della felicità irrealizzabile senza la giustizia (Summa Teologica, I-II, 59,5).
La degenerazione è dietro l’angolo perché la politica è una gestione in evoluzione o in involuzione. Se la democrazia non può essere imposta ed esportata, la politica coerente richiederebbe che i governi si dissocino da imprese neocolonialiste. Ma sostanzialmente i diamanti, l’oro, il carbone, il rame, il petrolio, l’uranio sono le variabili assolute delle politiche e degli affari internazionali: come si situano le chiese? La storia religiosa di esse è ricca di indicazioni contraddittorie eppure influenti sulla realtà della prassi.
Nel momento stesso in cui sei presente sul mio territorio non per turismo ed amicizia ma per esigenze di scacchiere, per controbilanciare influenze conflittuali, allora c’è una perenne Yalta e, dietro l’angolo, un possibile «pizzino» tracciato a matita che ogni novello Churchill propone, tra le portate dei pranzi di lavoro, al commensale antagonista Stalin per la nuova spartizione delle regioni di influenza e di inconfessato vicendevole controllo (è storicamente documentato che così avvenne durante un pranzo a Yalta).

L’alleanza diventa così restringimento di sovranità, coinvolgimento contro qualcuno. La democrazia interna viene subordinata al cosiddetto rispetto delle alleanze: nel nome e per conto della partecipazione alla Nato i partiti nelle nazioni occidentali non hanno forse subordinato i loro programmi al sì/no non dico degli alleati ma soprattutto degli Usa, come maggiori esponenti del «treaty» e non è per contrasto a ciò che nacque il «Patto di Varsavia»?
Dopo epoche di grandi scontri, nonostante i cittadini abbiano un grande senso della riconquistata pace interna, restano sotto traccia i semi di future conflittualità. Parole in libertà spesso alimentano opposizioni ispirate non dalla visione del senso diverso della democrazia, ma dell’«odio» di parte. Nonostante la grande tragedia di metà novecento gruppi, bandiere, simboli, sedi, scontri, vendette mutuano da simboli e fantasmi del passato nuove vigorie di affermazione politica.
Il segreto ovatta simili giacenze, camuffa nelle tifoserie degli stadi la convergenza violenta di attaccabrighe o piani segreti sovversivi auspicando colpi di potere, come la P2, Gladio e simili. Sappiamo, comprendiamo ma, all’occorrenza, sminuiamo il peso sociale di certe dichiarazioni: appello ai fucili pronti, rivoluzione violenta, compera di parlamentari; la non-cultura si fa proposta politica e intanto l’aggressione verbale mistificata fa proseliti tra gli scontenti; i qualunquisti e i nuovi Masaniello vorrebbero fare di ogni grido di popolo un Alberto da Giussano. Solo che questa volta il Barbarossa di turno è il vicino. Si entra nella terrificante contraddizione di dichiarare Roma ladrona ma ci si siede al suo desco opulento per pompare di potere il reinvestimento contro le altrui posizioni! Giornali teorizzano lo scontro e il progetto ed hanno accesso alle tribune e l’onore della citazione nelle testate: democrazia vuole che non si censuri! tranne a riservare censura verso e contro coloro che, senza potere, non suonano musica alle orecchie del tribuno di turno.

La magistratura che interviene e sanziona per legge? ecco: magistratura di parte, politicizzata, condannata alla gogna, perché quello che tu vuoi e dici in libertà e senza rispetto diventa automaticamente libertà di espressione politica nell’esercizio del proprio ruolo parlamentare!
Siamo in Italia in un momento di transizione? Storicamente sono stati i critici e gli analisti di sociologia e politica ad assegnare un ordine numerale alle repubbliche (prima, seconda, terza… repubblica): in Italia il primo capopopolo assegna date ed avvenimenti per consegnare ai proseliti il passaggio numerico; forse in Italia c’è ancora la prima repubblica, la seconda non c’è mai stata e quello che succede è la degenerazione della prima se i cambiamenti sono stati collaterali non all’evoluzione della politica ma al malaffare che, da Mani pulite in poi, non ha conosciuto sosta, anzi, si scopre che è diffuso in ogni settore della gestione amministrativa dello Stato (parlamento, regioni, province, comuni, circoscrizioni e, poi, enti pubblici e privati, banche, consorzi e cooperative, partiti ed associazioni affiliate, ecc.).
In Italia la degenerazione è difficile da stimare in estensione temporale e in consistenza. L’impegno del cittadino è quello di riprendersi il mandato e la deliberazione, la preferenza e la pienezza del voto che una banda di pochi, in una baita montana d’Alpe, ha sottratto «democraticamente» al popolo tutto e che un parlamento non riesce ancora a modificare secondo un sentire visibile, compatto e democraticamente certo.

Ma siamo in un tempo dalle velocissime involuzioni, mentre la povertà e la disoccupazione diventano terreno di foraggio per predicatori satanici!
Riprendiamoci Atene, ma quella della partecipazione e non quella degli ostracismi, quella di Pericle che diceva, nel suo discorso (461 a. C.):
Utilizziamo infatti un ordinamento politico che non imita le leggi dei popoli confinanti, dal momento che, anzi, siamo noi ad essere d’esempio per qualcuno, più che imitare gli altri. E di nome, per il fatto che non si governa nell’interesse di pochi ma di molti, è chiamato democrazia; per quanto riguarda le leggi per dirimere le controversie private, è presente per tutti lo stesso trattamento; per quanto poi riguarda la dignità, ciascuno viene preferito per le cariche pubbliche a seconda del campo in cui sia stimato, non tanto per appartenenza ad un ceto sociale, quanto per valore; e per quanto riguarda poi la povertà, se qualcuno può apportare un beneficio alla città, non viene impedito dall’oscurità della sua condizione.

(riferito da: Tucidite, La guerra del Peloponneso, II, n. 37)

Siamo stupiti delle valutazioni di Pericle, tuttavia dobbiamo riconoscere che ad Atene non c’era una forma veramente democratica del potere, anche se oggi additiamo in quella città l’origine dell’esercizio saggio del governo.

 

1Il Dipartimento di Stato americano nel 1975 rende noto il piano prima segreto di accordi tra Usa e Italia. Gaetano Volpe, fondatore della Filef (Fed. Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie) ne dà notizia durante la Conferenza Nazionale dell’Emigrazione a Roma (24 febbraio – 1° marzo 1975).

2Ministero del Bilancio, Problemi e prospettive dello sviluppo dell’economia italiana. Nota presentata al Parlamento il 22 maggio 1962, Premessa, 2. È passata con il nome di Nota Aggiuntiva.