Ecco perché il clima può destabilizzare

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Nel mondo sono in corso 79 conflitti per cause ambientali 1,4 miliardi di persone in aree sotto stress idrico. Al 2050 stimati 250 milioni di rifugiati ambientali. La mancanza di risorse naturali e di mezzi di sostentamento, il degrado ambientale, le catastrofi dovute al ripetersi di eventi eccezionali aumentano il rischio di conflitti e il bacino potenziale a cui il terrorismo può attingere

Il cambiamento climatico sconvolge gli ecosistemi e va considerato quindi sempre più come un «moltiplicatore di minaccia» per la sicurezza globale: può rendere più vulnerabili situazioni già critiche e generare sconvolgimenti sociali e conflitti violenti. Non si tratta, purtroppo, di un oscuro scenario preso in prestito da un film di fantascienza, ma di una drammatica realtà che già sconvolge molte aree del pianeta. Secondo un recente rapporto commissionato dai paesi del G7 all’istituto tedesco Adelphi con il sostegno del ministero degli Esteri tedesco, dal dopoguerra a oggi ben 111 conflitti nel mondo sono da imputarsi a cause ambientali. Di questi, tra i 79 ancora in corso ben 19 sono considerati di massima intensità (livello 4 su una scala di 1-4).

In concomitanza con il summit sul Clima di Parigi l’Intergruppo bicamerale per il clima Globe Italia ha organizzato oggi alla Camera dei Deputati «La sfida del clima per la sicurezza e la pace», un incontro a cui hanno partecipato tra gli altri Stella Bianchi, Presidente Intergruppo bicamerale per il clima Globe Italia, Grammenos Mastrojeni¸ consigliere ministero Affari esteri, coordinatore per l’eco-sostenibilità della cooperazione allo sviluppo, ricercatore specializzato nel nesso ambiente-stabilità, Gen. Mauro Del Vecchio, già comandante del Comando operativo interforze per le forze armate italiane all’estero ed ex-comandante missione Nato in Afghanistan, Andrea Manciulli, capo delegazione presso assemblea parlamentare Nato, Ermete Realacci, Presidente VIII Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici Camera dei deputati, Fabrizio Cicchitto, Presidente III Commissione Affari Esteri e Comunitari Camera dei deputati, Francesco Saverio Garofani, Presidente IV Commissione Difesa della Camera dei deputati.

La mancanza di risorse naturali e di mezzi di sostentamento, il degrado ambientale, le catastrofi dovute al ripetersi di eventi eccezionali aumentano il rischio di conflitti e il bacino potenziale a cui il terrorismo può attingere. Parliamo di conflitti come quello civile in Siria, dove fra il 2006 e il 2011 si è avuta la siccità più lunga e la perdita di raccolti più grave mai registrate fin dai tempi delle prime civiltà nella Mezzaluna fertile. Su 22 milioni di abitanti, oltre un milione e mezzo è stato colpito dalla desertificazione, che ha provocato massicce migrazioni di contadini, allevatori e famiglie verso le città. Nel 2002, 8,9 milioni di persone abitavano le città siriane; alla fine del 2010 il numero era salito a 13,8 milioni. O ancora le guerre per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi che hanno distrutto gli ecosistemi in Nigeria, o la guerra civile in Darfur che vede nell’accesso alle risorse idriche una delle sue cause. E poi le rivolte per l’espropriazione delle terre e la deforestazione a danno dei coltivatori e degli indigeni in Cambogia, o l’immigrazione clandestina dal Bangladesh alla regione indiana dell’Assam causata dai mutamenti climatici e i conseguenti conflitti con le popolazioni autoctone. O infine lo scontro tra le fazioni di Jikany Nuer e Lou Nuer nel Sud del Sudan per il controllo delle scarse risorse idriche, o i conflitti legati alla costruzione della diga Sardar Sarovar sul fiume Narmada in India. Solo per citare alcuni casi da un lungo elenco di tragedie e catastrofi che secondo gli ultimi dati del Unhcr si stima possa generare fino a 250 milioni di rifugiati ambientali al 2050.

«Raggiungere un accordo forte e inclusivo alla Cop21 a Parigi che contenga il riscaldamento globale entro i 2 gradi, o meglio ancora entro 1,5 gradi, vuol dire anche combattere il terrorismo e una delle maggiori minacce alla sicurezza globale – commenta la presidente dell’Intergruppo Globe Italia Stella Bianchi -. Ogni successo che otteniamo nel ridurre il riscaldamento globale è un passo avanti per disinnescare conflitti violenti, inevitabili quando vengono a mancare acqua o terra da coltivare, e per asciugare le aree di sofferenza che possono alimentare il terrorismo e portare a milioni di rifugiati ambientali. A Parigi dobbiamo segnare l’inizio di un’economia nuova, di un nuovo modello di sviluppo per un mondo più giusto e più sicuro. La conferenza Onu di Parigi è di fatto anche una straordinaria conferenza di pace».

Le eco-guerre: qualche dato

Le risorse idriche siriane dipendono in gran parte anche dalla portata dei fiumi che scendono dalle montagne della Turchia che controlla l’alto corso del Tigri e dell’Eufrate. Sono 14 dighe sul corso dell’Eufrate e 8 dighe sul corso del Tigri, 19 centrali idroelettriche che hanno determinato una riduzione della portata dell’Eufrate in Siria del 40% e la riduzione della portata dell’Eufrate in Iraq del 90%. Il controllo dei fiumi e delle risorse idriche è uno dei maggiori fattori di tensione a livello internazionale. Secondo il World Watch Institute «l’alterazione delle precipitazioni potrebbe accrescere le tensioni rispetto all’uso dei corpi idrici condivisi e aumentare la probabilità di conflitti violenti sulle risorse idriche. Si stima che circa 1,4 miliardi di persone già vivono in aree sotto stress idrico. Un numero che al 2025 potrebbe arrivare fino a 5 miliardi di persone».

Sempre secondo l’istituto di ricerca di Washington «gli impatti diffusi dei cambiamenti climatici potrebbero portare a ondate migratorie, minacciando la stabilità internazionale. Si stima che entro il 2050, ben 250 milioni di persone potrebbero essere fuggite da aree vulnerabili per l’innalzamento del mare livelli, tempeste o inondazioni, o terreni agricoli troppo aridi per coltivare. Storicamente, la migrazione verso le aree urbane ha messo sotto pressione i servizi e le infrastrutture, alimentando la criminalità o le insurrezioni, mentre la migrazione attraverso i confini ha spesso portato a violenti scontri per la terra e le risorse».

Cina, Nepal, India e Bangladesh si confrontano intorno ai fiumi che hanno origine dall’Himalaya. In Asia centrale, Tagikistan e Turkmenistan stanno costruendo enormi infrastrutture sui corsi d’acqua che minacciano i Paesi a valle, come l’Uzbekistan. Sul Nilo si preannunciano forti tensioni dal momento che l’Etiopia sta innalzando la Grande Diga della Rinascita, che potrebbe cambiare il destino economico del Paese ma anche la portata del fiume in Egitto. Tutti i fiumi del Sud-est asiatico originano in Cina, corsi d’acqua da cui dipendono 1,5 miliardi di persone, fuori dalla Repubblica popolare.

Attualmente nel mondo si contano 261 bacini idrici internazionali suddivisi tra 145 nazioni nelle quali risiede più del 40% della popolazione mondiale. I bacini idrici del Nilo, Tigri-Eufrate, Mekong, Giordania, Indo, Brahmaputra e Amu Darya sono soggetti ad uno sfruttamento intensivo e rischiano di alimentare i conflitti tra le nazioni che li condividono. Il rapporto della Cia «Global Water Security» le ha indicate come le aree del pianeta a maggiore rischio. Secondo il rapporto la scarsità di acqua ostacolerà la produzione di cibo e la produzione di energia in paesi chiave, rappresentando così un rischio per la sicurezza alimentare globale mercati e la crescita economica. Il Nord Africa, il Medio Oriente, il sud est asiatico si troveranno ad affrontare grandi sfide che riguardano il loro sviluppo economico e demografico.