A Parigi si doveva fare di più

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foto A. Perrini
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Ci sono voluti 23 anni di discussioni solo per ammettere che il problema del cambiamento climatico è una realtà. Il cambiamento climatico è già iniziato. Tutti i Paesi ne dovranno affrontare le conseguenze, anche rimanendo entro i 2°C, come previsto dall’accordo. Vediamo cosa ci aspetta già da ora

L’accordo di Parigi, approvato il 12 dicembre scorso, non è quello che il mondo si aspettava. La prima considerazione, che lascia un po’ di amaro in bocca, è che ci sono voluti 23 anni di discussioni solo per ammettere che il problema del cambiamento climatico è una realtà.
Questa poteva essere l’occasione giusta, per mettere da parte gli interessi locali, politici ed economici. Purtroppo, sembra che le reali dimensioni del problema sfuggano ai decisori che si sono incontrati a Parigi. Il cambiamento climatico è già iniziato. Tutti i Paesi ne dovranno affrontare le conseguenze, anche rimanendo entro i 2°C, come previsto dall’accordo.
In Italia, il 2014 è stato l’anno più caldo dal 1800, con una deviazione dalla media 1971-2000 di 1,45°C. Crescono le massime, crescono le minime, e si intensificano frequenza e durata delle ondate di calore estive. Tra l’altro, la tendenza è destinata ad inasprirsi: nei casi peggiori, le medie estive di fine secolo potrebbero crescere anche di 4-5°C, rispetto a fine Novecento.
Per ora le precipitazioni sono cambiate poco in quantità, ma sono più concentrate. Così aumentano sia le giornate secche, sia le piogge lampo con forti rovesci. In futuro, le irregolarità si esaspereranno, anche nella variabilità tra un anno e l’altro. La piovosità complessiva diminuirà molto, d’estate in modo forte e generalizzato; d’inverno al calo nel sud si contrapporrà un aumento al nord.
Anche il Mediterraneo si sta scaldando. Le superfici di Adriatico e Tirreno hanno già toccato punte anche di 3-4°C oltre le medie degli ultimi decenni. Oltre che dall’innalzamento delle acque, le coste sono minacciate da inondazioni ed erosione, a causa degli eventi estremi di origine marina.
Qui, il quadro è peggiore di quanto si pensasse qualche anno fa. Da un lato ci sono i cosiddetti «Medicane», uragani mediterranei, come quelli di fine 2013, a sud della Sardegna. I Medicane sono alimentati direttamente da calore e umidità del mare, e hanno meccanismi analoghi ai cicloni tropicali, che sono molto inusuali alle nostre latitudini.
Dall’altro lato ci sono fenomeni abituali, che però si stanno intensificando. Ad esempio, la ciclogenesi ligure, responsabile dei disastri del 2011 e del 2014. Quando le perturbazioni atlantiche fredde e secche entrano nel Mediterraneo e si scontrano con le Alpi, si crea una depressione; questa, incontrando il mare più caldo, genera i processi che creano i cicloni.
Fino a qualche decennio fa si trattava di eventi sporadici. Negli ultimi 7-8 anni è successo ogni anno, a volte anche con molta più forza. Questo perché un tempo, dopo l’evento, il mare si raffreddava e il processo si fermava, ma ora che i mari sono molto più caldi, il ciclone può ripetersi a più riprese.
Le alterazioni già in atto, e quelle previste, avranno ripercussioni pesanti e diffuse. L’estremizzazione dei regimi delle precipitazioni non farà che aumentare il dissesto idrogeologico, con alluvioni, frane, flussi di fango e detriti. In relazione a questo problema, il nostro Paese già non se la passa troppo bene. Inoltre, si inasprirà anche lo stress idrico, che già si avverte al sud e nelle piccole isole. L’inaridimento minaccerà la qualità dei suoli, favorendo erosione e desertificazione, e anche gli incendi boschivi.
Biodiversità ed ecosistemi sono minacciati, soprattutto sui monti e nelle acque. Sulle Alpi, dove il riscaldamento è più rapido, gli ecosistemi si stanno già spostando verso l’alto, inseguendo le temperature più miti. Sugli Appennini si vedono i primi adattamenti all’aridità.
La composizione delle specie è già cambiata del 10-20 %, a vantaggio di quelle meglio adattate agli stress, e in molti casi si prospetta l’estinzione. Anche la nostra specie ha di che preoccuparsi. I gruppi più vulnerabili, come anziani e malati con problemi cardio-respiratori, sono minacciati dalle ondate di calore e da nuove o più diffuse infezioni e allergie.
Quanto all’agricoltura, potranno cambiare le aree più adatte alle varie colture. Ulivo, agrumi, vite e grano duro si espanderanno a nord, mentre il mais sarà in difficoltà al sud, a causa dell’aridità. Più in generale, la produttività di varie colture sarà minacciata da caldo e siccità. Secondo alcune stime, soffrirà il 20 % degli appezzamenti italiani.
Le valutazioni dell’impatto economico complessivo sono difficili. I guai maggiori dovrebbero giungere dalla minore produzione idroelettrica, dai cali dell’attrattiva turistica, dalla produttività agricola e ittica, e dai danni a insediamenti e infrastrutture.
Ora prendete questi problemi, e moltiplicateli per ogni Paese del mondo. Ancora una volta, la politica arriva molto in ritardo, e sembra non capire che siamo tutti sulla stessa barca.